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"Il tempo favorisce. 14 marzo 1848" - Incisione satirica appartenuta al tricolore del "Don Pirlone" - acquaforte acquarellata - Museo Centrale del Risorgimento - Roma  

A partire dalla prima metà dell’Ottocento, la diffusione dell’istruzione popolare, l’aumento del tasso di urbanizzazione e l’affermazione di una classe media istruita fece emergere, in alcuni Stati europei come la Francia e la Gran Bretagna, un’editoria moderna basata su una produzione di massa e un’estensione del mercato editoriale dovuto al rapido ampliamento del pubblico dei lettori.

In Italia, invece, soprattutto per la mancanza di un mercato nazionale e per la frammentazione politico-culturale, statuale e linguistica della penisola, nonché per la presenza, quasi ovunque, di una occhiuta e asfissiante censura, solamente nella seconda metà dell’Ottocento si affermò una industria editoriale. Anche con questi gravi limiti, tuttavia, la stampa svolse un ruolo di grande rilievo nella mobilitazione politica risorgimentale e, infine, un’azione pedagogica tra le classi popolari.

Durante la Restaurazione, la censura e il rigido controllo delle monarchie sulla stampa permisero solo la pubblicazione di fogli filogovernativi, che, quasi sempre, presero il nome di “Gazzetta” e che si limitavano alla raccolta della legislazione corrente e a scarne notizie di cronaca.

A Milano, nel 1816, per conquistare il ceto intellettuale, venne fondato dagli austriaci un mensile letterario, la «Biblioteca Italiana», diretto da Giovanni Acerbi, cui si contrappose, nel 1818, «Il Conciliatore», redatto da Silvio Pellico, Ludovico Di Breme, Giovanni Berchet e Pietro Borsieri, destinato a chiudere le pubblicazioni nel 1819 dopo un anno e mezzo di vita. Dopo i moti del 1820-1821, all’attivismo dei rivoluzionari, che pubblicarono alcuni fogli clandestini come «L’Illuminatore» nelle Legazioni pontificie e la«Minervanapoletana» nella capitale borbonica, fece da contr’altare l’azione di alcuni liberali come Giovan Pietro Vieusseux che, a Firenze, fondò la rivista «Antologia», cui collaborarono Niccolò Tommaseo, Giuseppe Montani e anche un giovane Giuseppe Mazzini.

Quest’ultimo, dopo i moti del 1831, fermamente convinto che la stampa periodica fosse «la sola potenza dei tempi moderni», dette vita ad una lunga tradizione di giornalismo politico ispirando una serie di fogli, come la «Giovine Italia», rivista omonima dell’associazione di cui uscirono 6 numeri nel 1832, e, nei decenni successivi, «L’apostolato popolare», «L’Italia del Popolo», «Pensiero ed Azione», «L’Unità Italiana», «Il Dovere e la «Roma del popolo».


 

 
"Pensiero e Azione", con un articolo (1859) di Mazzini.  

A partire dalla metà degli anni Trenta iniziarono la pubblicazione una serie di riviste che ottennero un discreto successo di pubblico: a Torino, ad esempio, si affermarono il «Teatro Universale. Raccolta enciclopedica e scenografica» edito da Giuseppe Pomba e le «Letture popolari» fondato da Lorenzo Valerio; a Milano, «Il Politecnico», diretto da Carlo Cattaneo; a Napoli, «Il progresso delle scienze, delle lettere e delle arti»; a Palermo, «Le Effemeridi scientifiche e letterarie».

Inoltre, sempre nella prima metà dell’Ottocento, nacquero i primi periodici illustrati come il milanese «Cosmorama pittorico», il napoletano «Poliorama Pittoresco» e il torinese «Il Mondo Illustrato» il quale, edito da Pomba, fu il primo periodico politico illustrato, sul modello dei giornali inglesi e francesi, stampato con un nuovo torchio che utilizzava il motore a vapore.

Almeno fino al 1846, la stampa funzionò essenzialmente come un canale di aggiornamento e comunicazione dell’intellettualità. Il modello più diffuso fu prevalentemente quello ereditato dal Settecento del giornale di “scienze, lettere, arti” o di “varietà e progresso” rivolto ad un ristretto pubblico di colti delle città. Un primo momento di svolta avvenne con gli editti sulla libertà di stampa di Pio IX del 15 marzo 1847 e quello di re Carlo Alberto del 26 aprile 1848, grazie ai quali fu introdotta una certa libertà di stampa (pressoché totale in Piemonte, non così nello Stato pontificio).

Tra il 1848 e il 1849 venne fondato un cospicuo numero di fogli informativi che seguivano le passioni politiche del momento. Ogni gruppo si dotò di un periodico che divenne, di fatto, un’arma di combattimento.

Nel Piemonte sabaudo erano attivi già prima della guerra del 1848 molti giornali: dal «Risorgimento» di Cavour alla «Concordia» di Lorenzo Valerio, dal «Messaggero» di Angelo Brofferio all’«Opinione» di Giacomo Durando.

Durante la guerra sorse «La Gazzetta del Popolo» diretta da Giovan Battista Bottero che, con un basso prezzo di vendita, un piccolo formato e un linguaggio semplice, rappresentò un’autentica novità editoriale: nel 1852 aveva già raggiunto i 10 mila abbonati.

Nel luglio del 1848 nacque anche «L’Armonia della religione con la civiltà» di Don Giacomo Margotti, inizialmente trimestrale poi quotidiano: divenne, con l’emergere della questione romana, uno dei più importanti periodici del cattolicesimo intransigente. A Roma, si affermò, invece, il giornalismo umoristico, dove spiccava il quotidiano «Don Pirlone», mentre a Napoli vedeva la luce il quotidiano «Mondo vecchio e mondo nuovo» ispirato da Ferdinando Petruccelli della Gattina.

Durante il cosiddetto “decennio di preparazione”, tra i fogli democratici, emersero il «Corriere livornese» legato a Francesco Domenico Guerrazzi, «L’Italia del popolo», nato nel 1851, legato a Mazzini, «Il Diritto», fondato nel 1854, legato alla Sinistra parlamentare e «Il San Giorgio» legato a Nino Bixio. Tra i quotidiani sostenitori della causa italiana spiccavano, invece, «La patria», fondato a Firenze da Bettino Ricasoli – il quale nel 1859 pubblicherà «La Nazione» insieme all’editore Gaspero Barbera –, il «Piccolo d’Italia», organo della Società Nazionale, e il milanese «La Perseveranza», fondato nel 1859 da un gruppo di notabili della Destra liberale tra cui Ruggero Bonghi.

La novità più importante fu l’istituzione a Torino nel 1853 della prima moderna agenzia di notizie della penisola, l’Agenzia Stefani, resa possibile dal collegamento, attivato l’anno prima, con il telegrafo elettrico tra la capitale sabauda e Parigi. Anche questa era una manifestazione della moderna concezione politica di Cavour desideroso di inserire il Piemonte nel più vasto circuito europeo.

 
  "La Patria"

In sintesi, nel 1858, uscivano 117 periodici nel Regno di Sardegna, 68 nel Lombardo-Veneto, 27 in Toscana, 16 nello Stato romano e 50 nel Regno borbonico. Il quotidiano più venduto era la torinese «La Gazzetta del Popolo» che si attestava sulle 10 mila copie, mentre gli altri periodici vendevano in media non più di 2 mila copie. Tra le riviste di maggior diffusione spiccava, invece, la «Civiltà Cattolica», affidata dalla Santa Sede ai gesuiti e nata per essere una risposta alla crescente influenza del liberalismo: già nel 1850 toccava la notevolissima cifra di 7 mila abbonati.

La circolazione della stampa negli Stati preunitari era di gran lunga inferiore alle media di alcuni Stati europei come la Francia, dove i giornali tiravano più di 80 milioni di copie l’anno, o la Gran Bretagna dove il «Times» si attestava, quotidianamente, sulle 60 mila copie. D’altra parte, le ristrette dimensioni del mercato e le cattive condizioni della rete delle comunicazioni riducevano la diffusione dei giornali.

L’alto tasso di analfabetismo – il 75% della popolazione –, l’esistenza di una varietà di dialetti che andava a discapito della conoscenza della lingua italiana – soltanto il 2% parlava italiano –, l’elevato prezzo dei giornali, la mancanza di punti di vendita specifici come le moderne edicole non permettevano una diffusione di massa dei periodici, le cui tirature rimasero, quasi sempre, molto basse. La stampa, pertanto, affidava per la diffusione direttamente ai canali associativi politici accentuando in tal modo il proprio carattere politico e di parte.

La produzione libraria aveva risentito degli stessi limiti strutturali del mercato di cui soffriva la stampa periodica e solamente per gli anni Settanta si può parlare di una vera e propria industria editoriale che andava lasciandosi alle spalle la struttura delle tipografie artigiane. Prima dell’Unità i gusti di lettura erano molto frammentati secondo le divisioni politiche della penisola.

Tra i maggiori editori del periodo pre-unitario va segnalato, in primo luogo, Giuseppe Pomba, che, a Torino, con l’omonima casa editrice – progenitrice dell’odierna UTET – dette il via ad una collana di classici latini e greci, la Collectio Latinorum Scriptorum cum notis, che uscì dal 1818 al 1835 in 108 volumi; a Firenze, sempre negli anni Trenta Felice Le Monnier dette vita alla omonima casa editrice che fino all’Unità d’Italia rappresentò una delle più avanzate industrie editoriali del paese.

Nel decennio successivo all’Unità d’Italia si ebbe una grande espansione sia delle tirature dei periodici che dei titoli a stampa. Tra il 1846 e il 1872, vi fu un aumento dei titoli a stampa del 363 % e un incremento dei periodici del 579%. Anche questa può essere considerata una dimostrazione del salto di cultura e in genere di civiltà che rappresentò per tutti gli italiani l’unificazione politica.

Da un punto di vista quantitativo l’evoluzione libraria, dagli Stati preunitari agli anni Sessanta, fece registrare un calo percentuale dell’editoria religiosa e la quasi integrale scomparsa della strenna; mentre, all’opposto, vi fu un aumento della produzione libraria di tipo storico-geografico e l’esplosione dell’almanacco che diventò un genere di largo consumo degli strati urbani.

Tuttavia non mancò lo sforzo per promuovere l’editoria e la stampa cattolica. A questo scopo sorsero, in molte città, “Associazioni per la diffusione dei buoni libri” con la finalità educativa come priorità assoluta. Le Letture cattoliche di Don Bosco, ad esempio, rappresentarono il modello di collana di maggior successo: se negli anni Cinquanta un titolo della collana aveva una tiratura media di 3 mila copie, trenta anni dopo, un volume della stessa serie poteva essere stampato in 20 mila copie.


 
 
Alcuni giornali napoletani durante la spedizione dei Mille, poco prima dell'arrivo di Garibaldi  

Con l’Unità d’Italia il settore editoriale registrò una vera e propria esplosione. Venute meno barriere doganali e censura, gli editori si ritrovarono ad operare in un unico mercato nazionale. L’editoria aumentò le pubblicazioni vertiginosamente: se nel 1836 erano stati stampati circa 3.300 titoli, nel 1873 erano diventati 15.900.

Dopo l’Unità tra i maggiori editori assunsero un ruolo di spicco Edoardo Sonzogno, che a partire dal 1866 editerà a Milano, città divenuta il cuore dell’editoria, «Il Secolo», ed Emilio Treves, che lancerà vari periodici illustrati, tra cui nel 1875 «L’Illustrazione italiana».

Tra i periodici sorti dopo l’Unità d’Italia vanno segnalati «L’Osservatore Romano», fondato a Roma nel 1861, «L’Osservatore Cattolico», sorto a Milano nel 1864, «Il Sole», sempre a Milano nel 1865, la «Nuova Antologia» sorta a Firenze nel 1866, «Il Secolo» nato a Milano nel 1866 e il «Corriere della Sera» fondato a Milano nel 1876.


Schede collegate: Silvio Pellico, Giuseppe Mazzini, Giovan Pietro Vieusseux, Giovanni Bosco

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La produzione editoriale

Giovanni Ragone analizza l’evoluzione dell’apparato editoriale negli Stati preunitari e nell’Italia unita, dal 1846 al 1872. L’evoluzione della produzione libraria, dalla situazione preunitaria agli anni Sessanta, mostra un netto calo della produzione religiosa, preponderante fino al 1846, e l’emergere di una diffusione di volumi con un taglio storico-geografico e politico-sociale. Lo sviluppo della stampa periodica, invece, coincide con l’espansione dei generi di consumo e con il processo di unità nazionale.

G. Ragone, La letteratura e il consumo: un profilo dei generi e dei modelli nell’editoria italiana (1845-1925), in AA.VV., Letteratura italiana, II, Torino, Einaudi, 1983, pp. 687-690, 698-703, 711-717.

 

La stampa italiana del Risorgimento

Franco Della Peruta, nella prima parte di questo saggio, illustra i limiti maggiori del mercato editoriale in Italia dal 1847 al 1859: l’elevato tasso di analfabetismo, l’alto costo dei giornali e l’assenza di una rete di distribuzione dei periodici. Nella seconda parte, dopo aver evidenziato la forte caratterizzazione politica di tutti i fogli risorgimentali, chiarisce alcune caratteristiche dei maggiori giornali dell’epoca.

La stampa italiana del risorgimento, a cura di A. Galante Garrone - F. Della Peruta, Roma-Bari, Laterza, 1979, pp. 314-329.

 

La “formazione dell’italiano”

La stampa moderata d’ispirazione governativa trattava sui periodici popolari dopo l’Unità d’Italia numerosi temi. Mentre i periodici dell’opposizione si soffermavano sugli aspetti negativi della vita nazionale – quelli cattolici, in particolare, si impegnavano a dimostrare che la spoliazione dei conventi aveva giovato soltanto alla borghesia liberale – la stampa liberale batteva sul tema dell’unità spirituale degli italiani soffermandosi sulla necessità della “formazione dell’italiano” attraverso un’assidua opera educativa.

D. Bertoni Jovine, I periodici popolari del Risorgimento, I-II, Milano, Feltrinelli, 1959, pp. CXLV-CXLVIII.

 

Le principali testate dal 1815 al 1847

Nell’elenco, in ordine alfabetico, delle principali testate pubblicate in Italia tra il 1815 e il 1847 qui riprodotto, di ogni periodico sono indicati il titolo, il luogo o gli anni di pubblicazione. In molti casi sono anche segnalati il nome del direttore, dell’editore o dei principali collaboratori.

La stampa italiana del risorgimento, a cura di A. Galante Garrone - F. Della Peruta, Roma-Bari, Laterza, 1979, pp. 242-246.

 

Le principali testate dal 1847 al 1861

Nell’elenco, in ordine alfabetico, delle principali testate pubblicate in Italia tra il 1847 e il 1861 qui riprodotto, di ogni periodico vengono indicati il titolo, il luogo e gli anni di pubblicazione.

La stampa italiana del risorgimento, a cura di A. Galante Garrone - F. Della Peruta, Roma-Bari, Laterza, 1979, pp. 562-569.