» Dal Monte Toti  
1893 - 1975
 


 

 
© Farabolafoto, Milano  

Chi vuole può ripercorrere la vita straordinaria di Toti Dal Monte visitando il museo che porta il suo nome, anche sede dell’omonima associazione musicale, vicino a Treviso.

Suo padre, Amilcare Meneghel, maestro di scuola e di musica, fu il primo e più determinato tutore del suo talento: dopo averla accompagnata all’organo nella chiesa di Mogliano come voce solista nell’Ave Maria di Schubert, non esitò a trasferire l’intera famiglia a Venezia per permettere alla sua bambina di studiare al Conservatorio di Musica “Benedetto Marcello” di quella città.

Ma dopo aver frequentato il corso di pianoforte, Antonietta dovette interrompere gli studi proprio alla vigilia del diploma finale: fu colpita da quello che viene definito il “crampo” dei pianisti, forse causato da una cattiva impostazione tecnica, oppure, è più probabile, dalla piccolezza della mani che troppo si dovevano allungare per toccare tutti i tasti del piano. Dopo mesi di disperazione dell’intera famiglia, Amilcare l’accompagnò per un’audizione da Barbara Marchisio, famosa allieva di Gioachino Rossini, la quale, incantata e impressionata da quella voce, fu sua maestra di canto per quattro anni a Mira, vicino Venezia, in estate e a Roma in inverno, naturalmente gratis per le difficili condizioni economiche della famiglia.

Antonietta debuttò alla Scala appena diciannovenne come Biancofiore nella Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai. Seguirono alcuni anni di gavetta sempre in ruoli di secondo piano in Italia e in America. Le arrivo lì un telegramma di Arturo Toscanini: il maestro che l’aveva sentita, lei giovanissima, in un concerto al Conservatorio, non l’aveva dimenticata e la voleva come Gilda in un nuovo allestimento del Rigoletto. L’opera andò in scena alla Scala il 14 gennaio 1922; con lei erano nel cast il baritono Carlo Galeffi e il tenore Giacomo Lauri Volpi e, per la prima volta, si esibì col nome d’arte di Toti Dal Monte: Toti era il diminutivo con cui, alla veneta, era chiamata in famiglia, Dal Monte il cognome della nonna materna. E se in precedenza era stata incerta tra il ruolo di soprano lirico e quello di soprano leggero proprio allora scelse definitivamente quest’ultimo.

Fu confermata per dieci stagioni consecutive alla Scala, cantando contemporaneamente nei maggiori teatri europei del Nord, del Sud America, dell’Estremo Oriente, dell’Australia. Toscanini la volle nella trionfale, mai dimenticata tournée in Germania del 1929.

Toti sposò in Australia il tenore Ezio De Muro Lomanto, presentatole da Toscanini; dal loro matrimonio, terminato con una separazione, nacque Maria, attrice di prosa col nome d’arte di Maria Dolfìn. Ma anche Toti, nel secondo dopoguerra, dopo aver abbandonato le scene liriche, recitò Goldoni nella Compagnia di Cesco Baseggio.

In vecchiaia fu consulente nei conservatori e nei teatri dell’Unione Sovietica, oltre che insegnante di canto e di recitazione.

Ma fu soprattutto Rosina, Gilda, Amina, Linda; fu una memorabile Lucia di Lammermoor: accadde che, terminata una recita di quell’opera – suo comprimario era Tito Schipa – già cambiata in camerino, dovette rivestirsi e tornare in palcoscenico per gli applausi che il pubblico non smetteva di tributarle. E ancora, per l’incanto sia scenico che vocale dell’aria della pazzia, Toscanini non seppe trattenere le lacrime; ed è noto che in genere era lui che faceva piangere orchestrali e cantanti con il suo difficile carattere.

La voce di Toti determinava nel pubblico quello stato di rapimento descritto dai diaristi del romanticismo. C’era nel suo puro smalto come un velo appena avvertibile di mestizia, un non so che di virginale e insieme di già intimamente sofferto che rendeva i suoi personaggi creature viventi sotto un cielo di favola. Di quelle eroine con immacolato abbandono esprimeva gli ardori e i sacrifici, gli affanni e le rimembranze. All’inizio delle arie il pubblico non aspettava portenti di virtuosità, ma piuttosto i paradisi perduti che avrebbe rivelato quell’angelico canto.

Paola Sacerdoti