» Masina Giulietta  
1921 - 1994
 


 

 

«She’s the female Chaplin». È il Chaplin femmina, scrissero di lei i giornali americani degli anni Cinquanta, rapiti dalla magia di Gelsomina, la stralunata ragazzetta della Strada, mezza fraticello e mezza clown.

Fra tutti i memorabili personaggi interpretati da Giulietta Masina per suo marito Federico Fellini, dalla prostituta Cabiria, alla signora borghese di Giulietta degli spiriti, all’anziana artista del varietà di Ginger e Fred, quello di Gelsomina resta il più celebre, il più amato, forse il più toccante. Ma chi è Gelsomina? Alcuni hanno indicato in lei la figura della moglie umiliata e sottomessa, forse la madre di Fellini, forse la stessa Masina.

Interrogata a riguardo da Tullio Kezich, Giulietta ha dato una risposta sorprendente, sostenendo che Gelsomina è Federico: «È lui che si è lasciato alle spalle la casa vicino al mare, ha imparato l’arte del clown e si è proposto come tramite di una “realtà dell’anima”».

Anche senza Fellini Giulietta sarebbe diventata attrice: figlia di un violinista dell’Orchestra Ghione, che abbandona la carriera dopo il matrimonio, Giulietta nasce a San Giorgio di Piano, in provincia di Bologna il 22 febbraio del 1921. Quand’è adolescente passa lunghi periodi a Roma, ospite di una zia, vedova e molto abbiente, che per la nipote sogna una carriera d’artista.

Ma la voce di contralto non è abbastanza robusta, le mani sono troppo minute per fare la pianista e così Giulietta, che ha già recitato con successo nel collegio delle Orsoline, calca le scene del teatro universitario. Nel ‘42 è all’Eiar, alla radio, dove partecipa a una trasmissione, Terziglio, firmata fra gli altri dal giovane umorista Federico Fellini, di cui interpreta una serie di scenette intitolate Cico e Pallina.

I due si sposano il 30 ottobre del ‘43, in pieno coprifuoco. Nel pomeriggio vanno al cinema Galleria dove Alberto Sordi, presentatore del varietà, indica gli sposi all’applauso del pubblico.

Mentre Fellini cerca la sua strada espressiva, prima come sceneggiatore e poi come regista, Giulietta debutta nel cinema con Alberto Lattuada, nel film Senza pietà, cui segue Persiane chiuse di Luigi Comencini. Nel ‘51, eccola sul set di Luci del varietà, un film diretto a quattro mani da Fellini e da Lattuada, interpretato anche da Carla del Poggio, moglie di Alberto.

L’anno seguente prende parte a Europa 51, di Roberto Rossellini, e allo Sceicco bianco, primo film che Federico firma da solo. Lo Sceicco va male, e Federico fatica a montare I vitelloni, a cui Giulietta non partecipa.

Per fortuna I vitelloni ottiene un grande successo di pubblico (la critica fu abbastanza tiepida) e così Fellini riesce a varare un progetto che gli sta a cuore da tempo: la storia d’un saltimbanco e della sua aiutante, un film difficile da raccontare, difficilissimo da fare, La strada.

Il successo è mondiale, La strada vince il Leone d’argento a Venezia, fa il giro dei festival del pianeta, a New York tiene il cartellone per tre anni, si aggiudica un Oscar, e Giulietta, ricevuta a Hollywood con tutti gli onori, non dimentica la sua franchezza, chiedendo un autografo a Clark Gable, il quale le risponde «stasera sono io che devo chiederlo a te».

Dopo aver nuovamente lavorato con Federico ne Il bidone, nel ‘56 Giulietta diventa la spennacchiata prostituta Cabiria, e il film, che si intitola, appunto Le notti di Cabiria, si aggiudica un nuovo Oscar. Nove anni dopo, i coniugi Fellini sono di nuovo insieme sul set in Giulietta degli spiriti. Nel frattempo Fellini è diventato un mito del cinema mondiale, con La dolce vita e Otto e mezzo.

Nato “per Giulietta e su Giulietta” il film racconta i demoni e gli sperdimenti d’una signora borghese che scopre d’essere tradita dal marito. Una sorta di autoritratto in filigrana della coppia, un tema che Giulietta affronta con coraggio, ma che non è del tutto risolto. Con Federico lavorerà ancora in Ginger e Fred, del 1986.

Ma è con lui a Venezia per il Leone d’oro alla carriera, e a Hollywood, a ritirare l’ultimo Oscar, che lui le dedica pubblicamente con un affettuoso rimprovero «ti raccomando, non piangere». Agli Oscar Giulietta teneva molto. Li aveva sistemati nella sua camera da letto, su uno scaffale alto della libreria e raccontava sorridendo: «Mi danno la buonanotte ogni sera».

Nel loro appartamento di via Margutta – la casa d’un medio professionista, abbastanza piccola, ammobiliata senza sfarzo con mobili Ottocento, librerie bianche, custodita da una domestica emiliana che Fellini chiamava “Mariolona” – nessun altro premio era in mostra.

Punto fermo della vita di Fellini, Giulietta Masina ha lavorato poco con altri registi: nel ‘58 è stata interprete di Nella città l’inferno, di Renato Castellani. E a metà degli anni Settanta ha riscosso un grandissimo successo con uno sceneggiato televisivo diretto da Sandro Bolchi, Camilla, tratto dal romanzo di Fausta Cialente Un inverno freddissimo.

Eppure il suo rapporto con il pubblico è sempre stato molto stretto: una seguitissima trasmissione radiofonica Lettere a Giulietta Masina, e una rubrica sul quotidiano La Stampa hanno rivelato alla “gente comune” il suo carattere ottimista, tenace, fattivo. Fra i sogni nel cassetto di Giulietta Masina c’era uno sceneggiato su Madre Francesca Cabrini, che nonostante le sue insistenze, la Rai non si decise mai a varare.

Quando Fellini morì, Giulietta gli sopravvisse di poco: il gesto con cui nel 1993 salutò la bara di Federico che usciva dalla chiesa degli Artisti, può essere considerato il suo congedo dalla vita.

Patrizia Carrano