» Boni Ada  
1891 - 1973
 


 

 
Ada Boni (al centro) con 2 parenti - archivio familiare  

Ada Giaquinto nacque e morì a Roma. Coniugata con Enrico Boni, discendente da una facoltosa e famosa famiglia di orafi romani, visse una felice e agiata esistenza tra la casa di palazzo Odescalchi e la grande villa sul litorale di Santa Marinella. Lo zio paterno fu Adolfo Giaquinto, chef, insegnante, autore di interessanti ricettari e fondatore dell’autorevole rivista Il Messaggero della Cucina, dedicata alla cultura culinaria e terreno di dibattiti tra famosi professionisti della cucina. Ada Boni ne seguì l’insegnamento; si dice che a soli dieci anni avesse inventato e realizzato una ricetta. «La cucina, la più gaia delle arti e insieme la più piacevole delle scienze» fu senza dubbio per lei molto più di un hobby e dedicò all’attività culinaria – questo aspetto minore della nostra cultura nazionale – gran parte della sua lunga e paziente ricerca. «Un campo assai più mode sto degli altri, ma di grande utilità pratica», così scriveva Ada Boni nel 1959, in uno degli ultimi numeri della rivista Preziosa.

Dedicata all’economia domestica, l’aveva fondata, dirigendola, nel febbraio 1915, esclusivamente per abbonati e su suggerimento del marito che, nei momenti liberi della sua attività di critico musicale, si dedicava alla cucina. Continuò fino al 1959, salvo l’interruzione della seconda guerra mondiale e fu progettata per un pubblico femminile borghese, di quella fascia sociale che poteva ancora permettersi la donna di servizio ma che doveva stare senza cuoca. L’invito rivolto alle lettrici per dedicarsi alla cucina e alle cure della casa, era presentato come un impegno divertente e gratificante; anche se stava diventando una necessità persino per gli strati sociali elevati.

Ada Boni teneva presenti gli aspetti pratici, come la facilità d’esecuzione delle ricette e il costo contenuto, bandiva concorsi per le migliori ricette; in tono piacevolmente familiare, riportava anche fatti della propria vita. Sempre più affascinata da questo mondo, aprì una scuola di cucina frequentata dalla miglior aristocrazia romana; la sua fama crebbe, partecipava a tavole rotonde, era premiata. Un giorno, all’Augusteo, durante un concerto di Livio Boni, suo cognato e celebre violoncelli sta, la regina Margherita, la cercò in sala e l’abbracciò.

L’esperienza positiva della rivista e l’interesse dell’autrice per la ricerca nel campo gastronomico si fondono nell’o pera che l’ha resa famosa, Il Talismano della felicità. Interessante notare che nella prima edizione (Edizioni della rivista Preziosa, Roma, 1927) il marito Enrico, nella prefazione, definiva Pellegrino Artusi incompetente e poco pratico; tale inusuale, fondata e controcorrente posizione fu ripresa nel testo di alcune ricette.

Ada Boni rivolgeva alle lettrici anche un Elogio della cucina italiana, appassionato manifesto sui fondamentali delle nostre tradizioni e la prima, seria, forse unica codifica della cucina italiana. Il libro fu tradotto in inglese e spagnolo per esser venduto in Europa e Oltremare; ancora oggi si pubblicano ristampe di quest’opera che ha svolto una funzione di divulgazione ed educazione culinaria per più generazioni, fin dalla prima metà del secolo scorso. L’esperta autrice poté dimostrare che la cucina raffinata, ben curata, non era più lo status symbol di una ristretta fascia sociale e, nello stesso tempo, convinse che era meglio puntare sulla qualità dei cibi, piuttosto che sulla quantità. Ada Boni curò anche una serie di conversazioni radiofoniche settimanali e scrisse altre opere.

La Cucina Romana. Contributo allo studio e alla documentazione del folklore romano (1930). Prime esperienze di una piccola cuoca (1949). Infine, tratta dalla collaborazione con la rivista Arianna, Cucina regionale italiana (1979). Ma, più che dalle opere, la sua figura è ben tratteggiata dal ricordo personale del pronipote Marcello Tambone, architetto romano. «Di zia Ada mi sia consentito di ricordare come ella sia stata una donna dolce, dedicata totalmente alla famiglia, come forse non è più possibile nella attuale società. Una donna che non ho mai avuto occasione di veder uscire durante la stagione estiva, nel suo abito chiaro, senza il fedele ombrellino per il sole, quasi fosse uscita da una stampa della Belle époque».

Claudio Riolo