» 02|La politica della Santa Sede  
 


 

 
Gruppo di prelati della Curia al tempo di Pio IX - fotografia - Museo Centrale del Risorgimento - Roma  

Il movimento nazionale italiano pose la Santa Sede e la Chiesa cattolica di fronte al gravissimo problema di cosa fare di quello che era uno dei suoi più importanti retaggi storici: il potere temporale.

Tale potere, largamente inteso, si articolava in due dimensioni principali. La prima consisteva nell’esistenza di un dominio territoriale diretto sotto la sovranità della Santa Sede – vale a dire lo Stato della Chiesa – con tutti gli attributi propri di uno Stato.

La seconda dimensione era rappresentata dalla condizione di assoluto privilegio di cui il clero e tutte le istituzioni ecclesiastiche godevano all’interno degli altri Stati della penisola: si andava dal possesso di grandissime proprietà terriere, sottratte ad ogni alienabilità (manomorta), all’esistenza di tribunali e al godimento di giurisdizioni speciali (foro ecclesiastico) che in pratica facevano della Chiesa uno Stato nello Stato.

Tra i privilegi vi era anche quello importantissimo della ricezione pura e semplice nell’ordinamento civile delle norme del diritto canonico in materie decisive quali, ad esempio, quella matrimoniale, mentre interi settori della vita collettiva, come l’istruzione, erano spessissimo di fatto monopolio del clero.

Infine la censura sulle pubblicazioni e gli spettacoli, esistente in tutti gli Stati preunitari, era particolarmente attenta a non tollerare in alcuno modo qualunque sia pur minima messa in discussione della fede e della organizzazione cattolica. A ciò si aggiungeva la condizione di minorità civile, quando non di vera e propria, più o meno, larvata persecuzione cui erano sottoposti i gruppi religiosi non cattolici, a cominciare da quello degli ebrei, costretti talvolta (come nel caso dello Stato della Chiesa) a vivere racchiusi nel ghetto.

Questa la situazione complessiva che definì il terreno di scontro con il movimento patriottico italiano, scontro che da un lato era motivato dalla necessità, se si voleva unificare la penisola, di cancellare il dominio pontificio sulle quattro regioni centrali di essa (Lazio, Umbria, Marche, Emilia Romagna) - qualunque Unità italiana, infatti, era geograficamente incompatibile con l’esistenza dello Stato della Chiesa.

Dall’altro lato la somma dei privilegi accordati alle istituzioni ecclesiastiche, al clero e alla religione cattolica erano chiaramente incompatibili con i principi liberali – e ancor più con quelli democratico-mazziniani – che animavano il movimento risorgimentale. Tali principi prevedevano, infatti, non solo uno spazio pubblico nonché giuridico privo di qualunque presenza egemonica che non fosse quello dello Stato e della sua legge, ma altresì l’eguaglianza formale di tutti i cittadini di fronte alla medesima, senza dunque privilegi di sorta.

Andò così in scena a partire dai primi decenni del XIX secolo in Italia il secondo atto di quell’aspro conflitto che aveva già vista impegnata la Chiesa al tempo della Rivoluzione francese e dell’età napoleonica contro alcuni aspetti fondamentali del mondo moderno.

Oltre che impugnare gli strumenti delle diplomazie, dell’accordo con il potere monarchico assolutistico invocandone puntualmente l’intervento dove ritenesse necessario, e principalmente a sostegno del suo Stato, la Chiesa mise in campo l’arma della condanna ideologico-religiosa fino alla scomunica. La vicenda risorgimentale è così punteggiata da una serie di encicliche la cui portata va, beninteso, al di là del caso italiano, per investire tutto il vasto schieramento liberale europeo.

Dalla Mirari vos del 1832, con cui Gregorio XVI, dopo aver respinto come illecito qualunque proposito di rinnovamento della Chiesa, condannava la libertà di coscienza in quanto corollario dell’indifferentismo religioso, insieme alla «mai abbastanza esecrata ed aborrita libertà della stampa» e ogni idea di separazione fra Chiesa e Stato, alla Quanta cura di Pio IX del 1864, contenente in appendice il «Sillabo degli errori del nostro tempo», con cui si condannava in blocco il liberalismo, il socialismo, il comunismo e il Risorgimento italiano.

 


 

  A. Malchiodi - Ciceruacchio annuncia al popolo che Pio IX ha concesso lo statuto - olio su tela - Museo di Roma - Roma

Nonostante tali prese di posizione, tuttavia, non si può dire che il movimento nazionale italiano non rimanesse nella sostanza profonda del suo animo vicino alla religione tradizionale del popolo italiano. Ne è prova non solo la presenza in quegli anni di una significativa corrente che si disse di cattolici liberali, ma anche nel complesso l’atteggiamento individuale seguito dalla grande maggioranza di coloro che militarono a favore del Risorgimento.

Documenti
 

Il sacrificio di don Tazzoli

Lo scritto che segue è una delle memorie che il sacerdote mantovano don Enrico Tazzoli fece pervenire al governatore militare di Mantova, il generale austriaco Culoz, poco prima di venir impiccato nella località di Belfiore, insieme ad altri 10 compagni colpevoli tutti di aver aderito a una rete clandestina mazziniana e di aver sottoscritto un prestito. In tali memorie don Tazzoli spiega le ragioni dell’impegno del clero lombardo nelle faccende politiche a differenza di quello veneto.

E. Tazzoli, Scritti e memorie 1842-1852, Milano, Franco Angeli, 1997, pp. 124-127.

 

Mirari vos

Nei seguenti passi della enciclica di Gregorio XVI Mirari vos si esprime con cruda pienezza di accenti le posizioni antiliberali della Chiesa durante la prima metà dell’Ottocento.

 

La morte di Cavour

Nell’articolo apparso su L’Armonia del 7 giugno 1861 Giacomo Margotti dà la notizia delle circostanze della morte di Cavour.

E. Russo de Caro, Domine non sum dignus. La controversa conversione di Cavour, Rivoli, Neos Edizioni, pp. 34-35.