» 06|Il cattolicesimo liberale  
 
 
 C. Ch. Vogel von Vogelstein - Joseph de Maistre - 1810  

Il movimento cattolico iniziò ad apparire in Europa durante la Restaurazione come forma di risposta all’ideologia rivoluzionaria borghese che aveva incrinato quell’antico rapporto organico che aveva legato, sin dal medioevo, la struttura ecclesiastica agli ordinamenti degli Stati cattolici.

Fino allo scoppio della rivoluzione francese, infatti, la Chiesa aveva fornito al potere regio una sanzione religiosa mediante la dottrina dell’origine divina della sovranità ed era stata uno dei pilastri su cui si fondava la vita politico-sociale dell’ancien regime.

Dalla rottura di questo legame, benché “restaurato” dopo il 1815, scaturì un articolato movimento cattolico, con sfumature e sensibilità differenti, che in Italia non rappresentò una specifica posizione politica ma difese, prima di tutto, il ruolo storico del papato nella penisola. Non a caso, Joseph de Maistre, uno degli iniziatori del movimento cattolico in Piemonte, fu uno dei più importanti sostenitori dell’ultramontanismo, l’alleanza tra trono ed altare, e nel libro Du Pape sostenne anche il principio dell’infallibilità del papa.

Durante il regno di Carlo X in Francia, un gruppo di intellettuali raccolti attorno all’abate Felicité de Lamennais e alla rivista «L’Avenir» – fondata insieme a Charles de Montalembert ed Henri-Dominique Lacordaire – formulò le prime elaborazioni di un cattolicesimo liberale che si proponeva di suscitare un moto di riforma all’interno della Chiesa per indurla ad abbandonare l’alleanza tra trono ed altare. Nel 1829, Lamennais, nel libro Des progrès de la Révolution et de la guerre contre l’Èglise, respinse il gallicanesimo e ogni ingerenza del potere civile in materia religiosa, sostenendo che la restaurazione della Chiesa dovesse avvenire senza l’appoggio dello Stato.

Dopo la rivoluzione di luglio 1830, Lamennais elaborò un vero e proprio programma politico dei cattolici liberali. Il punto principale di questo programma consisteva nella libertà di religione e nella completa separazione della Chiesa dallo Stato. Oltre alla libertà religiosa, i cattolici liberali chiedevano la libertà d’insegnamento, di stampa e di associazione, l’abolizione dell’accentramento statale e il riconoscimento delle autonomie locali. Il 15 agosto 1832, però, papa Gregorio XVI con l’enciclica Mirari Vos condannò duramente i principi fondamentali del liberalismo – come la libertà di stampa, la libertà di coscienza, il diritto dei sudditi di ribellarsi ai principi, il principio della separazione tra Stato e Chiesa – e, senza mai pronunciarlo, disapprovò lo stesso cattolicesimo liberale.

In Italia, una corrente cattolico-liberale esisteva sin dagli inizi della Restaurazione e una funzione preparatoria nello sviluppo del cattolicesimo liberale fu svolta dal giansenismo che aveva contribuito alla disgregazione della vecchia tradizione guelfa e aveva lasciato in eredità agli uomini del Risorgimento, non solo ai cattolici liberali, lo spirito antigesuitico, un forte rigore morale, l’obiettivo di istituire nuovi metodi educativi, una profonda ostilità verso il feudalesimo e soprattutto l’esigenza di una riforma religiosa.

Influenzato dal giansenismo, grazie al suo soggiorno in Francia, Alessandro Manzoni fu a suo modo considerato la principale figura di riferimento, anche se esclusivamente intellettuale, del movimento cattolico-liberale in Italia.

Nel 1819, nelle Osservazioni sulla morale cattolica, Manzoni confutò le teorie di Sismondi – il quale sosteneva che il cattolicesimo aveva causato la decadenza morale e politica dell’Italia – fornendo una prima elaborazione, in chiave nazionale, del pensiero cattolico-liberale.

Tuttavia, è Il Discorso sopra alcuni punti di storia longobarda, sempre di Manzoni, pubblicato nel 1822, che costituisce uno degli apporti più alti della storiografia cattolico-liberale. Secondo questa tesi il papato non solo aveva salvato il patrimonio storico-culturale dal dominio dei longobardi ma, difendendo le autonomie cittadine, aveva permesso anche la fioritura delle libertà comunali.

L’elemento nazionale – secondo questa interpretazione diffusa poi nei testi di Carlo Troya, Cesare Balbo, padre Luigi Tosti – era stato salvaguardato dalla mancata fusione tra conquistatori e conquistati e quindi dal ruolo della Chiesa che aveva garantito per secoli l’italianità della penisola. La polemica contro i metodi autoritari della Restaurazione e contro l’alleanza del trono e dell’altare portò Manzoni, ma anche Balbo, Tosti, Troya ed altri cattolici liberali, a scrivere una molteplicità di opere storiche.


 

 
Cesare Balbo - 1848 - litografia  

Il movimento cattolico-liberale francese ebbe una diretta influenza soprattutto in Toscana. Nel 1831-1832, infatti, durante il loro viaggio in Italia, Lamennais, Montalembert e Lacordaire incontrarono, a Firenze, alcune personalità che si riunivano intorno a l’«Antologia» di Viesseux: Gino Capponi, Raffaele Lambruschini e Niccolò Tommaseo. Quest’ultimo, nel 1835, pubblicò a Firenze dei falsi Opuscoli di Fra Girolamo Savonarola dove l’idea patriottica venne posta su basi religiose e democratiche.

L’attività politico-culturale dei cattolici liberali italiani si concentrò soprattutto su due questioni decisive per il movimento nazionale: la riforma della Chiesa e l’unità del Paese. La grande questione della riforma della Chiesa, però, rimase confinata, per molti anni, all’interno di ristretti cenacoli intellettuali senza che assumesse una rilevanza politico-pubblica.

Gli scritti religiosi di Lambruschini, quasi tutti pubblicati postumi (ad esempio Della autorità e della libertà. Pensieri di un solitario, pubblicato una prima volta postumo nel 1876 e poi di nuovo riscoperto nel 1932), auspicavano una riforma non solo politica ma anche dottrinale della Chiesa, proponendo tra gli altri, la sostituzione dei precetti della Chiesa con una semplice azione educativa, l’abolizione del celibato e della confessione dei peccati.

Il libro di Antonio Rosmini, invece, Delle Cinque piaghe della Santa Chiesa – ovvero la divisione del clero dal popolo, l’insufficienza cultura del clero, la disunione dei vescovi, la nomina dei vescovi abbandonata al potere laicale e la servitù dei beni ecclesiastici – benché scritto nel 1832-1833 venne pubblicato solamente nel 1848.

Queste opere, negli anni Trenta, rimasero ai margini del dibattito pubblico, anche perché dopo il 1831 la dura reazione che seguì la rivoluzione nei Ducati e nello Stato pontificio accentuò il carattere intransigente dell’azione di papa Gregorio XVI che si rifiutò di attuare nello Stato pontificio perfino le riforme amministrative consigliate dalle grandi potenze col Memorandum del 10 maggio 1831. Per circa un decennio il centro principale della propaganda reazionaria fu Modena dove, per volontà del duca Francesco IV, sorse il giornale la «Voce della Verità» che condusse una forte polemica contro il liberalismo e contro l’«Antologia» di Viesseux.

Fino al 1843 l’attività pubblica dei cattolici liberali italiani fu soprattutto culturale ed ebbe le sue più importanti manifestazioni in campo letterario, storiografico, pedagogico e filosofico. Questa lunga e composita tradizione culturale – che dal «Conciliatore» giunge fino a Cesare Balbo, ad Alessandro Manzoni e a Vincenzo Gioberti – preparò il terreno culturale alla redazione e al successo di uno dei libri più importanti dell’Ottocento: ilPrimato morale e civile degli italiani di Vincenzo Gioberti.

L’abate torinese, infatti, dette a questa letteratura la forza di un programma politico – che si basava sull’idea che il rinnovamento nazionale dell’Italia potesse realizzarsi nel quadro dell’universalismo papale – e il cattolicesimo liberale, attraverso la proposta neoguelfa, divenne un vasto movimento politico che si affermò in concomitanza del fallimento dei conati rivoluzionari mazziniani del 1843-1844 (progetto della legione italiana di Nicola Fabrizi e spedizione dei fratelli Bandiera). Il Primato morale e civile degli italiani, sebbene avesse incontrato un enorme successo, sollevò anche numerose discussioni.

Il dissenso tra Luigi Taparelli d’Azeglio e Gioberti scoppiò proprio sulla questione della nazionalità, soprattutto a partire dalla pubblicazione dei Prolegomeni del Primato morale e civile degli italiani, nel 1845, in cui l’antigesuitismo diventa una componente fondamentale del movimento neoguelfo.

L’elezione al soglio pontificio di Pio IX generò, però, una stagione di grandi aspettative e durante il cosiddetto “biennio delle riforme”, dal 1846 al 1848, la proposta politica neoguelfa sembrò ottenere vasti consensi politici. Il 5 aprile del 1848 il generale Giovanni Durando, comandante delle forze regolari e volontarie dello Stato pontificio durante la prima guerra d’indipendenza, lesse un proclama, scritto da Massimo d’Azeglio, in cui si sosteneva che il santo pontefice aveva benedetto le spade per combattere «i nemici di Dio e dell’Italia».

Con questo discorso la propaganda neoguelfa raggiunse, probabilmente, il suo momento di maggior successo, ma venne ben presto sconfessata dall’allocuzione di Pio IX del 29 aprile 1848 con cui il papa smentì ogni ipotesi che lo voleva a capo di una «nuova Repubblica degli universi popoli d’Italia». Con la netta presa di posizione del papa crollò definitivamente la proposta politica neoguelfa.

D’altra parte, nel decennio successivo, dal 1849 al 1859, si registrò, da un lato, la ripresa dei gesuiti e dei cattolici intransigenti, soprattutto attraverso i periodici «La Civiltà Cattolica» e «l’Armonia», e dall’altro lato, l’adesione di molte personalità cattolico-liberali, come ad esempio Marco Minghetti, al movimento liberale cavouriano. Dopo la seconda guerra di indipendenza e la vittoria del movimento monarchico-unitario si risvegliò la polemica antigesuitica e risorse una vivace, anche se breve, stagione dei cattolici liberali in alcune grandi città.

A Torino, ad esempio, padre Carlo Passaglia, gesuita e collaboratore della «Civiltà Cattolica» fino al 1859, pubblicò alcuni opuscoli in favore della conciliazione e cercò di organizzare un movimento conciliazionista tra il clero esteso a tutta l’Italia. A tale scopo fondò nel 1862 il periodico «Il Mediatore», che rimase in vita fino al 1866, e nel 1863 tentò di costituire una Società ecclesiastica italiana cercando di organizzare su base nazionale alcuni gruppi di cattolici liberali sorti in alcune grandi città come Milano, Firenze o Napoli. Nel 1867, dopo essere stato eletto deputato, fu sospeso a divinis.

 


 

  Il Concilio Vaticano I

A Milano, intanto, era già nata nel 1859 una Società ecclesiastica e nel 1860 era stato fondato un giornale cattolico-liberale «Il Conciliatore» che si impegnò in una vivace polemica contro i cattolici intransigenti.

Il vicario capitolare della diocesi, monsignor Caccia Dominioni, però, non condividendone le posizioni, fece cessare le pubblicazioni. Negli stessi anni, a Milano, l’idea cattolico-liberale fu tenuta viva da un altro periodico, «Il Carroccio», che sopravvisse, però, per un breve periodo di tempo. Nel 1864, infatti, a Milano venne fondato «L’Osservatore Cattolico», il giornale dei cattolici intransigenti guidato da don Albertario, che ebbe un vasto successo di pubblico.

A Firenze, nel 1860, sorse una Società di mutuo soccorso fra ecclesiastici e un periodico «L’Esaminatore» che propugnò un programma di profonde riforme ecclesiastiche. Tuttavia, anche queste esperienze ebbero vita breve per la decisa ostilità della curia vescovile. Il movimento cattolico-liberale di Napoli, invece, ebbe una vivace e duratura attività pubblica.

Nella città campana venne fondato un periodico d’ispirazione cattolico-liberale, «L’Emancipatore Cattolico», e nel 1860 sorse la Società emancipatrice e di mutuo soccorso del sacerdozio italiano che in occasione del Concilio Vaticano I, nel 1869, si fece promotrice di un programma che proponeva l’abolizione del celibato e del potere temporale della Chiesa, l’elezione dei vescovi e del clero, una maggiore partecipazione del laicato e una riconciliazione della Chiesa con il progresso e la scienza.

Tutte queste proposte, però, non furono accolte da Pio IX che condannò, in modo assai più ampio di quanto avesse fatto papa Gregorio XVI con la Mirari Vos, il movimento cattolico-liberale, prima, nell’allocuzione Quanto conficiamur moerore dell’agosto del 1863 e, poi, nel quarto paragrafo del Sillabo del 1864. Il movimento cattolico-liberale, privo di appoggi consistenti della classe dirigente, declinò progressivamente e svanì rapidamente nei primi anni Settanta del XIX secolo.


Schede collegate: Vincenzo Gioberti, neoguelfismo

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Le origini del cattolicesimo liberale

In questo brano che riproduciamo, Ettore Passerin d’Entrèves ricostruisce le origini politico-culturali del cattolicesimo liberale in Italia attraverso le opere dei suoi più importanti protagonisti.

E. Passerin d’Entrèves, Le origini del cattolicesimo liberale in Italia, in AA. VV., I cattolici liberali nell’Ottocento, Torino, Società Editrice Internazionale, 1974, pp. 96-102.

 

La polemica tra Gioberti e Taparelli

Nelle pagine che seguono, dopo un rapido excursus sulle origini del cattolicesimo liberale in Italia e sull’importante ruolo svolto da Alessandro Manzoni, Gabriele De Rosa si sofferma sulla polemica tra l’abate Vincenzo Gioberti e il gesuita Luigi Taparelli d’Azeglio.

G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, Roma-Bari, Laterza, 1966, pp. 39-51.