» 01|Regno di Sardegna  
 


 

 
Miniatura di re Carlo Alberto - Museo Nazionale del Risorgimento  - Torino  

Durante la Restaurazione, la situazione generale del Regno di Sardegna migliorò progressivamente nel corso dei decenni. Dal punto di vista politico e delle strutture dello Stato, è possibile individuare sostanzialmente tre fasi: la restaurazione attuata nel 1815 da Vittorio Emanuele I; la politica riformistica di Carlo Alberto e la concessione dello Statuto (1848); lo sviluppo in senso liberale nel decennio 1849-1859.

La restaurazione dei Savoia significò per il Piemonte un deciso ritorno al passato. Vittorio Emanuele I ristabilì la legislazione prerivoluzionaria e fece un ampio uso di editti e di provvedimenti straordinari («regie patenti») spesso in violazione della legislazione vigente; reintrodusse le discriminazioni ai danni di ebrei e valdesi, ristabilì il controllo della Chiesa sull’istruzione, ripristinò molti antichi privilegi nobiliari.

Il carattere retrivo del governo sabaudo fu ulteriormente aggravato dall’epurazione condotta nei confronti dei quadri politici, amministrativi e militari formatisi durante il regime napoleonico. Tale provvedimento si rivelò oltremodo dannoso per la vita del Regno, perché lo privò di molti funzionari esperti.

Sulla vita economica fu ristabilita una legislazione fortemente vincolistica con alti dazi di entrata, di uscita e di transito, nonché con il divieto di esportare e di importare determinate merci. Il complicato sistema di controlli sui commerci pesò negativamente sull’economia del Regno e in particolare sui traffici del porto di Genova, che vide ridotto al minimo il commercio con l’estero.

L’attività della antica Repubblica marinara (Genova era stata assegnata al Piemonte nel novembre 1814) progredì lentamente nei primi decenni della Restaurazione, alimentando il malcontento della borghesia e delle classi popolari genovesi, la cui vita ruotava tutta attorno all’attività del porto.


 

 
Il Regno di Sardegna intorno alla metà del secolo. A New Universal Atlas Containing Maps of the various Empires, Kingdoms, States and Republics Of The World Philadelphia. Published By S Augustus Mitchell, N E corner of Market & 7th Streets 1846 by H N Burroughs, Pennsylvania  

Si trattava dunque di un governo che non favoriva certo i settori più dinamici della società. Tuttavia, presso l’opinione pubblica (i cui confini erano limitati ai ceti medio-alti) il sentimento patriottico fiorito durante la dominazione francese si rivolgeva ora contro l’Austria, incontrando su questa via i sentimenti antiaustriaci di casa Savoia, dell’esercito e della marina da guerra. Con il passare del tempo fu questo un elemento utile alla diffusione del sentimento liberale e patriottico. Certo il Piemonte non rappresentò, in questa fase, un ambiente favorevole allo sviluppo delle tendenze liberali.

Lo fu persino meno della Lombardia austriaca: in Piemonte non esisteva un’esperienza paragonabile a quella che fu, in Lombardia, la rivista «Il Conciliatore». Del resto, scrittori piemontesi come Silvio Pellico e Ludovico di Breme vissero in quel tempo a Milano e appartennero proprio al «Conciliatore». Anche il piemontese Massimo d’Azeglio a un certo punto pensò che in Lombardia avrebbe meglio soddisfatto le sue aspirazioni artistiche.

 


 

  Torino nella prima metà del secolo. Published under the superintendence of the Society for the Diffusion of Useful Knowledge. Printed by J. Henshall (London: Chapman & Hall, 1844).

Attive nel territorio erano diverse società segrete come l’Adelfia e la Federazione italiana, probabilmente collegate alla setta dei Sublimi Maestri Perfetti organizzata a Ginevra da Filippo Buonarroti.

La Federazione italiana era in Piemonte più diffusa della stessa Carboneria e si proponeva, come fini immediati, l’indipendenza dall’Austria e la formazione di una monarchia costituzionale nell’Italia settentrionale.

Reclutò aderenti fra la borghesia ma si diffuse anche presso l’esercito e l’aristocrazia liberaleggiante, di cui Santorre di Santarosa era divenuto il principale esponente.

Nacquero da qui le vicende della rivoluzione piemontese del ’21, per effetto di quelle scoppiate in Spagna e a Napoli nel 1820.

Nei primi decenni della Restaurazione l’economia dello Stato sabaudo si presentava prevalentemente come un’economia agricola: povera e scarsamente popolata era la zona montuosa, con presenza di pascoli poco redditizi ed estesi boschi, più fiorente la zona collinare, con una ingente produzione vinicola, mentre una varietà di colture si estendeva nella zona dell’alta e della bassa pianura (grano, granturco, segala, piantagioni di viti, di alberi da frutto e soprattutto di gelsi, che alimentarono una crescente bachicoltura).

Agricoltura e pastorizia erano le uniche attività presenti in Sardegna, praticate con metodi molto arretrati o addirittura primitivi. Particolarmente arcaica si presentava qui la struttura della società, giacché vigeva ancora il sistema feudale.


 

 
La famiglia reale di Vittorio Emanuele II in un fotomontaggio dell'epoca - Museo Centrale del Risorgimento - Roma  

Tra il 1836 e il 1839 Carlo Alberto portò a termine l’abolizione della feudalità in Sardegna, nel tentativo di creare una borghesia agraria alleata della Corona. L’abolizione del feudalesimo rappresentò un’indubbia svolta per l’isola. Tuttavia, il formarsi di una piccola proprietà terriera e la politica di incentivi messa a punto per la Sardegna non diedero i risultati attesi e l’agricoltura continuò a lungo ad essere praticata con metodi arretrati.

Per ciò che riguarda invece la nascente industria piemontese, piuttosto fiorente si presentava l’attività di trattura e di torcitura della seta, praticata in filande sparse nelle zone in cui si era sviluppata la bachicoltura. Alla fine degli anni Quaranta dell’Ottocento il Piemonte esportava i tre quarti della produzione ed era divenuto il secondo produttore serico della penisola, dopo la Lombardia.

Di antica tradizione e piuttosto sviluppata era anche l’industria laniera e cotoniera, quest’ultima diffusa a Intra, Novara, Biella, Chieri. Arretrata era invece l’industria metallurgica, mentre quella meccanica si giovò nel tempo delle prospettive offerte dalle costruzioni ferroviarie, navali e dalle esigenze militari. Agli inizi degli anni Cinquanta, a Genova, nacque l’Ansaldo; l’industria ebbe una rapida crescita (nel 1858 vi lavoravano 480 operai, un migliaio nel 1861) grazie anche alle ordinazioni di materiale ferroviario.

Uno snodo importante nella situazione generale del Regno fu la politica cautamente riformatrice di Carlo Alberto durante il suo regno (1831-1849).

Le riforme legislative e amministrative (fra cui l’istituzione di un Consiglio di Stato, la promulgazione di un codice civile, penale e di commercio) si accompagnarono ad alcuni provvedimenti in campo economico che andarono incontro alle esigenze dei ceti borghesi: così l’abolizione del divieto di esportare seta greggia (1835), l’adozione di tariffe doganali ridotte rispetto alle precedenti, la diminuzione del dazio sul grano, la stipula di ventisei trattati commerciali con alcuni Stati d’Europa e d’America.

 
Carlo Alberto firma lo Statuto - Museo nazionale del Risorgimento - Torino  

Parallelamente, il sovrano attuò un piano organico di riforma per il potenziamento dell’armata sarda; migliorò il funzionamento delle scuole militari e potenziò la marina da guerra, predisponendo opere di fortificazione per la città di Genova.

Sia pure attuate nell’ambito di un regime assoluto, tali riforme innescarono un certo dinamismo in campo agricolo e industriale, dando vita a nuove iniziative commerciali e bancarie (nel 1844 fu fondata a Genova una Banca di Sconto, tre anni dopo una seconda a Torino); stimolarono, presso l’élite colta piemontese, una proficua discussione sullo sviluppo economico dal carattere tendenzialmente liberale.

Più in generale, resero evidente la necessità di adeguare il vecchio ordinamento sabaudo, nel senso di uno sviluppo costituzionale.

Lo Statuto promulgato il 4 marzo 1848 sotto la spinta degli eventi rivoluzionari, e mantenuto in essere in seguito grazie agli esiti del Proclama di Moncalieri (1849), configurava un regime costituzionale nel quale il governo traeva la sua legittimità dalla fiducia del sovrano, mentre la funzione legislativa era esercitata congiuntamente dal re e dal Parlamento.

Il Parlamento era composto da due Camere: un Senato di nomina regia e una Camera dei deputati eletta dalla ristrettissima minoranza di popolazione che aveva diritto al voto: nel 1848, l’1,57% di una popolazione di circa cinque milioni di abitanti.

Al termine della guerra di indipendenza il Piemonte si presentava insomma come uno Stato vitale, con la volontà di espandersi: aveva condotto una guerra contro l’Austria e, soprattutto, era divenuto uno Stato costituzionale.

Con il fallimento del biennio rivoluzionario, fu infatti l’unico Stato in cui sopravvisse l’esperimento costituzionale con il mantenimento dello Statuto, diversamente dal resto della penisola. Cominciò allora l’esilio di molti perseguitati politici verso Torino: si stima che in venti-trentamila vi trovarono rifugio.

L’ulteriore e decisivo passaggio nella vita del Regno di Sardegna si sarebbe tuttavia compiuto solo nel decennio successivo (1849-1859), con una trasformazione civile ed economica tale da cambiare definitivamente il volto dello Stato sabaudo. Gli artefici di tale trasformazione furono i due presidenti del Consiglio Massimo d’Azeglio (dal 1849 al 1852) e soprattutto Cavour (dal 1852 al 1861).

 
F. Hayez - Camillo Benso di Cavour (part.) - olio su tela - Pinacoteca di Brera - Milano  
 
F. Hayez - Massimo d'Azeglio - olio su tela - Pinacoteca di Brera - Milano  

Per entrambi la modernizzazione politica dello Stato doveva servire come una efficace garanzia contro il pericolo di una rivoluzione democratica.

Il governo guidato da d’Azeglio si mosse sostanzialmente lungo due direzioni: la ridefinizione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, soprattutto con le leggi Siccardi del 1850; opere di pubblica utilità (strade, ponti, canali, ferrovie) tali da favorire lo sviluppo dell’economia.

Con Cavour, già a partire dalla sua entrata nel governo d’Azeglio nell’ottobre 1850, si inaugurava per il Piemonte un vasto piano di riforme in campo giuridico e amministrativo: fra le varie misure adottate, vi furono la riorganizzazione dell’esercito, la riforma delle poste, quella della magistratura, la legge sull’amministrazione centrale del 1853, l’adozione di un nuovo codice di procedura civile nel 1854.

Alla modernizzazione delle strutture dello Stato si affiancarono un indirizzo liberistico in economia e un notevole sviluppo delle infrastrutture del Regno. Un dato basta forse a fornire la misura delle trasformazioni in atto: nel 1859 la maggior parte della rete ferroviaria si trovava ormai in Piemonte, per complessivi 914 chilometri.

Ma l’azione di Cavour fu decisiva soprattutto nel far acquisire al Piemonte una crescente importanza nella vita italiana ed europea. Un esito, questo, che si rivelò essenziale per il raggiungimento dell’indipendenza e dell’Unità sotto la dinastia sabauda. A seguito della seconda guerra di indipendenza e delle annessioni sanzionate dai plebisciti, nel 1861 lo Statuto albertino sarebbe divenuto legge fondamentale dello Stato e Torino, per breve tempo, capitale d’Italia (1861-1864).


Schede collegate: Congresso di Vienna e Santa alleanza, la rivoluzione del 1821 in Piemonte; plebisciti; la piemontesizzazione; Cavour; Vittorio Emanuele II; lo scontro con il Piemonte liberale

Documenti
 

Santorre di Santarosa sul fallimento del 1821

In questo scritto Santorre di Santorosa rifletteva, a caldo, sulla sconfitta del moto piemontese del 1821. Nonostante l’insuccesso, riteneva che il sacrificio non fosse stato vano ed era fiducioso che l’Italia avrebbe saputo conquistare l’indipendenza e la libertà.

Riprodotto in D. Mack Smith, Il Risorgimento italiano. Storia e testi, I, Roma-Bari, Laterza, 1976, pp. 51-53.

 

L’agricoltura in Sardegna (1830)

Questo scritto mostra le condizioni di estrema arretratezza dell’agricoltura in Sardegna e i rapporti di tipo feudale che ancora caratterizzavano la vita nelle campagne. Nell’isola, infatti, l’abolizione della feudalità era avvenuta solo fra il 1836 e il 1839, in ritardo rispetto al resto del territorio italiano.

Riprodotto in D. Mack Smith, Il Risorgimento italiano. Storia e testi, I, Roma-Bari, Laterza, 1976, pp. 133-135.

 

Lo Statuto albertino

Il 4 marzo 1848 veniva promulgato lo Statuto albertino che trasformava il Piemonte in una monarchia costituzionale. Grazie ai diritti e alle libertà concessi ai cittadini, il Piemonte divenne presto il cuore del movimento nazionale e un rifugio per moltissimi patrioti perseguitati negli altri Stati della penisola. Con l’Unità, lo Statuto venne esteso al resto d’Italia.

Costituzione italiana, introduzione di G. Ambrosini, Torino, Einaudi, 1975, pp. 45-57.

 

Cavour e la guerra del Piemonte (1848)

In un articolo del 23 marzo 1848 (giorno stesso in cui il Piemonte dichiarava guerra all’Austria) Cavour affermava la necessità di soccorrere ad ogni costo Milano nella sua lotta contro gli austriaci. La salvezza di Milano, scriveva, «varrebbe più per la causa italiana, che non le nuocerebbe la sconfitta di un corpo di 5000 uomini».

Riprodotto in D. Mack Smith, Il Risorgimento italiano. Storia e testi, I, Roma-Bari, Laterza, 1976, pp. 265-266.

 

Il proclama di Moncalieri (20 novembre 1849)

Con il proclama di Moncalieri (redatto dal primo ministro Massimo d’Azeglio) Vittorio Emanuele II si rivolgeva direttamente agli elettori affinché votassero per candidati che, a differenza di quelli presenti nella Camera precedente in cui si era rivelata maggioritaria una linea bellicistica e antiaustriaca, fossero favorevoli alla pace con l’Austria voluta dalla Corona e del governo di d’Azeglio. In caso contrario, lasciava intendere il proclama, sarebbe stato difficile per il re garantire la conservazione dello Statuto. Il proclama raggiunse il suo scopo e l’esperimento costituzionale poté sopravvivere.

Riprodotto in D. Mack Smith, Il Risorgimento italiano. Storia e testi, I, Roma-Bari, Laterza, 1976, pp. 322-324.

 

L’esercito piemontese

Fra tutti gli Stati preunitari, il Regno di Sardegna fu l’unico a disporre di un esercito di qualità. La struttura dell’esercito subì rilevanti cambiamenti dapprima durante il regno di Carlo Alberto, e in seguito durante quello di Vittorio Emanuele II. A partire dal 1849, infatti, l’esercito fu nuovamente riorganizzato dal ministro della Guerra Alfonso La Marmora. Sul suo sviluppo proponiamo questo quadro di sintesi.

P. Notario - N. Nada, Il Piemonte sabaudo. Dal periodo napoleonico al Risorgimento, in Storia d’Italia diretta da Giuseppe Galasso, VIII/II, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1993, pp. 245-248; 405-408.