» 04|Il federalismo  
 


 

 
Ritratto di Carlo Cattaneo  

Nei decenni della battaglia per l’indipendenza italiana si delinearono, e contrapposero, due differenti ipotesi politiche, due differenti soluzioni: quella unitaria e quella federalista. La prima, all’inizio sostenuta quasi soltanto da Mazzini e dai suoi seguaci, si diffuse progressivamente fino a diventare – ma nella forma monarchico-unitaria – la soluzione vincente al problema dell’indipendenza italiana.

Se l’ipotesi unitaria aveva come obiettivo la nascita di un unico Stato nazionale, l’ipotesi federalista prevedeva una forma di unione o federazione tra i diversi Stati della penisola. In generale, l’ipotesi federalista partiva dal presupposto che non fosse possibile e neppure augurabile cancellare le differenze di storia e di cultura esistenti fra le varie parti d’Italia; differenze che solo un legame di tipo federale avrebbe permesso di conservare.

All’interno della prospettiva federalista è possibile distinguere due grandi indirizzi, uno moderato-monarchico e l’altro democratico-repubblicano. Entrambi si richiamavano al medioevo italiano e all’età dei comuni, ma rispetto alla proposta politico-istituzionale si differenziavano enormemente: il primo proponeva un ordinamento monarchico-costituzionale, rispettoso al contempo delle sovranità esistenti e delle libertà individuali; il secondo era per un nuovo assetto repubblicano fondato sulla piena attuazione della libertà e della sovranità popolare.

Nei primi anni della Restaurazione i sostenitori del federalismo vagheggiarono un vincolo federale tra le principali città, ispirandosi genericamente al modello svizzero o statunitense. Fu dopo il fallimento dei moti del 1820-1821 che l’ipotesi federalistica si arricchì di nuove riflessioni e di nuovi sostenitori: fra gli altri, il piemontese Santorre di Santarosa, il calabrese Francesco Saverio Salfi, lo svizzero residente a Firenze Giovan Pietro Vieusseux. Che si trattasse di una confederazione di monarchie rappresentative a guida sabauda o di una federazione incardinata su tre grossi Stati (Nord, Centro, Sud), i vari progetti formulati fra gli anni Venti e Trenta tendevano tutti a una soluzione istituzionale di «compromesso», da attuarsi cioè con l’accordo dei sovrani.

 


 

  Ritratto di Giuseppe Ferrari - 1867

Al «compromesso» tra l’unificazione politica e il mantenimento dello status quo erano ispirate le principali proposte avanzate in ambito moderato dopo il 1840: quella di Vincenzo Gioberti, che nel suo Primato morale e civile degli italiani (1843) auspicava una confederazione di Stati posti sotto l’autorità del pontefice, e quella di Cesare Balbo, che nelle Speranze d’Italia (1844) ipotizzava una lega confederale tra i principi italiani, guidata dal Piemonte sabaudo.

A un’ipotesi federalistica guardò con favore anche Antonio Rosmini, che elaborò il progetto di una confederazione di tre Stati: Regno di Sardegna, Granducato di Toscana, Stato pontificio.

La proposta federalistica fu presente anche in campo democratico attraverso gli scritti di Carlo Cattaneo e di Giuseppe Ferrari, entrambi fortemente influenzati dall’esempio svizzero.

Cattaneo poneva al centro il problema della libertà dei cittadini, a suo avviso strettamente legata a quello delle autonomie politiche e amministrative. La libertà non era per lui soltanto indipendenza dallo straniero; consisteva anche nell’esistenza di istituzioni che garantissero ai cittadini un’ampia autonomia e facoltà di decisione.

Anche per Giuseppe Ferrari il federalismo si fondava anzitutto su un’esigenza di libertà, e non era in contraddizione con l’unità: nella «federazione repubblicana» (questo era anche il titolo di una sua opera, pubblicata nel 1851) egli vedeva l’unica via possibile per il raggiungimento di una unità non conflittuale, perché rispettosa delle differenze fra le varie parti d’Italia. Fra i democratici, sostennero una soluzione del problema italiano in chiave federalistica anche Carlo Pisacane e Giuseppe Montanelli.

I successi politico-diplomatici del Piemonte e le annessioni nel biennio 1859-1860 comportarono la sconfitta piena del federalismo. Aveva così termine quel dibattito sul tema dell’unità o della federazione che aveva interessato le diverse correnti politiche. Ma il problema di come tenere unite realtà tanto diverse del Paese – problema che il federalismo si era per l’appunto posto – si presentò urgente al nuovo Stato. Dopo il 1860 furono elaborati dei progetti di decentramento regionale. Ma il Parlamento vi ravvisò un pericolo per l’unità appena raggiunta e li respinse, accantonandoli per molti decenni a venire.


Schede collegate: Carlo Cattaneo; Giuseppe Ferrari; Vincenzo Gioberti; Cesare Balbo; I libri che hanno fatto l’Italia; unificazione amministrativa

Documenti
 

Cesare Balbo sostiene il principio federativo (1844)

Intorno al 1840, l’élite liberale torinese si trovava per la gran parte su posizioni federalistiche. Cesare Balbo in Delle Speranze d’Italia (1844) affermava che la confederazione era l’ordinamento «più conforme alla natura ed alla storia d’Italia»: essendo l’Italia composta da province e da popoli molto diversi, sosteneva Balbo, sarebbero stati necessari anche governi differenti.

Riprodotto in D. Mack Smith, Il Risorgimento italiano. Storia e testi, I, Roma-Bari, Laterza, 1976, pp. 117-119.

 

Il federalismo di Giuseppe Ferrari (1851)

All’interno della corrente democratica, Giuseppe Ferrari fu tra i principali sostenitori del federalismo. Le pagine che seguono sono tratte da un suo scritto, Federazione repubblicana, pubblicato in Svizzera nel 1851. Nel testo Ferrari esponeva il suo programma federale, opponendosi alla posizione inflessibilmente unitaria di Mazzini.

Riprodotto in I democratici del Risorgimento, a cura di S. Onufrio, Bologna, Zanichelli, 1972, pp. 67-73.

 

Federalismo e felicità in Carlo Cattaneo (1848)

Riproduciamo le pagine conclusive dello scritto Considerazioni sulle cose d’Italia nel 1848 di Carlo Cattaneo, pubblicato a ridosso della fallita rivoluzione del 1848. Partendo da un’analisi della sconfitta subita, Cattaneo vedeva nel federalismo la via per conseguire non soltanto l’unità e l’indipendenza nazionale, ma anche la felicità.

Riprodotto in I democratici del Risorgimento, a cura di S. Onufrio, Bologna, Zanichelli, 1972, pp. 58-62.