» Pasquarosa (Pasquarosa Marcelli Bertoletti)  
1896 - 1973
 


 

 

La si potrebbe definire una pittrice fauve, se non fosse che nel suo caso l’impeto espressivo non è frutto di una scelta o indizio di appartenenza a un movimento, ma un fatto del tutto spontaneo e istintuale. In totale autonomia, senza aver fatto né scuole né accademie, senza seguire né regole né mode, per tutta la sua lunga vita di artista dipinge vasi di fiori, ciotole, ventagli, frammenti di stoffe variopinte, angoli di interni casalinghi.

Usa colori accesi e contrastanti e li stende pastosi a vaste campiture, dando vita alle sue gioiose nature morte che firma, per modestia, con il solo nome, quel nome inconsueto e ridente che tanto bene le si attaglia.

Se è vero che nella storia dell’arte non occupa un posto di primo piano, è anche vero che non c’è rassegna nazionale cui non sia stata invitata, non c’è critico autorevole che non abbia parlato di lei.

La sua biografia è quasi una favola. Pasquarosa Marcelli, figlia di modesti contadini, a 16 anni lascia il paese natio, si trasferisce a Roma per lavorare come modella e incontra il pittore Nino Bertoletti. Nasce un grande amore, ancor prima di sposarsi vanno a vivere insieme nella comunità di artisti di Villa Strohlfern. Lui le fa da pigmalione, la incoraggia a istruirsi, le dà in mano tavolozza e pennelli e scopre il suo talento. Insieme partecipano nel 1915 alla Terza Esposizione Internazionale d’Arte della Secessione romana: lei riscuote un immediato successo, la regina Margherita acquista un suo dipinto, Emilio Cecchi commenta il suo lavoro come un «fatto intieramente nuovo». Quando nel 1918 prende parte alla mostra collettiva alla Casina del Pincio, allestita da Carlo Tridenti e Marcello Piacentini, Cipriano Efisio Oppo riassume così le sue impressioni: «Il fenomeno Pasquarosa è stato negli anni scorsi un miracolo. Tutti abbiamo visto in questa pittura inesperta qualcosa di straordinario». Consacra la sua carriera di artista, ormai felicemente avviata, la personale all’Arlington Gallery di Londra del 1929. Negli anni successivi partecipa fra l’altro alle Biennali di Venezia (1932, 1934, 1936, 1948), alle Quadriennali romane (1931, 1935, 1939, 1948), alle mostre del Sindacato laziale fascista (1929, 1932, 1936, 1937).

Circondata dall’affetto e dalla stima dei tanti artisti, critici e letterati che frequentano la sua casa, fino a tutti gli anni Cinquanta continua a dipingere e a esporre, riproponendo con coraggiosa ostinazione il suo consueto repertorio. La sua vita, al fianco del sempre solidale marito, arricchita dalla presenza dei figli Giorgio e Carlo Francesco, si svolge serena.

Irene De Guittry