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I valori » Il Tricolore  
 
 

 

  Bandiera tricolore donata da Giuseppe Garibaldi al capitano John Whitehead Peard - Ambasciata di S. M. britannica - Roma

Il tricolore italiano è una variante della bandiera rivoluzionaria francese. È così di tutti i tricolori che simboleggiano la causa nazionale nel corso del XIX secolo. Accanto al bianco e al rosso, il colore italiano è il verde, il quale, secondo la simbologia giacobina e gli ideali della massoneria settecentesca, rappresenta la natura e i diritti naturali, l'uguaglianza e la libertà. 

A differenza della Francia, dove nel corso del XIX secolo il tricolore si identifica con un partito (repubblicano e bonapartista) e contende lo spazio simbolico al vessillo bianco con il giglio della tradizione borbonica e cattolica, in Italia il verde il bianco e il rosso sono fin dall'inizio i colori della causa della libertà e dell'indipendenza nazionale. Bandiera e nazione, in altri termini, si muovono lungo binari paralleli.

Per quanto riguarda le origini del tricolore è certo che comparve nelle coccarde e negli stendardi del triennio giacobino tra il 1796 e il 1799.

Secondo alcuni la sua apparizione risalirebbe addirittura al 1794, nel tentativo insurrezionale promosso da due giovani studenti bolognesi, Luigi Zamboni e Giovan Battista De Rolandis, i quali usarono come segno una coccarda che, al bianco e al rosso di Bologna, univa il verde che doveva simboleggiare la speranze italiane.

Cesare Cantù ricorda che le coccarde della Guardia nazionale milanese nel 1796 erano tricolori e in ottobre Napoleone in persona autorizzò i soldati della Legione lombarda a fregiarsi dei «colori nazionali», e cioè il verde il bianco e il rosso.

 

 

  Bandiera della Legione lombarda dei Cacciatori a cavallo (Primo tricolore italiano distribuito alle truppe della Repubblica cisalpina) - Museo del Risorgimento - Milano

Nel 1797, il tricolore divenne il vessillo della Repubblica cispadana. È questa la versione oggi accreditata sull'origine della bandiera italiana: Giuseppe Compagnoni, rappresentante di Lugo in Romagna, propose l'adozione del vessillo al congresso di Reggio Emilia, che il 7 gennaio lo dichiarò «simbolo della Patria». Dopo la fusione della Repubblica cispadana e di quella transpadana, a partire dall'estate di quell'anno il tricolore divenne la bandiera della Repubblica cisalpina e poi del Regno italico.

La forma della bandiera variò in quegli anni. Alle tre bande di colore disposte verticalmente all'asta, con il verde in primo luogo, si affiancarono stendardi in cui i colori sono disposti in senso orizzontale, con il rosso in alto. In alcuni casi, sul bianco campeggiava un fascio littorio sormontato dal berretto frigio della rivoluzione incorniciati da un serto d'alloro. 

La Repubblica italiana (1802-1805) adottò un tricolore formato da quadrati iscritti l'uno nell'altro in modo che i lati risultassero opposti agli angoli: un quadrato verde in un rombo bianco in un quadrato rosso. Ancora oggi questa, bordata di azzurro e con il simbolo della Repubblica italiana al centro, è l'insegna del Presidente della Repubblica.

 

 
Bandiera patriottica - 1848 ca.  - Collezione Antonietta Zamichieli - Venezia  

Abolito con la Restaurazione, il tricolore ricomparve nei moti del 1821 e del 1831, affiancandosi prima al rosso al blu e al nero della Carboneria per prendere poi il sopravvento in Piemonte e nell'Italia centrale (a Napoli i rivoluzionari restarono fedeli al tricolore della Repubblica partenopea del 1799, rosso oro azzurro).

Il tricolore verde bianco e rosso divenne il vessillo della Giovine Italia e fu portato da Garibaldi in America latina.

Nel 1847 Goffredo Mameli nel Canto degli Italiani, musicato da Michele Novaro e diventato l'inno nazionale Fratelli d'Italia, scrisse: «Raccolgaci un'unica bandiera, una speme».

Il 10 dicembre il tricolore mazziniano fu portato in corteo per le strade di Genova per celebrare Balilla e nel suo nome la rivolta antiaustriaca della città del 1746.

In quell'occasione risuonarono anche le note dell'inno di Mameli. Il tricolore fu la bandiera della rivoluzione del 1848-1849. Sventolava a Napoli, in Sicilia, sugli spalti della Repubblica romana, in Toscana e in tutta l'Italia centrale, in Lombardia e in Piemonte. Qui non fu mai più ammainato.

 

 

  Bandiera Tricolore dedicata a Vittorio Emanuele II "il primo soldato d'Italia" - 1860 ca. - Museo Centrale del Risorgimento - Roma

Sebbene lo Statuto albertino aveva cura di ancorare alla costituzione il vessillo di casa Savoia e specificava, all'articolo 77, che la coccarda azzurra era l'unica nazionale, fin dal marzo del 1848 Carlo Alberto riconobbe il tricolore come il simbolo della causa italiana e stabilì che, per meglio dimostrare con un segno esteriore il sentimento dell'unità italiana, le truppe piemontesi sarebbero entrate in Lombardia e a Venezia innalzando il tricolore sul quale doveva campeggiare lo stemma sabaudo.

Due decreti successivi, dell'11 e del 28 aprile, stabilirono che la bandiera verde bianca e rossa con lo scudo della monarchia piemontese venisse inalberata sulle navi da guerra e della marina mercantile e che la coccarda tricolore e non quella azzurra fosse il distintivo della milizia comunale. Dell'antico simbolo nazionale di Casa Savoia, oltre alla croce nello scudo, rimase l'azzurro che avrebbe bordato l'insegne ufficiali dello Stato italiano.
 

 

Il triennio giacobino e Napoleone

Nella lettera scritta al Direttorio l'11 ottobre del 1796 Napoleone fa riferimento al verde al bianco e al rosso come ai colori nazionali. Riportiamo inoltre un brano tratto da un'opera di Cesare Cantù dedicata a Vincenzo Monti e ai suoi anni.

O. Colangeli, Simboli e bandiere nella storia del Risorgimento italiano, Bologna, Patron, 1965, pp. 9-17.

C. Cantù, Monti e l'età che fu sua, Milano, Treves, 1879, pp. 1-9.

 

La storia del tricolore

Nella disputa sull'origine del tricolore agiscono patriottismi locali e memorie politiche contrapposte. Enrico Ghisi negli anni Trenta raccolse documenti e tracciò la storia della nostra bandiera.

E. Ghisi, Il tricolore italiano (1796-1870), Milano, Rizzoli, 1931, pp. 9-35.

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