» Strada Alfonsina  
1891 - 1959
 


 

 
Alfonsina Strada nel 1932, all’epoca del record mondiale su strada - Archivio familiare, per concessione di www.radiomarconi.com  

«Alfonsina Strada, chi non conosce questo nome alzi una mano. Ahi, quante mani alzate. Ma allora nessuno ricorda colei che [...] portò a compimento un intero giro d’Italia?»: così scriveva Sandro Giovannini in un articolo comparso su Il Littoriale di domenica 15 novembre 1942, proponendo ai lettori un “viaggio rapido sulla bicicletta della fantasia”.

Alfonsina Morini è stata la pioniera del ciclismo femminile italiano. Nata a Castelfranco Emilia nel 1891 da una famiglia di contadini, la passione per le due ruote inizia con la vecchia bicicletta del padre in sella alla quale è la vedette delle competizioni sportive della zona: pur di essere ammessa alla sua prima gara sulle strade di Reggio Emilia si finge persino maschio, dal momento che le donne non sono ammesse.

Ma proprio per questo, per la gente di Castelfranco, diventa “il diavolo in gonnella”. Così, non vedendo di buon occhio l’interesse sportivo della giovane, amici, parenti e genitori indirizzano Alfonsina verso la strada del matrimonio, per indurre la ragazza ad abbandonare le trasgressive velleità ciclistiche e dedicarsi alla professione di sarta. Il destino delle due ruote, però, sembra doversi compiere comunque. Nel 1905, ad appena 14 anni la giovane Morini sposa il cesellatore Luigi Strada: un uomo intelligente, moderno, senza pregiudizi, che anziché ostacolare la passione della sposina la approva e la appoggia in pieno. Ciò che Luigi dimostra il giorno stesso delle nozze quando regala ad Alfonsina una bicicletta nuova fiammante, con i manubri ricurvi all’indietro proprio come occorre per gareggiare. L’anno successivo, poi, la coppia si trasferisce a Milano e Alfonsina comincia ad allenarsi regolarmente sotto la guida del marito.

Nel 1924 Alfonsina Strada viene ammessa al Giro d’Italia. In questi anni le strade non sono ancora asfaltate, le biciclette pesano almeno venti chili, il cambio di velocità non esiste. Alfonsina però durante la gara mostra un impegno e una determinazione che disegnano un nuovo volto dello sport femminile; e non per i risultati ottenuti, ma per la dimostrazione che anche le donne possono compiere l’immane fatica dei ciclisti maschi.

La Strada, dunque, partita con la sua bicicletta da uomo, con i suoi calzoni alla zuava, con il viso buono e sorridente, compie regolarmente le prime, lunghissime quattro tappe del giro: la Milano-Genova (arrivando con un’ora di distacco dal primo ma precedendo molti rivali), la Genova-Firenze (in cui si classifica al cinquantesimo posto su 65 concorrenti), la Firenze-Roma, giungendo con soli tre quarti d’ora di ritardo sul primo e davanti ad un folto gruppo di concorrenti, e la Roma-Napoli dove conferma la sua resistenza. Nell’ottava tappa L’Aquila-Perugia, però, pioggia e vento flagellano il percorso già irto di enormi difficoltà per la impraticabilità delle strade del Sud; Alfonsina, vittima di numerose cadute e fora ture giunge al traguardo fuori tempo massimo.

Nonostante fra i giudici si accenda una violenta polemica per mettere fuori gara la ciclista, che infine viene esclusa, Emilio Colombo, direttore della Gazzetta dello Sport, comprendendo la curiosità e l’interesse del pubblico per la prima ciclista della storia, consente alla Strada di seguire la corsa, pagandole di tasca propria l’alloggio e il massaggiatore. Alfonsina giunge a Fiume con venticinque minuti di ritardo, ferita e visibilmente provata dalle cadute

 Gli spettatori, però, le riservano un’accoglienza piena di entusiasmo e di calore, strappandola al traguardo dalla bicicletta e acclamandola come i campioni più stimati: tutti vogliono vedere questa donna eccezionale che riesce ad arrivare alla fine del giro fra i trenta corridori dei novanta concorrenti partiti da Milano.

Negli anni successivi ad Alfonsina viene negata l’iscrizione al Giro, che però continua ancora a seguire per lunghi tratti per proprio conto: ciò che accresce l’amicizia, la stima e l’ammirazione che molti giornalisti e corridori, tra cui Emilio Colombo e Girardengo, nutrono verso di lei. Nel 1938, a 47 anni, la Strada conquista persino il record femminile dell’ora a Longchamp, in Francia, fissandolo a 35,28 chilometri. Ma l’essere esclusa dalle gare ufficiali porta la sportiva a dedicarsi ad altre attività che non le rimandano la simpatia del pubblico; sfruttando la propria abilità di ciclista, partecipa a diversi varietà in Italia ed all’estero; si esibisce persino nei circhi, correndo sui rulli.

Rimasta vedova di Luigi Strada, Alfonsina si risposa con Carlo Messori, anch’egli ex ciclista di fama. Con lui prosegue per alcuni anni nella sua attività sportiva e più tardi, sempre con l’amore per le due ruote, ad occuparsi di biciclette nel negozio che Messori apre a Milano con annessa una piccola officina per le riparazioni. Nel 1957 Alfonsina rimane nuovamente vedova, sola a curare la casa milanese di via Varesina e la bottega di riparazioni che ha gestito con il secondo marito per più di vent’anni. Anche se non più giovanissima, la pioniera del ciclismo femminile italiano continua ad usare ogni giorno la sua vecchia bicicletta da corsa per andare al lavoro, indossando una abbondante gonna pantalone.

Solo quando inizia a sentirsi ancora più stanca acquista una Moto Guzzi 500 di colore rosso, che alcuni dicono comperata vendendo parte delle medaglie e dei trofei vinti nel passato.

Alfonsina Strada muore nel settembre del 1959 all’età di 68 anni.

Le cronache del tempo raccontano la sua scomparsa, mettendo così in luce l’irrinunciabile e caparbia passione per la bicicletta durata tutta una vita: “Era partita da casa molto presto con la sua moto per assistere alla famosa «Tre Valli Varesine» ed era rientrata a sera. Alla portiera di casa aveva detto «Come mi sono divertita, signora. Proprio una bella giornata. Ora porto la moto in negozio e torno in bicicletta». Uscì. La portiera sentì che cercava di avviare la moto ma non vi riusciva. Si affacciò sulla strada per vedere: Alfonsina spingeva con forza, con rabbia sulla leva di avviamento. D’un tratto la moto le sfuggì di mano, e lei le cadde sopra come volesse abbracciarla. La soccorsero, la caricarono su una macchina per portarla all’ospedale, ma quando arrivarono era già morta per una crisi cardiaca».

Alessandra Antinori