» 02|L'anticlericalismo  
 

L’anticlericalismo, nel Risorgimento, è un atteggiamento trasversale a differenti correnti politiche: attraversa il cosiddetto movimento neo-ghibellino e lambisce quello neo-guelfo, caratterizza la composita galassia dei democratici e contraddistingue anche lo schieramento liberal-moderato.

Ad una feroce critica contro il clero, i gesuiti in particolar modo, si associa una critica al temporalismo dei papi; ad un impegno per la promozione di una cultura laica si combina, a volte, una violenta polemica anticattolica. Già presente durante la Restaurazione, l’anticlericalismo avrà un decisivo sviluppo e una larga diffusione soprattutto dopo il biennio rivoluzionario 1848-1849.

Durante la Restaurazione, infatti, il cattolicesimo si era posto come pietra angolare del nuovo ordine politico e la politica dei concordati prese il nome di alleanza “del Trono e dell’Altare”. Nel 1817 lo scrittore ginevrino Sismondi, paragonando il dinamismo della civiltà comunale con il conformismo dell’Italia ottocentesca invocava contro il cattolicesimo, «disgrazia della nazione italiana», e contro il controllo clericale della scuola, una guerra senza quartiere.


 

 
Fratelli Alinari - Francesco Domenico Guerrazzi - Museo Centrale del Risorgimento - Roma  

Alle tesi di Sismondi rispose Alessandro Manzoni nel 1819 e, poi nel 1822, confutando l’interpretazione dello scrittore ginevrino ma auspicando, al tempo stesso, una Chiesa senza compiti e obiettivi temporali. Sulla stessa lunghezza d’onda di Manzoni si posero altri intellettuali cattolico-liberali come Carlo Troya, Cesare Balbo, Cesare Cantù e Luigi Tosti.

Su posizioni, invece, nettamente anticlericali e antitemporaliste, dalle quali riaffioravano alcune tesi della requisitoria di Sismondi, si posero autori come Niccolini, Guerrazzi e La Farina che aspiravano ad un cristianesimo antigerarchico e popolare. Le idee di Giuseppe Mazzini, invece, nonostante una vivace polemica anticattolica e di condanna del papato, sfociarono in una sorta di “anticlericalismo metafisico” in cui la dimensione spirituale non viene mai cancellata.

Tra il 1815 e il 1848 prevalse, dunque, una polemica antitemporalista che poteva ancora conciliarsi con l’obbedienza cattolica. Questo primo anticlericalismo, infatti, non si dissociò da esigenze di riforma religiosa e permeò anche il movimento cattolico-liberale.

Dopo il biennio 1848-1849, però, il movimento democratico si spinse su posizioni più radicali e l’anticlericalismo diventò un fenomeno relativamente popolare soprattutto sui giornali della Sinistra che nel Piemonte costituzionale sostennero una politica di laicizzazione e di mobilitazione popolare per l’abolizione degli ordini religiosi, per l’introduzione del matrimonio civile e per l’abolizione del primo articolo dello Statuto albertino, che indicava nella religione cattolica la “religione di Stato”.

Alcuni intellettuali come Montanelli e Ferrari si fecero portatori di un socialismo evangelico e di un pensiero irreligioso. Giuseppe Montanelli, in uno scritto del 1851 intitolato Appunti storici sulla rivoluzione italiana, sostenne che per fondare lo Stato moderno bisognava lottare contro la «clerocrazia» ed era necessario instaurare in Europa una società socialista.

 


 

  G. Ferrari - Frontespizio de "La Federazione Repubblicana"

Giuseppe Ferrari, che sempre nel 1851 pubblicò due saggi La Filosofia della Rivoluzione e La Federazione Repubblicana, collegandosi idealmente a Machiavelli e rifacendosi alle tesi di Sismondi, sostenne che nell’antica alleanza tra papato e impero andavano collocate le ragioni della decadenza italiana. Sicché, secondo Ferrari, «emancipare l’Italia» significava «distruggere la cristianità» rivendicando, in questo modo, un Risorgimento come lotta anticlericale perché «lo straniero non è solo l’austriaco» ma è anche «il prelato che non ha né patria né famiglia».

Tra i moderati, Cavour fu il più importante esponente di un liberalismo laico il cui anticlericalismo non si attualizzò in una elaborazione dottrinaria – sebbene la formula separatistica “libera Chiesa in libero Stato” fosse già stata coniata sul periodico «Il Risorgimento» nel 1847, diventando un elemento caratterizzante, dalla giovinezza agli ultimi istanti di vita, di tutta la biografia dello statista sabaudo – ma si concretizzò attraverso un’azione politica costante, ad esempio con le leggi Siccardi e con l’espropriazione dei beni ecclesiastici.

Nel biennio 1859-1860 l’anticlericalismo si colorò di forti venature anticattoliche: dallo scioglimento della Compagnia di Gesù con l’arrivo dei garibaldini in Sicilia al divieto di ingresso dei giornali clericali in Toscana formulato da Ricasoli; dall’incoraggiamento, da parte inglese, della nascita di movimenti evangelici alla diffusione di bibbie protestanti.

La costituzione dello Stato unitario aprì, dunque, nuove strade alla penetrazione di valori laici nella società italiana e, nel volgere di pochi anni, si affermò, soprattutto a sinistra, il movimento del libero pensiero – il cui leader di maggior rilievo è stato Luigi Stefanoni – che proponeva la totale separazione tra Stato e Chiesa, l’insegnamento laico, l’abrogazione del primo articolo dello Statuto e la riduzione della Chiesa al diritto comune.

In questo nuovo clima, di profonde tensioni tra laici e cattolici, alcuni democratici, come Giuseppe Ferrari, Ferdinando Petruccelli della Gattina e Luigi Settembrini – che insieme a Francesco De Sanctis diresse la “Associazione unitaria costituzionale” che si batteva per Roma capitale, la liquidazione dell’asse ecclesiastico e per la scuola laica –, non chiedevano più il rinnovamento della Chiesa ma addirittura la fine del cattolicesimo.


 

 
H. Le Lieure - Bertrando Spaventa - Museo Centrale del Risorgimento - Roma  

Per fare l’Italia, scriveva Settembrini, era necessario «spaparla» e anche la soluzione separatistica proposta da Cavour, agli occhi di Ferrari, rimaneva pur sempre nei sistemi della «vecchissima Italia».

Giuseppe Garibaldi, alfiere indefesso di un anticlericalismo rozzo e popolaresco, sosteneva nei suoi interventi che bisognava «liberare l’Italia dalla piaga dei preti», bollava la curia vaticana come il «governo di Satana» e, al tempo stesso, si dichiarava assertore della scienza moderna e «seguace della religione di Cristo».

E se in alcuni incontri pubblici l’eroe dei due mondi impartiva ai bambini addirittura il «battesimo civile», nei catechismi patriottici si celebrava in Garibaldi l’esistenza di tre persone: «il padre della patria, il figlio del popolo, lo spirito di libertà».

Si collocano, infine, all’interno del dibattito sulla legislazione anti-ecclesiastica nel periodo postunitario – nel 1865 viene approvato il nuovo codice di diritto civile, nel 1867 viene revocato la personalità civile agli ordini religiosi e viene incamerato un terzo dell’asse ecclesiastico immobiliare – le posizioni anticlericali di Francesco De Sanctis e Bertrando Spaventa.

Il primo vedeva nel partito cattolico, che si appoggiava sulla forza del clero, l’elemento di conservazione e di ostacolo al progresso nella storia d’Italia. Il secondo arrivava a respingere non solo le competenze politiche ma anche la guida spirituale del sacerdozio sostenendo la formula hegeliana del superamento della Chiesa all’interno dello Stato.

Documenti
 

Questione politica e questione religiosa

Il brano che riproduciamo, tratto da un saggio di Mazzini del 1851, tratteggia l’anticlericalismo metafisico del pensatore genovese. Mazzini colloca la sua celebre formula «Dio e popolo» al di sopra del papato e di ogni potere temporale.

G. Mazzini, Questione politica e questione religiosa, in L’anticlericalismo nel Risorgimento (1830-1870), a cura di G. Pepe - M. Themelly, Manduria, Lacaita, 1966, pp. 20-24.

 

Il clero e le elezioni

Cavour, in questo discorso alla Camera subalpina del 1857, commenta polemicamente il ruolo attivo svolto dal clero durante le ultime elezioni che avevano visto il successo della Destra conservatrice e cattolica.

C. Cavour, Il clero e le elezioni, in L’anticlericalismo nel Risorgimento (1830-1870), a cura di G. Pepe e M. Themelly, Manduria, Lacaita, 1966, pp. 87-93.

 

Preti e frati

In questo estratto dalla Protesta del popolo delle due Sicilie pubblicato nel 1847, Luigi Settembrini riproduce una delle classiche polemiche anticlericali contro l’alleanza tra il trono e l’altare e contro la «casta» dei preti «malvagi» e «ignoranti».

L. Settembrini, Preti e frati, in L’anticlericalismo nel Risorgimento (1830-1870), a cura di G. Pepe e M. Themelly, Manduria, Lacaita, 1966, pp. 215-216.

 

La religione degli operai

In questa lettera indirizzata alla rappresentanza delle associazioni operaie di Genova del 12 ottobre 1869, Garibaldi indica nel papato l’ostacolo maggiore all’Unità d’Italia e contrappone la cosiddetta «religione del vero» a quella del prete.

G. Garibaldi, La religione degli operai, in L’anticlericalismo nel Risorgimento (1830-1870), a cura di G. Pepe e M. Themelly, Manduria, Lacaita, 1966, p. 243.

 

L’Italia laica dal 1848 al 1876

Lo storico Guido Verucci traccia una rapida sintesi della storia del pensiero laico e anticlericale dal 1848 all’avvento della Sinistra storica alla guida del paese.

G. Verucci, L’Italia laica prima e dopo l’unità, 1848-1876, Roma-Bari, Laterza, 1981, pp. 357-363.

 

La separazione tra Stato e Chiesa

Lo storico Carlo Arturo Jemolo si sofferma su due scritti pubblicati tra il 1854 e il 1855: La Chiesae lo Stato in Piemonte, di Pier Carlo Boggio e Della libertà religiosa: lettere dodici di Marco Minghetti al sig. don Vincenzo Ferranti.

A. C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia negli ultimi cento anni, Torino, Einaudi, 1963, pp. 107-119.