» 05|Il neoguelfismo  
 

Il termine neoguelfismo indica quel movimento politico e d’opinione stimolato dalla pubblicazione, nel 1843, del Primato morale e civile degli italiani di Vincenzo Gioberti. Nel Primato era teorizzata la rinascita politica della nazione italiana attraverso una lega degli Stati esistenti. Tale lega, o federazione, avrebbe dovuto avere a capo il pontefice, in ragione della superiorità derivante dal suo magistero religioso.


 

 
Fazzoletto con Gioberti  

Il neoguelfismo, cui Gioberti fornì con la sua opera un programma politico compiuto, era stato in un certo senso «preparato» negli anni precedenti attraverso una serie di scritti in campo letterario, filosofico e storiografico che avevano ripreso, sia pure in forma diversa, il tema della funzione di civiltà svolta dal papato nel medioevo, del papato difensore della libertà d’Italia di fronte ai dominatori stranieri, del primato civile e culturale esercitato dagli italiani per mezzo della Chiesa e del papato.

Si trattava, in realtà, di idee non nuove ed anche ampiamente diffuse nel panorama intellettuale italiano. Dopo il 1815, però, esse avevano acquistato un certo rilievo perché riproposte da scrittori di tendenze anche molto diverse come Joseph de Maistre (che nel suo Du Pape aveva ripreso il tema del Papato difensore d’Italia), Antonio Rosmini (autore nel 1823 di un Panegirico di Pio VII), Carlo Troya e Cesare Balbo, autori rispettivamente di una Storia d’Italia nel Medio Evo (1839) e di una Storia d’Italia sotto i barbari (1830).

Come ha osservato lo storico Giorgio Candeloro, le vecchie idee guelfe sul papato difensore d’Italia, o sul primato italiano, si mescolarono ad elementi nuovi tratti dalla cultura romantica, fra cui l’idea che la tradizione costituisse il fondamento della nazionalità, o quella secondo cui la Provvidenza - o la storia - avessero affidato di volta in volta a determinati popoli una missione da compiere.

L’ipotesi prospettata da Gioberti nel Primato giungeva insomma in un contesto culturalmente «predisposto» a riceverla: nell’ambito dell’élite colta del tempo era diffusa l’idea che fosse possibile conciliare la tradizione con il cambiamento politico, la fede con la scienza, il cattolicesimo con la libertà politica; che il rinnovamento nazionale si sarebbe potuto e dovuto compiere, insomma, in pieno accordo con il potere religioso e temporale della Chiesa.


 

 
Frontespizio  

Rispetto a tali posizioni, il Primato di Gioberti segnò però una svolta, sia perché riprese tutti questi motivi in forma sistematica, sia perché fornì all’opinione moderata  un programma attorno al quale raccogliersi e riconoscersi.

Soprattutto, segnò una svolta perché contribuì ad attrarre al movimento nazionale quell’ampia parte dei cattolici italiani che si trovava su posizioni non reazionarie, e che poteva accettare il mutamento senza rivoluzione prospettato da Gioberti.

In un paese come l’Italia in cui la maggioranza della popolazione era cattolica, l’ipotesi di Gioberti parve insomma conciliare le ragioni dell’indipendenza italiana con quelle della salvaguardia dello Stato della Chiesa, gli ideali patriottici con la religione cattolica. Il successo della proposta giobertiana fu dovuto principalmente al fatto di esprimere una tendenza conciliatrice, di prospettare una soluzione gradualistica e antirivoluzionaria.

Sia per i fini sia per i mezzi che proponeva, il neoguelfismo offriva come soluzione al problema nazionale italiano quella di una «confederazione italica», cancellando la prospettiva di un solo Stato nazionale, inalternativa alla soluzione rivoluzionaria indicata dai democratici. Gioberti non era ostile in linea di principio all’unità: considerava utopistica l’idea che la si potesse raggiungere mediante una guerra dei prìncipi italiani contro l’Austria.

 


 

  A. Puccinelli - Vincenzo Gioberti - dipinto - Galleria d'arte moderna - Firenze

Più concretamente dunque, almeno dal suo punto di vista, egli prospettava non l’unità ma un’unione fra gli Stati o, meglio, tra le “quattro monarchie” (Roma, Toscana, Piemonte, Napoli). Come spiegava in una lettera all’amico Giuseppe Massari «non si può nelle cose umane toccar la meta senza passare per li debiti mezzi, perciò stimo che tutti i vostri sforzi debbono indirizzarsi alla semplice unione dell’Italia, riservando al futuro l’unità». 

Quanto al ruolo preminente assegnato al papato occorre precisare che, nell’ipotesi neoguelfa, la conservazione del potere temporale avrebbe dovuto accompagnarsi a una trasformazione del governo pontificio, nel segno di una riconciliazione con il progresso e con la libertà: il risorgimento della Chiesa e il risorgimento dell’Italia risultavano idealmente legati.

Da parte moderata non mancarono tuttavia critiche alla prospettiva indicata da Gioberti. La più importante provenne da Cesare Balbo: nel suo libro Delle speranze d’Italia (1844), pur dichiarando di condividere l’impianto generale della proposta di Gioberti, specie l’idea della federazione fra i vari Stati esistenti, assegnava al Piemonte – anziché al pontefice – il ruolo di guida del movimento nazionale.

Il programma neoguelfo sembrò sul punto di realizzarsi tra il 1846 e il 1848, con l’elezione di Pio IX, le riforme da lui attuate nello Stato pontificio e le Costituzioni concesse nei principali Stati della penisola.

Ma i successivi avvenimenti politici, a cominciare dal ritiro di Pio IX dalla prima guerra d’indipendenza, minarono le basi di un possibile accordo tra i sovrani e infransero il sogno neoguelfo: accadde, infatti, che nel corso del 1848 il papa si dissociasse apertamente dalla lotta per l’indipendenza, mentre la guerra del Piemonte contro l’Austria implicava una strategia annessionistica sostanzialmente incompatibile con il progetto neoguelfo.

Negli anni successivi la concezione unitaria sarebbe prevalsa su quella federativa; l’idea cavouriana della separazione fra lo Stato e la Chiesa su quella di una alleanza tra il movimento liberale e la Chiesa.


Schede collegate: cattolicesimo liberale; liberalismo; Pio IX; I libri che hanno fatto l’Italia

Documenti
 

Gioberti e l’unità d’Italia (1843)

Nel 1843 veniva pubblicato a Bruxelles il Primato morale e civile degli italiani di Vincenzo Gioberti. Ne riproduciamo le pagine in cui Gioberti, rivolgendosi all’élite colta nazionale, spiegava come raggiungere l’obiettivo dell’unità italiana facendo a meno della rivoluzione.

Riprodotto in D. Mack Smith, Il Risorgimento italiano. Storia e testi, I, Roma-Bari, Laterza, 1976, pp. 102-113.

 

Gioberti illustra le ragioni per cui ha scritto il Primato (1843)

In una lettera a Terenzio Mamiani del 13 agosto 1843, Vincenzo Gioberti illustrava le intenzioni con cui aveva scritto il Primato: in particolare, spiegava che aveva cercato di scrivere un libro che risultasse «almen tollerato» dai governi italiani, così da raggiungere l’élite intellettuale nel suo insieme, sia laica sia ecclesiastica.

Riprodotto in D. Mack Smith, Il Risorgimento italiano. Storia e testi, I, Roma-Bari, Laterza, 1976, pp. 113-115.

 

L’opinione moderata e il Primato di Gioberti

Sebbene sconfitto, il neoguelfismo ebbe il merito di aver avvicinato al movimento nazionale larghi strati dell’opinione pubblica italiana. Nella sua Storia dell’Italia moderna lo storico Giorgio Candeloro dedicava queste pagine al movimento neoguelfo, sottolineandone le ragioni del successo e della sconfitta.

G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, vol. II, Dalla Restaurazione alla Rivoluzione nazionale 1815-1846, pp. 341-371.