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I valori » La giovinezza  
 


 

 
Ippolito Nievo in tenuta militare  - fotografia  

Per lo storico francese Philippe Ariès l'infanzia è l'età privilegiata del XIX secolo. L'Ottocento e l'età romantica sono soprattutto il tempo della giovinezza. La giovinezza è la grande avventura dell'io romantico.  Guerra e rivoluzione sono il suo banco di prova.

Dalla metà del Settecento, un nuovo ciclo demografico dell'Europa fa sì che nascano più bambini, e tra questi coloro che riescono a superare i primi anni di vita sono più numerosi che in passato. La crescita del peso dei giovani nella popolazione complessiva dell'Europa ha effetti tanto sul terreno dei conflitti sociali che dell'immaginario.

I giovani premono per una ridefinizione in senso liberale dei rapporti sociali, a cominciare dalle relazioni all'interno della famiglia e diventano il tema privilegiato della filosofia e del romanzo.

Sorgono nuove concezioni dell'infanzia e dell'educazione (Locke, Saggio sull'intelletto umano, 1690; Rousseau, Emilio, 1762), mentre autobiografia e romanzo di formazione assumono uno spazio crescente nella letteratura di pari passo con lo sviluppo del soggettivismo moderno, dell'io che narra il mondo attraverso la vicenda delle sue peripezie (ancora Rousseau, Nouvelle Héloïse, 1761; Goethe, I dolori del giovane Werther, 1774, e soprattutto Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister, 1797; Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis, 1801-1817).

L'amore, il patrimonio, l'ambizione personale sono alcuni degli ambiti in cui franano i pilastri della società tradizionale: l'autorità del padre, dal consenso del quale dipendeva, ad esempio, il matrimonio dei figli, viene fortemente contestata in nome dei diritti dell'io e della sua incoercibile aspirazione alla felicità.

Con quell'autorità finiscono sotto processo i suoi principali corollari, il diritto di primogenitura e il sacrificio dei cadetti al privilegio della nascita; e ancora la condizione di minorità del figlio di fronte al padre (patria potestà), che secondo il Codice borbonico durava fino ai venticinque anni, ma nel Granducato di Toscana arrivava a trenta per i maschi e a quaranta per le donne (trenta a partire dal 1838), e in Piemonte durava per tutta la vita del genitore.

 


 

  G. Toma - Piccoli garibaldini  - olio su tela - Collezione Bentivegna - Montecatini Terme

I giovani fremono sotto questo giogo. L'età napoleonica con le sue campagne militari è stata per loro anche la grande occasione di una inusitata libertà. La restaurazione pretende di riportare l'ordine fin dentro le mura di casa. In un'epoca che si apre con i re legittimi rimessi sul trono, il primo monarca restaurato è il pater familias. Dal 1820, agitazioni, cospirazioni e moti rivoluzionari si incaricheranno di smantellare questo ordine.

La rivoluzione è la grande occasione per farsi valere offerta a giovani. In altri termini, la rivoluzione offre loro la possibilità di perseguire quella gloria nel cui culto sono stati educati e che la società della Restaurazione sembra aver cancellato dall'orizzonte della storia. Nelle Confessioni di un italiano, che ripercorre cinquant'anni di storia italiana, dalle campagne napoleoniche di fine Settecento alla rivoluzione del 1848, Ippolito Nievo, pensando a Napoleone, scrive: «Quel tal Generale Bonaparte di poco era più attempato di me. Perché non poteva anch'io mutarmi di sbalzo in un vincitore di battaglie, in un salvatore di popoli?». Il romanzo termina nel 1849.

In quello stesso anno Emilio Morosini non riesce a contenere l'emozione di fronte allo spettacolo della Repubblica romana che difende in armi la propria indipendenza contro l'esercito francese. Alla madre scrive: «Le barricate sono bellissime, la difesa ben intesa e il popolo animatissimo».

Nel corso dell'Ottocento, la giovinezza è una figura dell'epoca. Significa il tempo nuovo che non procede più dal passato per accumulo e come un lento fluire, ma che al contrario si produce per mezzo di una frattura profonda, di una radicale rottura con la tradizione e con i suoi rappresentanti, i vecchi per l'appunto.

I vecchi sono dispotici e incarnano il dispotismo; sono sterili e indisponibili al cambiamento. Vecchio è il padre di Cesare Beccaria, che nel 1761 ottiene gli arresti domiciliari per il figlio che si ostina ad amare una donna non all'altezza del suo rango. E nel corso dell'Ottocento sono vecchi tutti quei genitori che la passione rivoluzionaria dei figli fa improvvisamente invecchiare, spingendoli dalla parte della prudenza. Vincenzo Pianciani era nato nel 1789, apparteneva ad una famiglia nobile ed era un alto funzionario del governo pontificio.

Suo figlio Luigi nel 1849 è mazziniano, fieramente avverso al dominio temporale dei papi difende in armi la Repubblica romana. Nel giugno del 1853 il padre gli scrive a Londra dove Luigi è andato in esilio: la grazia che ti domando è di poter morire sicuro che tra i miei figli non ne lascio nessuno che sia nemico di un governo, quello del papa re, da cui ho ricevuto tanti benefici. Muore il 6 ottobre del 1856. Suo figlio non lo ha più rivisto.

 


 

  I fratelli Bandiera in una litografia dell'epoca

Nel 1831 Giuseppe Mazzini fonda la «Giovine Italia» cui possono iscriversi solo coloro che non hanno ancora quarant'anni. Il criterio di esclusione di Mazzini è preciso.

Il movimento nazionale italiano secondo Mazzini non deve condividere più nulla con la generazione che si è formata sul modello della rivoluzione francese e dell'impresa napoleonica. Quella generazione è stata alla testa dei moti del 1821 e ha ancora fallito dieci anni dopo.

I vecchi, il passato, non sono soltanto la figura del dispotismo tradizionale. Vecchi sono anche i vecchi rivoluzionari. Principio altamente discriminatorio, la giovinezza divide rivoluzione e reazione, ma nel campo rivoluzionario serve anche a regolare i conti con la propria tradizione.

La giovinezza in altri termini fa anche dei rivoluzionari degli uomini del passato. Nell'aprile del 1832 Giovita Sclavini scrive a Giovanni Arrivabene: «Avete voi veduto costà la Giovine Italia? […] Berchet e Peppino [Arconati] e tu e io siamo messi da parte […] giacché vi si proclama che il segreto del secolo sta nelle mani dei nati col secolo. Noi siamo dei barbogi del tempo degli Argonauti».


Schede collegate: Ugo Foscolo, Giuseppe Mazzini, Ippolito Nievo, rivoluzione, genitori e figli, amorenascita della famiglia borghese

 

La gioventù è bollente per istinto

Nel 1831, pochi mesi dopo la fondazione della «Giovine Italia», Giuseppe Mazzini scrisse una celebre lettera a Carlo Alberto. La sua importanza, come ha scritto lo storico Franco Della Peruta, è legata al fatto che permette di cogliere la formazione del pensiero politico mazziniano in una sua fase saliente. Mazzini individua nella gioventù la forza motrice della società, accanto alla funzione guida della personalità eccezionale.

G. Mazzini, A Carlo Alberto di Savoia. Un Italiano, in Id., Scritti editi e inediti, I, Politica, I, Milano, Daelli, 1861, pp. 55-81.

 

Giovani e rivoluzione

La Rivoluzione francese ha significato l'avvento di una nuova epoca. La cultura ottocentesca e con essa il movimento nazionale italiano assumeranno nei suoi confronti un atteggiamento spesso polemico e di condanna degli atti efferati del Terrore rivoluzionario e del dispotismo napoleonico. Il rifiuto politico e morale dell'eredità rivoluzionaria non significa tuttavia il misconoscimento degli effetti della Grande Rivoluzione nella sfera dei costumi e degli affetti. La Rivoluzione sciolse i ceppi che avevano tenuto fino ad allora avvinte le passioni dei giovani. Il suo grande merito fu di riavvicinare gli uomini alla Natura e alle fonti naturali della vita. In Italia sono due letterati a fornire all'Ottocento la diagnosi più acuta del nuovo orizzonte esistenziale aperto dalla rivoluzione: Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi. Pubblichiamo di seguito alcune pagine tratte rispettivamente dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis e dallo Zibaldone di pensieri.

U. Foscolo, Le ultime lettere di Jacopo Ortis, Milano, Garzanti, 1974, pp. 45-52.

G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, a cura di G. Pacella, Milano, Garzanti, 1991, p. 654 (23 maggio 1821) e pp. 1266-1268 (6 gennaio 1822).

 

Il moderno fissa un nuovo paradigma: la parte più importante dell'esistenza sta nella gioventù

Alla giovinezza la cultura occidentale attribuisce nella seconda metà del Settecento il compito di esprimere il significato della trasformazione, del passaggio di epoca, della rivoluzione e della dissoluzione dei ranghi sociali dell'antico regime. La giovinezza si carica così di una valenza simbolica che la letteratura coglie e a codifica nel romanzo di formazione. Franco Moretti ci aiuta a comprendere questo simbolo e i significati che esprime a partire dalla grande rottura rivoluzionaria della fine del XVIII secolo.

F. Moretti, Il Bildungsroman come forma simbolica, in Id., Il romanzo di formazione, Torino, Einaudi, 1999, pp. 3-15.

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