» Le origini dell'ordinamento comunale e provinciale  
 

 

Per comprendere le origini politiche e culturali dell’ordinamento amministrativo italiano è necessario partire da quell’eccezionale momento di cesura nella storia europea che è rappresentato dalla Rivoluzione francese. Sebbene il processo di formazione dello Stato moderno ha radici ben più antiche – in particolar modo tra il XV e il XVII secolo si può assistere a quel processo di costruzione della Monarchia amministrativa che centralizza il potere e comprime i corpi locali – le riforme istituzionali messe in atto dalla Rivoluzione francese produssero dei radicali mutamenti politici e delinearono un nuovo rapporto tra il centro e la periferia dello Stato.

Sin dai decreti dell’Assemblea Costituente sul riordinamento del territorio nazionale, emanati nel dicembre del 1789, si procedette ad un nuovo assetto della macchina statale francese che venne riorganizzata secondo i principi dell’unità, dell’indivisibilità, del decentramento e dell’elettività degli organi. Il particolarismo amministrativo d’antico regime, che tollerava una moltitudine di disomogenei corpi locali, venne superato con la suddivisione razionale del territorio nazionale e la creazione di quattro circoscrizioni amministrative uniformi a cui corrispondevano altrettanti livelli di potere: i dipartimenti, i distretti, i cantoni e i comuni. La figura centrale di raccordo tra il potere centrale e quello periferico, l’intendente, adesso veniva sostituito da un corpo di funzionari elettivi.

La convulsa stagione rivoluzionaria, però, non riuscì a dare uno sviluppo organico a queste riforme. E solamente durante il periodo napoleonico il sistema amministrativo francese diventò una meccanismo ben collaudato che assurse a modello per molti Paesi europei, a partire proprio dall’Italia. Tuttavia, se i decreti del dicembre del 1789 erano stati ispirati da una prospettiva di decentramento amministrativo, la legislazione napoleonica si caratterizzava, all’opposto, come la massima declinazione dell’accentramento statale.

La figura cardine di questo sistema era il prefetto (erede dell’intendente d’antico regime) che veniva posto a capo di ciascun dipartimento, affiancato da un consiglio generale dipartimentale e un consiglio di prefettura. La linea gerarchica del potere scendeva dal Ministro dell’Interno, passava per il prefetto (e il sottoprefetto) e arrivava al sindaco. I due pivot dell’ordinamento locale erano, dunque, il prefetto e il sindaco, al tempo stesso rappresentanti del corpo locale e delegati del governo, mentre agli organi collegiali era demandata una circoscritta rappresentanza delle comunità locali. La norma principale che regolava questo sistema/modello amministrativo era la Legge del 28 piovoso anno VIII (7 febbraio 1800).

L’ordinamento napoleonico (gerarchico, accentrato e anti-autonomistico) trovò una rapida ricezione nella penisola italiana, in particolar modo in Piemonte – il cui territorio nel 1802 fu annesso all’Impero francese e quindi ne subì direttamente l’ordinamento legislativo – nel Regno d’Italia (diretta emanazione della Repubblica Cispadana, della Repubblica Cisalpina e della Repubblica Italiana) e nel Regno di Napoli. L’occupazione militare della penisola da parte delle armate francesi impose, di fatto, una stretta imitazione della legislazione del 28 piovoso.

L’8 giugno 1805 il Piemonte venne suddiviso per decreto in circoscrizioni che riproducevano sia la quadripartizione dei livelli di governo francesi (dipartimenti, distretti, cantoni e comuni) che la centralità della figura del prefetto. Analogamente, l’8 agosto 1806, il Regno di Napoli, al cui trono sedeva Giuseppe Bonaparte, venne suddiviso seguendo il modello napoleonico e furono introdotte le intendenze provinciali.

La caduta dell’Impero napoleonico e la Restaurazione legittimista non cancellarono le istituzioni amministrative create durante la dominazione francese. In Piemonte avvenne una sorta di «ibridazione» tra le istituzioni d’antico regime con quelle d’età napoleonica e il 10 novembre 1818 il Regio editto n. 859 di Vittorio Emanuele I confermava la suddivisione del territorio in quattro ordini di gerarchia: divisioni, province, mandamenti e comunità.

Nel neonato Regno delle Due Sicilie le leggi del 1° maggio e del 12 dicembre 1816, che ne determinavano l’organizzazione amministrativa al di qua e al di là del Faro, mantennero, con poche modifiche, il modello napoleonico. Persino la Sicilia venne suddivisa seguendo il modello accentrato-gerarchico delle circoscrizioni francesi. L’isola, tradizionalmente ripartita in tre zone geografico-militari prive di consistenza amministrativa (valli di Mazara, Demone e Noto), venne divisa in 7 intendenze, portando a termine, in questo modo, il processo di razionalizzazione intrapreso nel 1812-1813 con la creazione di 23 distretti e con l’eliminazione del feudo come elemento di definizione amministrativa del territorio.

Di tutt’altro tenore, invece, fu la restaurazione in Lombardia, la quale poteva vantare, ben prima dell’introduzione della legislazione napoleonica durante il Regno d’Italia (1805-1814), un’originale e consolidata tradizione di autonomia locale. Infatti, già con la riforma amministrativa voluta dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria, approvata il 30 dicembre 1755, era stato delineato un sistema uniforme di governo locale, in cui i comuni erano, al tempo stesso, l’ultimo anello dell’amministrazione centrale e un’istituzione di autogoverno della comunità locale dotata di rappresentanza elettiva. Al centro di questo meccanismo istituzionale, si collocavano gli estimati, i possidenti che pagavano l’imposta fondiaria, a cui era affidato il governo della città e della provincia.

Con la riforma del 1755 l’organo collegiale di ogni comune lombardo diventava il convocato generale o assemblea degli estimati, il quale, riunito almeno due volte all’anno, approvava il bilancio, decideva l’onere dell’imposta ed eleggeva la deputazione. Quest’ultima, a sua volta, in qualità di governo municipale, nominava un sindaco e un console. Al sindaco era delegata la facoltà di agire come rappresentante della deputazione per gli affari ordinari (ovvero come «sostituto dei deputati comunali»), mentre al console erano delegati compiti di polizia e di amministrazione locale. Al di sopra di essi, come rappresentanti del potere centrale, risiedevano i cancellieri delegati del censo.

Dopo l’intermezzo napoleonico, con la Patente sovrana del 7 aprile 1815, la Lombardia e il Veneto furono unite in un unico regno, denominato Lombardo-Veneto, che venne suddiviso in due territori governativi, separati dal fiume Mincio. Ogni governo si divideva in province, in distretti e in comuni, mentre la facoltà di indirizzo politico veniva affidata a un governatore e a un collegio governativo, che risiedevano a Milano e a Venezia. L’amministrazione delle province veniva affidata a una regia delegazione che dipendeva dal governo mentre l’amministrazione dei distretti era gestita dal cancelliere del censo che dipendeva dalla regia delegazione. Rimaneva in vigore, invece, la divisione dei comuni in tre classi, prevista dall’ordinamento del napoleonico Regno d'Italia.

Quello che si viene a delineare, quindi, sin dalla prima fase della Restaurazione, è un duplice modello di ordinamento locale: quello austro-lombardo e quello franco-piemontese. Quest’ultimo, attraverso alcune modifiche successive, e in virtù del ruolo politico-militare svolto dalla dinastia sabauda durante il Risorgimento, costituirà l’ossatura dell’ordinamento locale dell’Italia unita.

Nel Regno di Sardegna, infatti, soprattutto con l’ascesa al trono di Carlo Alberto, vennero varate una serie di riforme alla macchina statale, tra il 1836 e il 1842, che ebbero poi delle ripercussioni anche sul futuro Stato unitario. Le novità più importanti furono l’istituzione dei consigli d’intendenza, il 25 agosto 1842, e la riforma dell’ordinamento provinciale, il 31 dicembre 1842. Questi provvedimenti ebbero due effetti di lunga durata: innanzitutto, diedero sostanza concreta alle divisioni, dalla cui struttura amministrativa sarebbero poi sorte le province dell’Italia unita, mentre le piccole province piemontesi si sarebbero trasformate nei circondari; in secondo luogo, con l’istituzione dell’intendente generale si ponevano le basi per la costituzione di una figura che sarebbe poi diventata il principale cardine dell’ordinamento amministrativo dell’Italia unita: il prefetto.

Tuttavia, per avere il primo testo organico sull’amministrazione comunale e provinciale, bisognerà attendere il Regio editto n. 659 del 27 novembre 1847. A capo di tutta la piramide degli enti locali risiedeva l’intendente generale capo «dell’amministrazione della divisione e delle province» e «rappresentante del governo». Le province acquistavano la qualifica di «corpo morale» anche se non avevano un bilancio distinto da quello delle divisioni. Mentre il sindaco era, al tempo stesso, sia il capo dell’amministrazione comunale che un ufficiale del governo, nominato dal re e soggetto alla sospensione da parte dell’intendente generale.

L’editto del 1847, però, venne ben presto superato dagli eventi rivoluzionari del 1848. In quel nuovo contesto storico-politico, diventò fondamentale armonizzare il processo costituzionale con la riaffermata figura del sovrano come capo del potere esecutivo e dell’amministrazione. Il 7 ottobre 1848, con il Decreto legislativo n. 807 emanato su proposta del ministro per l’Interno Pier Dionigi Pinelli, venne approvato, finalmente, l’ordinamento comunale e provinciale del Regno di Sardegna che prevedeva tre diversi livelli di potere, divisioni, province e comuni, costituiti tutti da un organo collegiale di natura elettiva, il consiglio, e un organo monocratico (intendente generale, provinciale e sindaco) di designazione statale. Sulla scia della normativa francese il sindaco era sia il vertice dell’amministrazione comunale che un ufficiale del governo, così come l’intendente era sia il capo della provincia che il rappresentante dello Stato.

In sostanza la legge del 1848 dava al Regno di Sardegna un ordinamento amministrativo che era il prodotto di alcuni residui dell’antico regime, con una forte dipendenza dal sistema napoleonico e con alcune innovazioni avute dalla legislazione francese degli anni Trenta e da quella belga. In particolar modo, le leggi organiche del Belgio del 1836 ebbero una forte influenza sui legislatori sardi e di conseguenza sul futuro assetto amministrativo dell’Italia unita.

Documenti
 

1. Le istituzioni locali piemontesi di fine ‘700.

Il documento riprodotto è il quarto capitolo della Regia Costituzione del Regno di Sardegna promulgata nel 1770 dal Re Carlo Emanuele III. La Regia Costituzione si occupa dell’amministrazione locale per delineare la figura ed i poteri dell’intendente: ovvero dell’agente governativo periferico incaricato di far eseguire la volontà dell’autorità centrale su un determinato territorio (la provincia) e di controllare l’attività dei pubblici, cioè i comuni, gli unici enti locali conosciuti dall’assolutismo sabaudo.

Fonte: Origini – Doc. 1 A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano. Storia della legislazione piemontese sugli enti locali dalla fine dell’antico regime al chiudersi dell’età cavouriana (1770-1861), Vol. II, Venezia, Neri Pozza, 1962, pp. 9-11.

 

2. L’influenza napoleonica e il modello francese.

Uno stralcio del testo che è alla base del sistema amministrativo francese: la Legge del 28 piovoso anno VIII (7 febbraio 1800). Questa legge, che suddivide il territorio della Repubblica e delinea i caratteri dell’amministrazione locale d’oltralpe, ha influenzato notevolmente l’intero ordinamento amministrativo italiano.

Fonte: Origini – Doc. 2 C. Pavone, Amministrazione centrale e amministrazione periferica, Milano, Giuffrè, 1964, pp. 215-219.

 

3. Dupont-White, un teorico dell’accentramento.

Un brano estratto dall’opera L’individuo e lo Stato scritta, nel 1856, dal francese Dupont-White in cui si difende con forza le ragioni dell’accentramento amministrativo fino a teorizzare la necessaria funzione dei governi autoritari. L’opera venne tradotta in Italia nella Biblioteca dell’economista, nel 1859, e fu largamente discussa e citata.

Fonte: Origini – Doc. 3 C. Pavone, Amministrazione centrale e amministrazione periferica, Milano, Giuffrè, 1964, pp. 224-228.

 

4. Clément, un critico del modello francese.

Un brano estratto dal saggio Delle attribuzioni razionali della pubblica autorità scritto dal francese Clément in cui si criticano aspramente le molte attribuzioni dello Stato centrale e i sostenitori dell’accentramento amministrativo venivano accusati di essere dei «socialisti inconseguenti». Anche quest’opera venne tradotta in Italia nella Biblioteca dell’economista, nel 1859, e fu largamente discussa e citata.

Fonte: Origini – Doc. 4 C. Pavone, Amministrazione centrale e amministrazione periferica, Milano, Giuffrè, 1964, pp. 231-234.

 

5. Le congregazioni centrali e provinciali della Lombardia

Il documento riprodotto è la Patente Sovrana del 24 aprile 1815 con cui venivano create le congregazioni centrali e provinciali nel Regno Lombardo-Veneto, precedentemente istituito con la Patente Sovrana del 7 aprile 1815. 

Fonte: Origini – Doc. 5, A. Porro, Il Prefetto e l’amministrazione periferica in Italia. Dall’Intendente subalpino al Prefetto italiano (1842-1871), Milano, A. Giuffré, 1972, pp. 220-230.

 

6. La restaurazione negli Stati sardi.

Il documento riprodotto è la Regie Patenti del 31 dicembre 1815 in cui viene predisposto un nuovo regolamento generale per i comuni del Regno di Sardegna. In particolare, viene trasformata la figura del sindaco che viene scelto dal re o dall’intendente (a seconda del numero degli abitanti) attraverso un elenco di persone compilato dal consiglio ordinario.

Fonte: Origini – Doc. 6, A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano. Storia della legislazione piemontese sugli enti locali dalla fine dell’antico regime al chiudersi dell’età cavouriana (1770-1861), Vol. II, Venezia, Neri Pozza, 1962, pp. 89-91.

 

7. Nasce la provincia “autonoma” dello Stato

Il documento riprodotto è la Regie Lettere Patenti del 31 dicembre 1842 che costituisce, di fatto, il regolamento per l’esecuzione della Regie Lettere Patenti del 25 agosto 1842. Quest’ultima sanciva la nascita della nuova provincia dello Stato e l’istituzione di un nuovo organo: il consiglio provinciale.

Fonte: Origini – Doc. 7, A. Porro, Il Prefetto e l’amministrazione periferica in Italia. Dall’Intendente subalpino al Prefetto italiano (1842-1871), Milano, A. Giuffré, 1972, pp. 201-216.

 

8. Le riforme liberali del 1847-1848

Il documento riprodotto è un breve estratto (il preambolo e le disposizioni generali finali) del Regio Editto del 27 novembre 1847 che regola l’amministrazione dei comuni e delle province del Regno di Sardegna. Di particolare importanza l’art. 268 perché abroga il Regolamento del 6 giugno 1775 e – sancendo l’abbandono di ogni particolarismo risalente all’assolutismo – introduce, definitivamente, quelle istituzioni locali uniformi sulla scia di quanto era avvenuto in Francia già dal periodo rivoluzionario.

Fonte: Origini – Doc. 8 A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano. Storia della legislazione piemontese sugli enti locali dalla fine dell’antico regime al chiudersi dell’età cavouriana (1770-1861), Vol. II, Venezia, Neri Pozza, 1962, pp. 270-271 e pp. 303-304.

 

9. La legge comunale e provinciale del 1848.

Il documento che segue è la Legge comunale e provinciale del Regno di Sardegna promulgata il 7 ottobre 1848 successivamente alla concessione dello Statuto albertino del marzo dello stesso anno. La legge, applicando il principio dell’elettività diretta a tutti i corpi locali, da un lato apre la strada ad una nuova forma di rappresentanza politica e, dall’altro, rafforza l’accentramento amministrativo che inizierà una serie di controlli sempre più severi sui corpi locali.

Fonte: Origini – Doc. 9, A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano. Storia della legislazione piemontese sugli enti locali dalla fine dell’antico regime al chiudersi dell’età cavouriana (1770-1861), Vol. II, Venezia, Neri Pozza, 1962, pp. 305-342.

Giudizi storici
 

 

1. L’esportazione del modello francese

Testo: Un’efficace sintesi storica sulle cause e le modalità attraverso le quali si delinearono sia i caratteri del governo locale francese – dalla Rivoluzione a Napoleone – che la ricezione del modello d’oltralpe nelle istituzioni locali della penisola italiana.

Fonte: Origini – Sto. 1, P. Aimo, Stato e poteri locali in Itali (1848-1995), Roma, Carocci, pp. 13-21.

 

2. I poteri locali nel periodo napoleonico

Testo: Una disamina delle istituzioni locali nel primo decennio dell’Ottocento in Liguria, in Toscana a Milano e a Napoli che sottolinea la forte influenza napoleonica nella determinazione degli ordinamenti amministrativi.

Fonte: Origini – Sto. 2, C.Ghisalberti, Le amministrazioni locali nel periodo napoleonico, in N. Raponi, Dagli stati preunitari d’antico regime all’unificazione, Bologna, Il Mulino, 1981, pp. 442-454.

 

3. La nascita delle circoscrizioni provinciali

Testo: Nelle pagine che seguono si ripercorrono i momenti più importanti del processo organizzativo e legislativo che hanno portato alla nascita e allo sviluppo delle circoscrizioni provinciali in Italia tra la fine del Settecento e il 1848.

Fonte: Origini – Sto. 3, F. Bonini, L’orizzonte politico-istituzionale vicino: la nascita delle circoscrizioni provinciali in Italia, in “Storia Amministrazione Costituzione”, 2003, pp. 268-304.

 

4. L’organizzazione territoriale del Lombardo-Veneto

Testo: Un’agile illustrazione dell’organizzazione territoriale del Lombardo-Veneto che superando il periodo napoleonico si riconnette, seppur con qualche novità, al sistema amministrativo teresiano settecentesco.

Fonte: Origini – Sto. 4, M. Meriggi, Il Regno Lombardo-Veneto, Torino, Utet, 1997, pp. 33-36.

 

5. Gli ordinamenti locali della Lombardia

Testo: Un’interessante analisi degli ordinamenti locali della Lombardia preunitaria sulla scia della riflessione di Carlo Cattaneo che loda il sistema comunale teresiano e critica, all’opposto, l’ordinamento amministrativo napoleonico.

Fonte: Origini – Sto. 5 E. Rotelli, Gli ordinamenti locali della Lombardia preunitaria (1755-1859), in “Archivio storico lombardo”, 1974, pp. 171-234, poi in L’alternativa delle autonomie. Istituzioni locali e tendenze politiche dell’Italia moderna, Milano, 1978, pp. 59-77.

 

6. Distretti, province e comuni nel Regno delle Due Sicilie

Testo: L’elemento fondamentale della Monarchia amministrativa e della «centralizzazione napoleonica» è ben simboleggiato dalla figura dell’intendente istituita nel 1806 dal re Giuseppe Bonaparte. Le pagine che seguono descrivono il rapporto tra il centro e la periferia nel Regno di Napoli a partire dai primi anni dell’Ottocento fino alla Restaurazione borbonica e alla costituzione del Regno delle Due Sicilie.

Fonte: Origini Sto. – 6, C. Spagnoletti, Storia del Regno delle Due Sicilie, Bologna, Il Mulino, pp. 145-171.

 

7. L’esperienza del Piemonte.

Testo: Claudio Pavone compie un’agile ricostruzione della storia amministrativa del Regno di Sardegna nei decenni successivi alla restaurazione, evidenziando la centralità della Legge comunale e provinciale del 1848. La Legge istituisce un ordinamento amministrativo in cui, accanto ad alcune residuali tradizioni locali, è evidente la forte eredità napoleonica e l’altrettanto importante influenza della legislazione belga.

Fonte: Origini – Sto. 7, C. Pavone, Amministrazione centrale e amministrazione periferica, Milano, Giuffrè, 1964, pp. 6-14.

 

8. Le riforme sotto Carlo Alberto.

Testo: Dopo la stagnazione del dibattito sulla macchina statale durante il governo di Carlo Felice, l’ascesa al trono di Carlo Alberto coincise con alcuni mutamenti istituzionali del regno sabaudo. Ed è grazie all’opera esercitata da alcuni riformatori come il Conte Carlo Ilarione Petitti di Roreto che, tra il 1836 e il 1843, vennero emanate alcune leggi che modificarono l’istituto delle Intendenze.

Fonte: Origini – Sto. 8, I. Costanza, L’amministrazione provinciale nel Regno sabaudo (1815-1847), in Storia, Amministrazione, Costituzione, 2007 pp. 19-58 poi in Le province dalle origini alla Costituzione, a cura di P. Aimo, Milano, ISAP, pp. 87-96.

 

9. Le origini del Prefetto.

Testo: L’origine “formale” dell’istituto prefettizio in Italia viene solitamente riconosciuto con la promulgazione della Legge comunale e provinciale del 1859. In realtà, i caratteri di questa figura erano maturati da tempo all’interno degli ordinamenti amministrativi sabaudi. Per lo meno da quando era stato creato, in Piemonte, l’istituto dell’Intendente generale con le Regie Lettere Patenti del 25 agosto 1842.

Fonte: Origini – Sto. 9, A. Porro, Il Prefetto e l’amministrazione periferica in Italia. Dall’Intendente subalpino al Prefetto italiano (1842-1871), Milano, A. Giuffré, 1972, pp. 3-15.

 

10. Le grandi riforme del 1847-1848

Testo: In un momento di cesura per le sorti politiche del processo unitario si compie anche un’importante svolta dal punto di vista amministrativo. In particolar modo, nel 1848, applicando «il principio rappresentativo» viene meno quel «sistema unitario», delineato dall’Editto del 1847, che aveva collegato i poteri locali con l’amministrazione centrale. Tuttavia, la possibilità di essere eletti contemporaneamente nei Comuni, nelle Province e nelle Divisioni produsse una fitte rete di interessi personali esautorando, di fatto, le distinzioni tra i diversi enti amministrativi.  

Fonte: Origini – Sto. 10, A. Petracchi, Le origini dell’ordinamento comunale e provinciale italiano. Storia della legislazione piemontese sugli enti locali dalla fine dell’antico regime al chiudersi dell’età cavouriana (1770-1861), Vol. I, Venezia, Neri Pozza, 1962, p. 100 e pp. 116-122.