» Gobetti Ada  
1902 - 1968
 


 

 

Un ragazzo quattordicenne appassionato lettore de La Vita Nova nota una bambina dalle trecce sulle spalle e i grandi occhi pieni di fuoco e ne fa la sua Beatrice.

Il ragazzo si chiama Piero Gobetti, la bambina Ada Prospero, figlia unica di un’agiata famiglia di commercianti. I due cominceranno a frequentarsi tre anni dopo, nel 1918, quando Piero, ormai diciassettenne, le scrive per la prima volta per coinvolgerla nel suo progetto di fondazione del suo giornale, Energie Nove. Poche settimane dopo, i due ragazzi sono già fidanzati.

E Ada si butterà senza esitazioni in quel rapporto intensissimo, fatto di amore e politica, letture, citazioni e caste tenerezze, abbandonandovisi con una passione assai più accesa e totale di quella sublimata e razionale di Piero. Docilmente, Ada legge i libri che Piero le propone, discute con lui le sue idee, lascia sul suo esempio la scuola, dove frequenta la seconda liceo, per dare gli esami di maturità come privatista ed abbreviare il tempo di quelle scuole che vede come inutili, anzi “scellerate”.

Si lascia plasmare dal carisma e dall’intelligenza di quel giovanissimo intellettuale, ed entra completamente a far parte del suo progetto, un progetto al tempo stesso di cultura e di politica e di vita. Da lui si lascia perfino allontanare dagli amatissimi studi di musica, per iscriversi nel 1920 alla facoltà di Lettere e Filosofia.

Rieducata, ricreata, ma anche in qualche modo fagocitata da Piero, Ada mantiene tuttavia il suo carattere, grazie alla sua innata forza, alla sua intelligenza vivace. Le lettere di quegli anni, fino al 1923, data del loro matrimonio, ce la mostrano anche nella sua diversità da Piero, e mostrano un Piero che combatte e critica il suo sentimentalismo, la sua praticità, in qualche modo, forse, la sua vitalità. Ma insieme, i due costruiscono un amore che tende alla perfezione, fondato sulla crescita intellettuale e sulla continua risposta, evitando l’annullamento e la cancellazione tipici di ogni simbiosi.

Un amore del genere esige che, quando Piero, nel 1925, già gravemente ammalato dalle conseguenze della violenta aggressione subita da parte dei fascisti e dopo aver visto chiudersi tutte le possibilità di esercitare il pubblico esercizio del suo pensiero, decide di trasferirsi a Parigi, Ada non lo contrasti in nessun modo: in attesa di poterlo raggiungere, resta sola a Torino, con il bambino appena nato, Paolo, e a Torino la raggiunge, nel febbraio del 1926, la notizia della sua morte, lontano da lei. Se lo rimprovererà, lo scriverà nei suoi Diari, pur consapevole di avere fatto l’unica scelta degna del loro rapporto.

La giovanissima vedova regge, pur immersa in un dolore straziante. Il suo percorso intellettuale si approfondisce sulle linee tracciate nell’affinità con il marito, ed emergono libere le sue forze autonome, la sua grande capacità creativa. Ma, pur senza vivere di rendita sull’immagine del marito, Ada resta nell’orbita ideale tracciata in quei primi anni con Piero e ne prosegue il percorso.

Vive a Torino, nella sua casa di via Fabro, cresce il suo bambino, frequenta il mondo già suo degli intellettuali torinesi antifascisti. Presto, si lega da un’intensa amicizia intellettuale con un grande maestro, alle cui opere Piero l’aveva iniziata, Benedetto Croce. Laureata in filosofia, inizia ad insegnare inglese, a tradurre, a scrivere. Nel 1937, sposa Ettore Marchesini, anch’egli legato ai gruppi antifascisti di “Giustizia e Libertà”, un uomo pratico e concreto. Dopo l’8 settembre del 1943, si butta nella lotta partigiana, in montagna, insieme al figlio Paolo, allora diciottenne.

A Torino, la sua casa di via Fabro, sfuggita quasi miracolosamente all’attenzione di fascisti e nazisti, diventa il centro della vita clandestina dei gruppi di “Giustizia e Libertà”. Di questi diciotto mesi restano le pagine ironiche e calde del suo Diario partigiano, scritto nel dopoguerra, in una rielaborazione degli appunti presi in quel periodo, per spiegare a Benedetto Croce, che diceva di non averlo troppo chiaro, il senso della Resistenza. Con molto affetto, Croce risponderà, dopo averlo letto, di continuare a non capire.

Diversa la reazione di Italo Calvino, che esclamerà con invidia: «Ma come vi siete divertiti!!». Sono pagine che tuttora appaiono diverse e più vivaci del resto della memorialistica di quegli anni, segnate come sono dalla prevalenza degli affetti sulla politica, dalla lotta vista come passione etica e civile, dalle lacrime versate per i morti, per gli amici perduti, dall’ansia materna per i pericoli corsi da Paolo. Senza rinunciare alla sua carica di emozioni, la giovinetta degli anni Venti, tutta devozione e amore, è diventata una donna forte e saldissima, un pilastro su cui in molti si appoggiano.

Nell’immediato dopoguerra, il suo Partito, il Partito d’Azione, la fa vicesindaco di Torino, accanto al comunista Roveda. Ma la sua carriera politica si ferma lì. In un mondo affollato di padri della patria, non c’è spazio per una madre della patria. Eppure, quel ruolo si sarebbe adattato benissimo ad Ada, che lo avrebbe anche stemperato con la sua straordinaria ironia.

Negli anni Sessanta, la casa di via Fabro diventa un centro di Studi intitolato a Gobetti, una biblioteca. Ma ad occuparsene sono soprattutto il figlio Paolo e la nuora Carla. Ada si volge verso la pedagogia, l’educazione infantile. Scrive dei libri per bambini, tra cui il delizioso e anticonformista Storia del gallo Sebastiano, un libro di consigli ai genitori, Non lasciamoli soli, e soprattutto fonda nel 1959 il Giornale dei genitori, che dopo la sua morte sarà diretto da Gianni Rodari.

Traduce in italiano i libri di Benjamin Spock. Vive nella collina torinese, a Reaglie, in una grande casa aperta a tutti, piena di amici, bambini, libri e luce. Come aveva accudito il figlio e gli amici, accudisce con intelligenza e tenerezza i nipoti, Andrea e Marta. È attivissima, energica, vivace. C’è tuttavia, nella sua vita torinese di questi anni, una punta di isolamento, di solitudine. È forse per sfuggirvi, o sotto l’influenza del figlio Paolo e della nuora, che nel 1956 Ada aderisce, pur senza impegnarvisi attivamente, al Partito comunista. Sono gli anni in cui il mondo liberal-democratico torinese, da Bobbio a Galante Garrone a Giorgio Agosti, vive in silenzio, come ripiegato su se stesso, mentre si afferma una cultura di sinistra, legata all’esperienza della fabbrica, ai Quaderni Rossi di Panzieri.

Verso questo mondo Ada oscilla, spinta dalla sua stessa curiosità intellettuale, dalla libertà del suo spirito. Critica a voce alta l’ufficializzazione della Resistenza, invece di accoglierla come un riconoscimento, dopo gli anni Cinquanta caratterizzati dal silenzio e dalla rimozione. «Vogliono mandare la Resistenza al museo tutta impacchettata», scrive.

Nel 1968, accoglie con entusiasmo l’inizio della rivolta studentesca, ne scrive sul suo giornale. Ma non fa in tempo a vederne gli esiti, che muore il 14 marzo del 1968, a soli sessantasei anni.

Anna Foa