» Barbara (Olga Biglieri)  
1913 - 2002
 


 

 

«Sono lieto di dichiarare che la signorina Barbara è una aeropittrice geniale e che con quadri importanti ha partecipato alla ultima Biennale Veneziana. [... ] Ho molta fiducia nel suo ingegno pittorico».

Così scriveva nel 1938 Filippo Tommaso Marinetti. L’enfasi è quella con cui, di regola, l’instancabile animatore del Futurismo si prodigava per il suo movimento, ma chi si celava dietro lo pseudonimo citato? Dietro questo nome che fa subito pensare ad una indomita virago magari con i capelli alla garçonne e un fisico alla de Lempicka?

Si nascondeva, in vero, una realtà assai più nostrana ma non per questo meno interessante. Barbara era per l’anagrafe Olga Biglieri nata a Mortara nel 1915 e domiciliata a Novara. Sin dall’età di 11 anni aveva preso lezioni di pittura da un maestro locale, mentre il “volo a vela”, era una passione coltivata inizialmente di nascosto e poi accettata dai genitori. Marinetti era venuto a sapere della sua esistenza per puro caso, vedendone un quadro nella vetrina di un corniciaio milanese.

La tela destinata alla prima personale della giovane faceva parte di una ricerca che ella aveva avviato sulle proprie “sensazioni di volo”, sapendo poco o nulla dell’aeropittura futurista. Farsi presentare Barbara, visionarne il lavoro e invitarla alla XXI Biennale (1938) per Marinetti fu tutt’uno e non v’è dubbio che per lui, come propagandista, lasciarsi sfuggire una autentica aviatrice-aeropittrice emersa da quella nuova generazione su cui tanto contava sarebbe stato imperdonabile. Sarebbe però anche ingiusto non concedere al poeta l’essersi davvero accorto delle capacità della pittrice.

Invero Barbara si era avvicinata all’ambiente futurista novarese sin dal ‘35 ed anzi vi aveva conosciuto quello che nel ‘39 sarebbe divenuto suo marito, il poeta e giornalista Ignazio Scurto, tuttavia fu solo con gli impegni procuratigli dal capo del Futurismo (XXII e XXIII Biennale nonché III Quadriennale) che ella cominciò a misurarsi da protagonista con i membri del più importante movimento d’avanguardia italiano. Va però detto che se i suoi quadri ci si mostrano nel volgere di pochi anni sempre più in linea con gli orientamenti del Futurismo, altrettanto non si può affermare circa la sua fede nella “guerra sola igiene del mondo”.

L’antibellicismo sinceramente dichiarato ai suoi compagni matura e diventa qualcosa di assai più profondo con il coinvolgimento nella seconda guerra mondiale del giovane sposo, dapprima inviato in Francia e poi in Russia. Barbara rimane sola con due bambine nate da poco e il suo sogno di vita coniugale interrotto. Quando il marito torna dal fronte minato nel fisico i due si accorgono che il loro rapporto è da ricostruire e che il mondo di entusiasmi entro cui si erano conosciuti non esiste più. Barbara si sforza di tener salda la famiglia, e addirittura, mentre all’arte dedica solo qualche ora, con vari pseudonimi inizia a scrivere novelle “rosa” per puro sostentamento.

Nel ‘54 purtroppo Scurto muore a Milano dove aveva trovato lavoro presso il quotidiano La Notte. Barbara è di nuovo sola, ha oramai in odio la violenza e la stupidità umana, ma non assume un atteggiamento pessimistico, piuttosto cerca di trovare un’attività che le si confaccia nell’ambiente frequentato con il marito. È cosi che dopo aver collaborato a vari settimanali entra in contatto con il mondo della moda e diviene giornalista specializzata.

Non è esagerato dire che la sua trasmissione radiofonica Stella Polare ha insegnato a vestirsi alle italiane del dopoguerra, mentre non ha bisogno di commenti il fatto che aziende come la B.P.D., la Montecatini e la Rodhiatoce le abbiano affidato il lancio di alcune nuove fibre. Al di là del successo è comunque importante notare come a Barbara non siano mancate anche qui idee al passo con i tempi come quella di mettere in relazione lo sviluppo della moda con il M.E.C., quella di ottenere per gli stilisti un’udienza dal Papa e quella di fondare, nel suo settore, un’agenzia per diversificare l’informazione, la Telex Press ed un premio legato alla formazione professionale, Le Trame d’oro.

L’acquisto di una casa a Roma nel ‘59 pone le condizioni per una ripresa dell’attività artistica incoraggiata dall’incontro (1964) con il pittore svedese Gösta Liljeström. Anche qui Barbara sente i tempi ed entra nel vivo dei problemi: rifiuta la trama omologante della carriera individuale formando un gruppo di lavoro, cerca un allargamento di orizzonti rispetto al tecnicismo delle avanguardie nelle filosofie orientali e motivi di critica al consumismo nelle forme più avanzate del pensiero socio-politico, ma soprattutto punta sul concetto di animazione culturale diffusa.

Dal ‘65 ai nostri giorni i cicli di ricerca di Barbara non si contano, ciascuno accompagnato da riflessioni approfondite, che l’artista ha raccolto in un’opera multimediale donata all’università di Yokohama.

Confrontare tali cicli con le “etichette” della critica d’arte non è facile perché il disinteresse di Barbara per il mercato e le classificazioni rimuove troppi puntelli, ci si può comunque basare su almeno tre risultati atti a strutturare il suo percorso: l’idea di una pittura “noetica” ottenuta per pura intuizione, l’idea di una creatività “al femminile” cioè basata su di una diversità constatabile nella consapevolezza della propria capacità di generare e l’idea di una pittura per la pace refrattaria ad ogni strumentalizzazione.

Da questo percorso è nato l’“Albero della pace”, donato il 15 agosto 1986 al Museo Commemorativo di Hiroshima. Si tratta di un rotolo telato lungo 10 metri e largo 1,80 sul quale sono riportate le impronte colorate delle mani di una gran quantità di persone disposte a formare un grande albero la cui chioma appare illuminata.

La figura è in sé elementare, ma ciò che conta è che le impronte appartengono ad uomini comuni e a potenti, ad artisti, scrittori, politici, bambini, operai, premi nobel, monaci in fama di santità e persone sofferenti, tra cui anche alcuni superstiti della bomba atomica del ‘45. Barbara autrice peraltro di una autobiografia intitolata Barbara dei Colori, è stata candidata nel 2000 al premio Nobel per la pace da diverse istituzioni italiane e giapponesi.

Paolo Balmas