» Mussolini Rachele  
1890 - 1979
 


 

 
Dal libro di Gianni Scipione Rossi Cesira e Benito. Storia segreta della governante di Mussolini, 2007  

Rachele Guidi, casalinga. Nasce a Salto, in Romagna, l’I 1 apri le del 1890. Morirà per collasso cardiocircolatorio alle ore 13,20 del 30 ottobre 1979 nella propria abitazione a Villa Carpena, a Predappio.

Azdora e perciò contadina, raccontata da una leggenda che la vuole matriarca di una famiglia devastata dal dolore, Rachele conquista il titolo di “donna” in virtù del suo carattere forte e combattivo, in ragione del suo essere stata fondamentalmente un monumento di dignità.

Tal prefetto Saverio Polito, quando la porta via da Villa Torlonia verso una destinazione d’ufficio stabilita dall’empio maresciallo Badoglio, le strappa la mano dalla rigidità che è propria di una signora ignobilmente sequestrata per compiere su di lei un volgare oltraggio sessuale, per infangare ulteriormente questa figlia del popolo che nessuna lusinga borghese aveva mai distolto dalla propria natura di madre, moglie e padrona.

Immune ai richiami e alle chimere della nobiltà perfino, sollecitata ad accettare un titolo principesco o una ducea almeno, questa donna cui hanno strappato il marito col sotterfugio tipico degli inquilini del Quirinale in un’Italia rovinata nel disastro civile ha dalla sua parte la regina Elena, sangue montenegrino, «culto della lealtà e dell’o nore» che tuona contro Vittorio Emanuele: «A casa nostra, sotto il nostro tetto, contro tutte le regole dell’ospitalità, quell’orrenda autoambulanza nel giardino».

La vita di Rachele Guidi, zappatrice alla Valle del Rabbi, è stata messa da parte per Euripide. È appena una bambina delle elementari quando Rachele s’innamora di Benito Mussolini. Lui sostituisce la madre a scuola, la maestra Rosa Mattoni, la rivede la domenica all’uscita della messa, la fulmina di sguardi ma vivranno per un periodo come fratello e sorella quando Alessandro “il fabbro”, il padre di Mussolini nel frattempo vedovo, si porterà in casa la madre di Rachele diventata sua compagna.

A diciannove anni è Rachele che diventa compagna di Benito Mussolini, anzi, è registrata nei brogliacci della forza pubblica come «concubina dell’imputato Benito Mussolini». In un disegno di anonimo graffiato col carboncino si vedono Rachele e Benito intorno a una culla, il futuro fondatore dell’Impero suona una ninna nanna col violino. Rivoluzionari e socialisti, Rachele e Benito hanno già una figlia, Edda. La bambina viene registrata all’anagrafe come figlia di Benito Mussolini e di N.N. È una formula insolita, darà adito a un sospetto che sopravvivrà nel tempo, quando Edda, futura contessa Ciano, sarà sempre più diversa dalla madre così popolana, e sempre più contessa, forse figlia naturale di Angelica Balabanoff, nobile e bohémien rapita d’amore per Mussolini.

«Tu non puoi essere mia figlia» dirà spesso la madre alla figlia e madre e figlia condurranno sempre l’una contro l’altra armata una guerra sorda e lunga sigillata in un amore feroce, un legame affondato nella carne viva di ferite inaudite, come quella cena con i Mussolini riuniti per l’ultima volta insieme, con donna Rachele ostentatamente girata di spalle per non voler guardare il genero, Galeazzo, chiedendo ripetutamente al marito: «Quando ti libererai dei traditori?». Adolf Hitler in persona chiede la grazia per Galeazzo Ciano già condannato a morte dal tribunale di Verona. Mussolini risponde: «Come potrei chiedere alla mia gioventù di andare a morire se poi restituisco la vita a mio genero».

Come avrebbe mai potuto guardare in faccia sua moglie piuttosto, se solo avesse salvato Galeazzo Ciano. La vita di Rachele Guidi, pratica di orto e di allevamenti, donna di modi spicci e nervosi, è stata messa da parte per Euripide. Rachele e Benito si sposeranno civilmente nel 1915, si uniranno in matrimonio anni dopo, e questa volta davanti all’Altare, quando lui avrà trovato «posto» alla guida della nazione italiana. Lei è un caratteraccio, lui l’asseconda sempre. L’unica volta che Benito Mussolini si potrà permettere il lusso di una sfuriata con la moglie sarà a causa di un «furto».

Pratica e sbrigativa, donna Rachele raduna tutta la paccottiglia dei riconoscimenti ottenuti dal marito: le targhe, le coppe, le medaglie; ori e argenti che fa fondere per ricavarne il denaro con cui poi compra una «cucina economica». Il marito diventa un cerbero: «Hai rubato allo Stato, quell’oro e quell’argento non l’hanno dato a me, lo hanno dato al capo del Governo».

Avranno altri quatto figli: Vittorio, letterato, soldato e ottimo critico cinematografico, quindi Bruno, un angelo dell’aviazione morto in giovane età, la dolcissima Anna Maria, colpita giovanissima dalla poliomielite e infine Romano, jazzista, pittore, un artista dal tratto amorevole, papà di Alessandra, l’inaspettata nipote che infine ha coraggiosamente raccolto l’eredità politica di una complicata e affascinante famiglia italiana.

Analfabeta, Rachele imparerà solo a scrivere il proprio nome e cognome per potere firmare le dediche per le migliaia e migliaia di visitatori che si recheranno in pellegrinaggio a Predappio negli anni del dopoguerra per renderle omaggio; Gloria Sabatini, prima firma de Il Secolo d’Italia, già quotidiano del Msi, conserva una foto di lei bambina ritratta accanto alla vedova del Duce ma perfino Marco Pannella, leader radicale, troverà negli anni del suo impegno libertario il sorriso di questa contadina felice di vederlo imbavagliato davanti agli schermi della tivù per inscenare sempre più aspre proteste civili.

Devota di Padre Pio riceverà dalle mani del santo una corona di rosario per recitare le preghiere in memoria del marito, lei aggiungerà motu proprio un’Avemaria per Claretta Petacci, l’amante, ovvero la donna che le aveva sottratto il privilegio di morire accanto all’uomo della sua vita. A Rachele spetterà il potente compito di officiare alla restituzione delle spoglie martoriate del Duce.

Dopo anni di opprimente ipocrisia democratica, in un mezzogiorno di sabato – grazie anche alle intercessioni di Pietro Nenni, amico di famiglia – convocata segretamente al cimitero di Predappio, donna Rachele riceve in una cassa di sapone la salma del marito. Si inginocchia, chiede al marito tutta la forza per resistere allo strazio, «effettua il riconoscimento», mette nome e cognome sul verbale, rifiuta assolutamente una più acconcia bara affinché i posteri abbiano vergogna di quella cassa per sapone con ancora appiccicata sopra la reclame e maledice, ancora una volta, i traditori. A poco a poco si diffonde in paese la voce dell’avvenuta consegna: «E’ tornato il Duce! E’ tornato il Duce!».

La vita di donna Rachele è un canovaccio di Euripide ma la biografia più bella, quella che l’ha consegnata ai posteri, l’ha scritta Francobaldo Chiocci.

Pietrangelo Buttafuoco