» 07|L'internazionalismo  
 

Il Risorgimento italiano ebbe una forte componente internazionalista. Per spiegare questa presenza è necessario ricordare alcuni fatti. Innanzitutto l’assetto politico territoriale della penisola era stato determinato da un congresso internazionale delle potenze vincitrici (Congresso di Vienna) e dunque il problema della nazionalità italiana poteva trovare una soluzione solo nel contesto più ampio del riassetto degli equilibri politici del Continente.


 

 
IF. S. Winterhalter - Napoleone III, l'imperatore dei Francesi - Museo Napoleonico - Roma  

Bisogna poi tener presente che le radici intellettuali del nazionalismo italiano affondavano nel terreno della tradizione illuministica e lì avevano intrecciato un legame forte con le componenti solidaristiche e umanitarie del cosmopolitismo settecentesco, riversate nel grande invaso ideologico della Rivoluzione del 1789.

L’internazionalismo faceva sicuramente parte del corredo ideologico dei democratici, ma fu tutt’altro che estraneo anche all’impostazione liberale del problema italiano.

Entrambe queste posizioni muovevano dalla convinzione che la questione italiana riguardasse l’Europa e la trasformazione dei suoi assetti politici dentro la crisi dell’ordine sancito nel 1815. Esse si dividevano tuttavia sulla domanda di cosa fare in e verso l’Europa. Si trattava, insomma, di riuscire a costruire una presenza europea amica della causa italiana da contrapporre alla egemonia austriaca sula penisola.

Decisivo fu lo spartiacque del biennio 1848-1849. La sconfitta della rivoluzione europea, la vittoria, in Francia, di Luigi Napoleone, e a Vienna del partito dei militari, furono gli elementi determinanti nel mutamento del quadro politico nel Vecchio Continente. Il movimento risorgimentale italiano ne prese atto tra molti contrasti e con lentezza.

Tanto i liberali che i democratici dovettero, innanzitutto, fare i conti con quello che significava, in termini di possibilità di reazione, il possesso di una forte ed efficiente organizzazione militare.

La decisa reazione dell’Austria nel 1848 e nel 1849 alle minacce che venivano alla sua stabilità, tanto dal centro della monarchia che dalla sua periferia, finì per costringere gli italiani a rivedere molte delle loro posizioni precedenti.

Con la netta riaffermazione del carattere unitario e accentrato della monarchia asburgica, tramontarono tanto le ipotesi moderate di una confederazione degli Stati italiani (che sarebbe stata resa possibile solo dall’uscita di scena dell’Austria dal Lombardo-Veneto eventualmente compensata dalla sua espansione nei Balcani in funzione anti russa, come aveva ipotizzato Cesare Balbo nelle Speranze d’Italia fin dal 1844), quanto il disegno politico dei democratici che, attraverso un’alleanza delle nazionalità oppresse, avevano ritenuto possibile la trasformazione della monarchia asburgica in uno Stato federale. Così, ad esempio, la pensava Cattaneo, mentre Mazzini auspicava la distruzione pura e semplice dell’Impero austriaco.

I fatti andarono in maniera diversa. La Sinistra risorgimentale, tuttavia, non si arrese subito all’evidenza della sconfitta. Anzi, le prove fatte dalla Repubblica romana e l’eroica resistenza di Venezia la convinsero che quella dell’estate del 1849 fosse solo una tregua momentanea e che ben presto il movimento rivoluzionario internazionale avrebbe ripreso la sua marcia.

Mazzini infatti ritenne di dover accentuare l’opera di organizzazione del movimento democratico internazionale. La lezione che ricavava dal biennio 1848-1849 era la stessa che aveva guidato la sua azione a partire dal 1831: la santa alleanza dei popoli avrebbe sconfitto la santa alleanza dei despoti. Per questo, a Londra, fondò il «Comitato centrale democratico europeo» che avrebbe dovuto condurre alla nascita di un’associazione democratica internazionale.

L’iniziativa non ebbe successo anche perché il movimento democratico era profondamente diviso al suo interno. Ad ogni modo, fu il colpo di stato di Luigi Napoleone in Francia a chiudere la partita. Dopo il 2 dicembre del 1851, il Comitato di Londra cessò di fatto ogni attività. Luigi Napoleone aveva risolto a suo vantaggio e contro tutte le aspettative della Sinistra europea la crisi della Seconda Repubblica. Di lì a poco si sarebbe fatto proclamare imperatore dei francesi con il nome di Napoleone III, seppellendo definitivamente l’idea che dalla Francia sarebbe potuta partire una nuova ondata rivoluzionaria.

Cospiratore in gioventù, egli diventava ora il nemico giurato di tutti i rivoluzionari d’Europa e, segnatamente, di quelli italiani. Ma nel fallimento mazziniano contava anche dell’altro. L’emergere della questione sociale, innanzitutto, accanto a quella nazionale e lo sviluppo del movimento socialista avrebbero prodotto una crisi profonda del movimento democratico durante gli anni Cinquanta.

La consapevolezza che la soluzione del problema italiano passasse per la sua internazionalizzazione fu la carta vincente dei liberali e in particolare guidò l’opera di Cavour, la cui capacità fu proprio quella di fare della questione italiana uno dei grandi problemi europei del decennio 1850-1860.

In questo senso Cavour seppe sfruttare a suo vantaggio il favore che la causa italiana incontrava presso l’opinione pubblica europea, in particolare inglese, facendo leva soprattutto sul pregiudizio anticattolico e antiborbonico del protestantesimo. La politica anticlericale di Cavour ebbe un ruolo decisivo da questo punto di vista, accreditando presso il pubblico anglosassone l’immagine del Risorgimento italiano come di un movimento rivolto essenzialmente a liberare la penisola dal secolare dispotismo del papa e della sua curia.

L’opera di Cavour si mosse però in due direzioni. A differenza dei democratici che consideravano Napoleone III un nemico giurato della rivoluzione, lo statista piemontese seppe leggere nel ritorno bonapartista in Francia un elemento di crisi e non di stabilizzazione dell’ordine europeo e decise di sfruttarlo per i propri fini.

Il regime di Napoleone III aveva un segno politico ambiguo, al tempo stesso conservatore e dinamico. L’imperatore dei francesi aveva paura della rivoluzione (e soprattutto dei rivoluzionari), eppure era spinto dalla sua ambizione imperiale a forzare i termini della legalità internazionale e dell’assetto di potere che aveva retto le sorti del Vecchio Continente per più di trent’anni dopo il 1815.

 


 

  L'Inghilterra e la Francia aiutano l'Austria a calzare lo Stivale, una caricatura sulla situazione politica internazionale nel 1848

Di qui la scelta di Cavour di coltivare l’alleanza con la Francia, facendo balenare al suo imperatore il miraggio di un’egemonia mediterranea a spese dell’Austria, e insieme la paura di un’ulteriore radicalizzazione del problema italiano.

Va infatti ricordato che la sera del 14 gennaio 1858 un gruppo di congiurati, capitanato da un ex mazziniano, Felice Orsini, riuscì a lanciare tre bombe contro la carrozza di Napoleone III, che usci illeso dall’attento ma molto disponibile ad accogliere il ragionamento di chi gli suggeriva di appoggiare Cavour per non dover essere costretto un giorno a fronteggiare Mazzini. Si arrivò così agli accordi di Plombières e all’intesa franco-piemontese nel 1859.

L’altra direttrice dell’azione politico diplomatica di Cavour fu la questione d’Oriente. Si è vista, nel cenno fatto sopra alle tesi di Cesare Balbo, la rilevanza che i rapporti europeo-orientali tra le potenze vincitrici nel 1815 avevano nello schema politico internazionale dei moderati. In quell’area dell’Europa, il conflitto interno al blocco reazionario tra la Russia da un lato, l’Austria e la Prussia dall’altro avrebbe finito per mettere in crisi l’ordine della Santa alleanza.

Fu questo il caso della guerra di Crimea, che ebbe un’importanza decisiva per la ridefinizione dei rapporti europei nella seconda metà del XIX secolo. Francia e Inghilterra scesero in guerra contro la Russia che minacciava l’Impero ottomano, mentre l’Austria, che rappresentava l’altro pilastro della Santa alleanza, ruppe la sua solidarietà con lo zar e si dichiarò neutrale, trovando il modo di irritare l’antico l’alleato senza accontentare i suoi attuali nemici, Francia e Inghilterra.

Cavour ottenne la partecipazione di un corpo di spedizione piemontese a fianco delle potenze occidentali in un contesto internazionale molto difficile (1855). Fu una decisione arrischiata e che tuttavia in un gioco politico europeo in rapida evoluzione introdusse un elemento ulteriore di novità.

Cavour partecipò al Congresso di Parigi che doveva trattare le condizioni della pace. Vi arrivò con in testa il vecchio schema moderato: limitare l’egemonia austriaca in Europa, orientarla verso i Balcani in funzione anti russa e integrare l’Austria ad un nuovo ordine europeo fondato sulla contrapposizione tra blocco liberale occidentale e blocco reazionario orientale.

A Parigi la sua posizione mutò. Innanzitutto si spogliò di quel tanto di egoistico che la posizione di Balbo conteneva: sacrificare l’indipendenza dei popoli slavi per salvaguardare i diritti dell’Italia. Il principio di nazionalità affiorò come un criterio sicuro del suo operato diplomatico: così ad esempio quando nel corso delle trattative si fece aperto sostenitore dell’indipendenza e dell’unità dei principati danubiani di Valacchia e di Moldavia, che in un primo momento aveva pensato invece di sacrificare a compensazione dell’auspicata diminuzione dell’influenza austriaca in Italia.

A Parigi soprattutto si videro in azione altre dinamiche: il riavvicinamento tra russi e francesi e quello tra inglesi e austriaci. Cavour capì che Napoleone III era il nuovo astro della politica europea e che aveva molta voglia di rimettere in discussione gli assetti tradizionali di potere. Fu una rivelazione importante che determinò le scelte politiche e diplomatiche dello statista piemontese negli anni successivi.


 

 
Otto Von Bismarck  

L’Europa dopo la guerra di Crimea fu caratterizzata da una nuova rivalità tra Prussia e Austria per l’egemonia sul mondo tedesco. In poco meno di vent’anni la partita si risolse a vantaggio della nuova potenza prussiana che organizzò attorno alla sua ascesa l’unificazione della Germania (1870) e portò la sfida direttamente nel cuore del sistema di potere europeo.

L’Italia compì il suo progetto unitario nel 1866 e nel 1870. Nella terza guerra d’indipendenza fu dalla parte della Prussia, dalla quale ottenne l’annessione del Veneto, e quando i tedeschi sconfissero Napoleone III a Sedan venne meno l’impegno stretto con la Francia per il rispetto dell’integrità territoriale dello Stato pontificio. Nel 1870 gli italiani si insediarono a Roma, una città carica di valori universalistici che da sempre era stata il punto di approdo del movimento nazionale italiano.

L’Italia divenne una nazione dentro il sistema in rapida trasformazione degli assetti politico-territoriali del potere europeo. All’Europa dell’Ottocento, tuttavia, il Risorgimento italiano lasciò in eredità l’idea che i principi di libertà, di uguaglianza e di indipendenza nazionale non potessero essere pensati come validi per un solo paese e dentro lo spazio di una sola nazione.

Il principio di nazionalità portava con sé il riconoscimento del diritto delle nazioni alla propria indipendenza e all’idea che su questa base si potesse costruire una nuova comunità internazionale di popoli liberi ordinati nella forma di Stati sovrani.


Schede collegate: Garibaldi, Cavour, Napoleone III, Cesare Balbo, Mazzini

Documenti
 

Le basi filosofiche dell’internazionalismo

La storia secondo Condorcet è storia della civilizzazione. Il filosofo francese enuncia un principio fondamentale della cultura politica moderna: l’umanità avanza sulla strada del progresso. I popoli più evoluti indicano il cammino a quelli che stanno indietro. Aiutare i popoli che anelano alla libertà a sbarazzarsi degli ostacoli frapposti sulla strada del progresso diventa la missione della rivoluzione.

Marie-Jean-Antoine-Nicolas de Condorcet, Abbozzo di un quadro storico dei progressi dello spirito umano (1793), Torino, Einaudi, 1969, pp. 165-192.

 

La guerra è anteriore al commercio

Benjamin Constant esprime una concezione dei rapporti internazionali sulla base dell’espansione degli scambi commerciali che è al tempo stesso una teoria delle origini della guerra e dei modi di instaurare la pace. In essa è l’abbozzo di una concezione liberale del processo di civilizzazione fortemente critica delle teorie dell’illuminismo radicale fondate sul principio di uniformità.

B. Constant, Lo spirito di conquista e l’usurpazione (1814), Macerata, Liberilibri, 2008, pp. 13-16.

 

La pluralità delle tradizioni nazionali contro l’espansionismo rivoluzionario giustificato in nome del principio di uniformità

In questo capitolo, tratto da Lo spirito di conquista, Constant individua nella concezione rivoluzionaria dell’uniformità della storia dell’uomo la base per giustificare il moderno spirito di conquista.

B. Constant, Lo spirito di conquista e l’usurpazione (1814), Macerata, Liberilibri, 2008, pp. 49-56.

 

La santa alleanza dei popoli

Dopo il biennio rivoluzionario 1848-1849, Mazzini ritenne che si dovesse intensificare lo sforzo per unire le forze democratiche europee Egli ripeteva uno schema che aveva già seguito nel 1834 quando aveva dato vita in Svizzera alla «Giovine Europa» e nel 1847 con la fondazione a Londra della «Lega internazionale dei popoli». In questo testo Mazzini riafferma i suoi principi e traccia una «storia dei moti popolari degli ultimi due anni».

G. Mazzini, La santa alleanza dei popoli, in Id., Scritti editi e inediti, vol. VII, Politica, V, Milano, Daelli, 1864, pp. 207-226.

 

Cavour e la questione dei principati danubiani

Allo scoppio della guerra di Crimea l’Austria occupò militarmente i principati danubiani di Valacchia e di Moldavia con lo scopo di impedire un’azione analoga della Russia. Al Congresso di Parigi, che doveva trattare le condizioni della pace, Cavour si presentò con la vecchia idea di compensare ai danni dei popoli slavi l’eventuale perdita di influenza dell’Austria in Italia. Nel corso del Congresso la sua posizione si modificò e, discutendo della questione dei principati, egli si fece aperto sostenitore del principio di nazionalità nella trattazione della vicenda danubiana. Nella lettera a Emanuele d’Azeglio del 7 marzo 1856 Cavour dice chiaramente che se il Congresso di Parigi decidesse di negare l’unione dei principati e ne mantenesse lo stato attuale si coprirebbe di infamia, ripetendo l’offesa che si era fatta a Vienna contro i diritti dell’umanità.

C. Benso conte di Cavour, Cavour e l’Inghilterra, vol. I, Il Congresso di Parigi, Bologna, Zanichelli, 1933, p. 275.