» 04|L’unità  
 
 
L'Italia unita in una carta commemorativa dell'epoca  

I moti italiani del 1820-1821 e quelli del 1831 ebbero in prevalenza un carattere municipalista, nel senso che i loro promotori concepivano la libertà e l’indipendenza essenzialmente in riferimento alla singola realtà statale cui appartenevano, più che nella prospettiva della costruzione di un comune Stato nazionale italiano. Questo municipalismo non era in fondo che lo specchio delle tante, profonde differenze esistenti tra le varie parti della penisola.

Erano proprio queste differenze che facevano ritenere a molti irrealistica, e comunque non auspicabile, una soluzione unitaria del problema italiano. Per tanti appartenenti all’élite patriottica, insomma, la nazione italiana era «una» ma in senso esclusivamente culturale («una d’arme, di lingua, d’altare, / di memorie, di sangue e di cor», come scrisse Manzoni in Marzo 1821); a ciò corrispondeva l’aspirazione a una qualche forma di associazione, di unione tra le diverse popolazioni della penisola, escludendo invece la creazione di un unico Stato che abbracciasse tutta l’Italia.

Del resto, la prima attestazione in un vocabolario del termine «unità» con il significato politico di «unità d’Italia» si riscontra solo nel 1851, in un Dizionario politico popolare stampato a Torino.

Decisamente a favore dell’unità fu invece Giuseppe Mazzini. Fin dalla fondazione della Giovine Italia nel 1831, Mazzini insistette sulla necessità di dar vita a uno Stato comprendente l’intera penisola italiana, poiché considerava questa soluzione come l’unica adeguata alle aspirazioni nazionali, come la sola che corrispondesse al grande disegno divino di un’Europa delle nazioni e alla missione riservata all’Italia: «L’Unità d’Italia è cosa di Dio, preparata dall’opera provvidenziale dei secoli».

La concezione mazziniana della nazione implicava la condanna senza appello di ogni ipotesi di tipo federalistico, che secondo lui avrebbe dato vita a uno Stato debole e minato dalle divisioni interne: «La Giovine Italia – scriveva Mazzini – è Unitaria perché, senza unità non v’è veramente Nazione – perché senza Unità non v’è forza, e l’Italia, circondata da nazioni unitarie, potenti, e gelose, ha bisogno anzi tutto d’essere forte».

Sempre secondo Mazzini, il federalismo, invece, l’avrebbe posta sotto l’influenza delle nazioni vicine e, sul piano interno, avrebbe ridato vita alle «rivalità locali oggi mai spente».

Per molto tempo furono quasi solo i mazziniani ad essere favorevoli all’obiettivo di un’indipendenza nazionale nella forma dello Stato unitario. Ad esempio, nel Primato morale e civile degli italiani, pubblicato nel 1843, Gioberti definiva invece come «demenza» l’idea che «l’Italia, divisa com’è da tanti secoli, [potesse] pacificamente ridursi sotto il potere di un solo».

Alla stessa epoca Cesare Balbo, nelle Speranze d’Italia, considerò l’unità politica come null’altro che un sogno «da poeti dozzinali». L’uno e l’altro puntavano invece a una federazione tra gli Stati esistenti, che per Gioberti avrebbe dovuto essere presieduta dal papa.

Critici di una indipendenza italiana raggiunta nella forma unitaria erano anche democratici di orientamento federalista come Carlo Cattaneo e Giuseppe Ferrari. Per costoro – che in questo avevano una posizione analoga a quella dei moderati – la realizzazione dell’indipendenza avrebbe implicato tener conto delle inclinazioni ed esigenze delle varie parti della penisola; in caso contrario si sarebbe corso il rischio di dar vita a uno Stato non meno oppressivo di quelli preesistenti.

A distinguere nettamente la federazione auspicata da Cattaneo da quella di Gioberti stavano però sia la forma repubblicana sia le istituzioni democratiche che il nuovo Stato federale avrebbe dovuto avere.

Anche Cavour, che pure avrebbe dato un contributo decisivo alla nascita dello Stato unitario, nel 1856 definiva l’unificazione italiana come «una corbelleria». Ancora alla vigilia della prima guerra d’indipendenza, Cavour e il Piemonte si muovevano in una prospettiva esplicitamente non unitaria.

 
  Carlo Cattaneo

Nel 1858 gli accordi stipulati con Napoleone III a Plombières prevedevano infatti, nella forma di una confederazione presieduta dal papa, un’Italia ancora divisa in quattro Stati: un regno dell’Alta Italia (comprendente, oltre al Regno di Sardegna, il Lombardo-Veneto e l’Emilia-Romagna); un regno dell’Italia centrale (formato dalla Toscana e da una parte delle province pontificie); uno Stato della Chiesa notevolmente ridotto nelle sue dimensioni territoriali; un regno meridionale coincidente con quello delle Due Sicilie (senza però la dinastia borbonica).

Se alla fine si affermò la soluzione unitaria, ciò avvenne per il decorso imprevisto degli avvenimenti verificatisi tra il 1859 e il 1860 (le insurrezioni nell’Italia centrale, la spedizione dei Mille) che resero impossibile l’ipotesi di un’Italia divisa in più Stati.

Ma nel biennio decisivo per l’indipendenza italiana la prospettiva unitaria si affermò anche perché era stata sostenuta con forza, per decenni, da Mazzini.

Il fatto stesso che il movimento democratico fosse diventato nel corso del tempo un movimento anzitutto unitario era un risultato indiretto della sua insistente predicazione.

Come osservò Benedetto Croce nella sua Storia d’Italia dal 1871 al 1915, era stato proprio Mazzini, «per avere riposto il punto saliente nell’unità, [a rendere agevole] il passaggio di molti dei suoi uomini principali e della maggioranza dei seguaci all’unità attuata per mezzo della monarchia», come avvenne appunto nel 1859-60.

Documenti
 

La Giovine Italia e l’unità

Fin dai primi documenti dell’associazione da lui fondata, come l’«Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia» del 1831 di cui si pubblicano alcuni passi, Mazzini insistette sulla necessità di puntare a una soluzione rigorosamente unitaria.

G. Mazzini, Scritti politici, a cura di T. Grandi e A. Comba, Torino, Utet, 1987, pp. 167-168.

 

«Unità« e «unione» secondo un dizionario dell’epoca

Il Dizionario politico popolare, pubblicato a Torino nel 1851, chiariva la forte differenza tra i due concetti di «unità» e «unione», poiché con il secondo ci si riferiva in realtà a una soluzione di tipo federativo.

Dizionario politico popolare, a cura di P. Trifone, Roma, Salerno Editrice, 1984, pp. 238-239.

 

L’unità d’Italia criticata da un ex suddito dei Borboni

Il marchese Pietro Calà Ulloa, che era stato l’ultimo capo del governo di Francesco II di Borbone, scrisse nel 1867 un opuscolo in cui criticava l’esito unitario del 1860 e auspicava la formazione di una «unione» o «confederazione» di Stati, anche al fine di garantire la «salvezza di Roma» cioè la sopravvivenza del potere temporale del papa.

P. Calà Ulloa, Unione non unità d’Italia, Lecce, Argo, 1998, pp. 23-26, 29-31, 88.