» Milly (Carla Mignone)  
1903 - 1980
 


 

 
foto cortesia Eduardo Paola  

Carla Emilia Mignone – questo il suo nome anagrafico – nacque ad Alessandria nel 1903, e aveva pochi anni d’età quando il padre se ne andò di casa lasciandola con la madre e i due fratellini.

L’esordio e i primi passi nel mondo dello spettacolo furono quelli, durissimi, che allora erano di prammatica e, come allora era anche frequente, all’insegna di un coinvolgimento di tipo familiare. Dopo essere stata assunta come cassiera al teatro Fiandra di Torino, e dopo aver debuttato nello stesso teatro come cantante, Milly, infatti, formò un trio di avanspettacolo con Mitì, la sorella ballerina, e il fratello Totò, suonatore. La gavetta terminò con la scrittura e il successo strepitoso al Trianon di Torino prima, e infine al Carignano, nella rivista Minorenni a noi.

A cimentarsi in un grande spettacolo – e a offrirgliene anche la possibilità – la spinse probabilmente il regista Mario Mattoli, che poi sposerà Mitì. In breve, Milly divenne una delle stelle del teatro leggero italiano dei primi anni Trenta. Recita con Spadaro, con i De Filippo, con Isa Bluette, con Umberto Melnati; è poi nella compagnia dei fratelli Schwarz che mette in scena la rivista II Cavallino bianco e Wunderbar; arriva infine all’Excelsior di Milano per ricoprire il ruolo di soubrette della compagnia Za Bum, sotto la regia di Mario Mattoli.

Cantante dai toni caldi, dotata di grande verve naturale, e di una vivacità brillante ma non esibita, assistita da un repertorio di canzoni intelligentemente anticonvenzionali, Milly si affida non tanto all’avvenenza fisica quanto al carattere ironico e intrigante della sua presenza in scena. Ed è il fascino di questa presenza, abbastanza fuori dal comune per una soubrette italiana, che fa breccia in molti cuori maschili conquistandole ammirazioni devote pronte a trasformarsi in passioni ardenti. Sono questi gli anni in cui si sussurra con insistenza di un affaire tra la cantante e il giovane rampollo di Casa Savoia, il bel principe Umberto, troncata (sempre a quel che si dice) per il diretto intervento del Re, e di tante altre storie che vedono coinvolti specialmente letterati e intellettuali, i più sensibili alla grazia leggera e maliziosa di questa piemontese minuta che sembra conoscere così bene l’arte di conquistare l’attenzione degli uomini.

Ma ad un tratto, all’inizio degli anni Trenta, nel pieno della sua fama, Milly scompare dall’Italia, va negli Stati Uniti dove rimane molti anni e da dove farà ritorno solo dopo la guerra. Cosa sia realmente successo rimarrà sempre un mistero, alimentato dalla tenace, invincibile, discrezione della protagonista.

Certo: tutto è cominciato con alcune scritture che l’hanno portata al Rainbow Room del Waldorf Astoria e poi a Broadway e infine a contatto con il mondo cinematografico e artistico americano, e insomma a ripetere oltre Atlantico il successo che ha avuto in Patria, ma deve essere accaduto anche, ben ptesto, qualcosa di più importante. Con molta probabilità – è questa la voce che corre – la nascita di un legame sentimentale, forse con qualche esponente di primissimo piano del bel mondo Usa. Fatto sta che Milly sembra dimenticarsi dell’Italia, fino al punto di prendere la cittadinanza americana.

Altrettanto misteriose le ragioni del ritorno in Patria, che avvenne alla fine degli anni ‘40. Tutto era diverso, tutto era cambiato e per Milly fu come ricominciare dall’inizio. Nel 1950 finalmente Remigio Paone la scritturò per la rivista Quo vadis? accanto a Dina Galli ed Enrico Viarisio. In seguito venne l’impegno in altre importanti compagnie di prosa, con Umberto Melnati, Valeria Valeri, Leonardo Cortese, finché giunse l’ora della grande rentrée.

Nel 1955, il Piccolo Teatro di Milano aveva deciso di mettere in scena L’opera da tre soldi di Bertold Brecht e Kurt Weil e, trattandosi di assegnare la parte di Jenny delle Spelonche era stata programmata la prova di vari candidati, tra questi Milly. Le bastò intonare la prima strofa di Ma l’amore no, una celebre canzone del suo repertorio, perché Paolo Grassi, direttore del Piccolo, decidesse all’istante che Jenny non poteva che essere lei, e convincesse Giorgio Strehler ad assegnarle la parte.

Così fu, e allo spettacolo arrise un vero e proprio trionfo: la trama programmaticamente trasgressiva, la musica dei “songs” così carica di echi della grande stagione nel cabaret mitteleuropeo, il recitativo secco e denso: tutto sembrava fatto apposta per combinarsi a meraviglia ed esaltare il temperamento di una Milly giunta alla sua stagione artisticamente più matura, dalla voce roca e pastosa – «voce notturna» la definirà De Monticelli – egualmente efficace nei toni sommessi e in quelli gridati; una Milly la cui recitazione e il cui canto sapevano come non mai colorarsi dei colori dell’allusione e della malizia, così come di un’improvvisa, triste, dolcezza.

Era il risultato di una biografia artistica fuori dal comune, che ora si mostrava la più adatta ad esprimere un tipo di donna in armonia con i tempi nuovi che il paese ormai stava conoscendo: una donna autonoma, padrona della propria femminilità e dei propri sentimenti, ma anche consapevole della fatica e della ambiguità che inevitabilmente costava (e costa) far convivere le nuove conquiste dell’emancipazione insieme all’irrinunciabile deposito di antiche e perenni convenzioni legate al rapporto tra i sessi.

A questa nuova intricata temperie di stati d’animo Milly prestò la sua voce e il suo fascino, le sue mises rigorosamente in nero, il suo gusto del ripescaggio archeologico, perlopiù nella dimensione che fu presto elettivamente la sua, vale a dire la dimensione (anch’essa nuova per l’Italia) del cabaret colto, di cui divenne, negli anni Sessanta, dominatrice indiscussa attraverso una serie di spettacoli tra cui, memorabile, Milanin Milanon, per la regia di Filippo Crivelli, andato in scena al teatro Gerolamo di Milano nel 1962 con Tino Carraro ed Enzo Jannacci. Oltre allo spettacolo di cabaret furono negli anni seguenti il varietà (Studio Uno) e gli sceneggiati televisivi (Ritratto di Signora di Sandro Sequi), il cinema, dove aveva esordito negli anni Trenta ma a cui ora Milly offrì prestazioni incisive sotto la guida di Germi, Bertolucci, Lattuada, Patroni Griffi, i recital, perfino le Feste dell’Unità. Ormai divenuta milanese d’adozione – non foss’altro per aver dato voce magistrale a tanta parte dell’anima canora della città (da Tant che l’era piscinin a La povera Rosetta e El me ligera) – nel 1972 il sindaco di Milano le conferì la medaglia d’oro di benemerenza civica. Si spense a Nepi, non lontano da Roma, nel 1980.

Ernesto Galli della Loggia