» Lonzi Carla  
1931 - 1982
 


 

 

E’ difficile per me anche dopo mezzo secolo evitare di essere emotivamente coinvolta da un’amicizia, testimoniata da più di un centinaio di lettere di Carla Lonzi e mie, scritte tra il 1952 e il 1962. Negli anni dal 1952 al 1957 le lettere, durante i mesi di separazione, sono quasi quotidiane. Dunque la biografia sarà adombrata da toni evocativi.

Carla Lonzi, leader del movimento «Rivolta Femminile», è nota soprattutto per i volumi pubblicati lungo i decenni Settanta-Ottanta e le battaglie di cui i libri sono incentivo e testimonianza: La donna clitoridea e la donna vaginale; Sputiamo su Hegel; Taci anzi parla; Vai pure. Tuttavia personalmente io sono soprattutto testimone del periodo in cui studiavamo insieme storia dell’arte alla scuola di Roberto Longhi.

Per una più vasta rete di notizie e di bibliografia – traduzioni, interviste – si veda Scacco Ragionato. In particolare la biografia (premessa alla raccolta di poesie) firmata Marta Lonzi e Anna Jaquinta. Ringrazio vivamente Marta per avermela resa disponibile. Alcune notizie e citazioni sono tratte da quei volume ed. Rivolta Femminile Prototipi, Roma, 1985.

Carla Lonzi nasce a Firenze il 6 marzo 1931, da Giulia Matteini, una ragazza piemontese diplomatasi maestra, e da Agostino, che avvia in quegli anni a Firenze una piccola industria. Dal 1940 al 1943 Carla rimane, per sua volontà, nel Collegio di Badia a Ripoli, dove si era sentita felice durante l’estate di villeggiatura del 1940. La nascita di sorelle e fratelli, Lidia, Marta, Vittorio e Alfredo le aveva infatti provocato disagio per la sensazione subito travolgente di essere stata soppiantata nell’affetto dei genitori. Scrive: «Ero una bambina sconvolta dall’aver avuto una brusca inversione di rotta».

Dal 1943 al 1950 torna a vivere in famiglia, a Radda in Chianti, dove i Lonzi si riparano dalla guerra e dai bombardamenti della città. Dopo aver frequentato a Firenze il liceo classico Michelangelo, Carla si iscrive all’università, facoltà di lettere. Nel 1952 tuttavia, con la solidarietà della madre, parte per Lione e per Parigi nel tentativo di sfuggire alla sofferenza dell’inizio di una relazione tra il suo ragazzo e la sorella. Alla fine di quell’anno, quando l’ho conosciuta, Carla era reduce da un’infiammazione polmonare contratta forse da un bambino in una casa francese, dove lavorava au-pair. Una bellissima lettera inviata ad un amico (30 aprile 1953), dice: «La mia malattia sempre impercettibile e lenta cammina piano piano verso la guarigione. Sento veramente che si tratta di una malattia mia, fatta espressamente per me, a tal punto che mi rassomiglia: una piccola natura anche lei. Quello che mi aveva sgradevolmente colpito a Parigi era l’immagine di una malattia violenta, dinamica, un po’ rumorosa, invadente che non si addiceva affatto al mio carattere».

Lettera che contrasta con la visione di sé che Carla Lonzi esprime ripetutamente in seguito. Per esempio nel 1977 confessa: «Sentivo sempre il rischio che mi venisse preferita una ragazza docile e sognatrice». La contraddittoria immagine di se stessa non le impedì neppure da adolescente di parteggiare per il suo carattere di lottatrice e non per la pétite nature. La generosità, la non comune espressione dei sentimenti e la dolcezza esplodevano solo quando si sentiva sicura di sé. Forse è vero che, per così dire, l’esclusione dalla primogenitura, rincalzata da epi sodi dolorosi di abbandoni, è stata decisiva nelle sue tappe intellettuali. Prima di aver conosciuto Carla non mi ero resa conto di quanto si ripeta nelle famiglie la sto ria biblica di Esaù e Giacobbe.

Negli anni in cui incontro Carla all’Università di Firenze i rapporti con il padre e la famiglia sono già di contesa drammatica, e di lì derivano sia la sua fretta nel concludere una tesi dal titolo «I rapporti tra la scena e le arti figurative dalla fine dell’Ottocento» – tesi molto apprezzata da Longhi – sia la sua volontà di rendersi autonoma, di farsi strada rapidamente nel mondo. Ci conosciamo studiando il corso di Longhi su un maestro del Quattrocento collegato con Piero della Francesca.

Da quel momento, 1953-1954, condividiamo ogni esperienza culturale e di amicizie. Allora ero iscritta al PCI, anche lei si iscrive, e la crisi del 1956 ci coglie ambedue in pieno. Conosco Lando Landini, un suo amico critico e pittore, i suoi amici Parigi e Maccioni, lei condividerà le mie amicizie romane: Mario Lena, Franca Angelini, Giuliano Briganti, Corrado Maltese, e altri. Nel 1957 per iniziativa di Carla attraversiamo l’Europa in autostop con lo scopo di visitare i musei tedeschi, francesi e dei Paesi Bassi.

Per un breve periodo Carla lavora a Roma presso l’Accademia di danza della Russkaja, lascia il posto di segretaria quando va a vivere con Mario Lena in piazza Armellini a Roma, nel dicembre del 1957. Sposa Mario l’anno dopo a Carrara, e l’8 giugno 1959 nasce il figlio Battista. Il matrimonio tuttavia ricrea presto a Carla le stesse difficoltà della vita familiare. Scrive: «Tutto in me era fragile dal momento che mio marito stava diventando quello che era stato mio padre». Carla si divide da Mario Lena e per circa dieci anni continua a svolgere un’attività di critica d’arte, sia presso la galleria «Notizie» di Torino, sia nelle riviste come Marcatrè.

I miei incontri con lei diventano sempre più rari: mi sposo nel 1963 e Carla è una dei testimoni, viaggio negli Stati Uniti nel 1966, insegno, e dal 1969 vengo chiamata dall’Università di Cagliari. Carla incontra il suo nuovo compagno, lo scultore Pietro Consagra, va a vivere a Milano e nel 1970 incomincia la sua per così dire “predicazione femminista”, dopo essersi in un certo senso congedata dall’equivoco di un’attività succedanea: la critica d’arte, con un bellissimo libro di interviste intitolato Autoritratto, (De Donato, 1969).

Dal 1970 cominciano le riunioni del movimento «Rivolta Femminile». Ma l’idea di Carla di voler rifondare la cultura del mondo non mi apparteneva. La società in cui ci muoviamo è certo una società di valori maschili, anche l’aver fatto dell’arte una cosa sublime e avulsa, fuori dalla vita, appartiene alle teorie romantiche che fanno del poeta un eroe.

II femminismo di Carla non si limitava certamente ad un’aspirazione sindaca le alla parità di diritti, ma metteva in gioco un cambiamento totale, con la sua carica utopica e l’idea di sovvertire il modo di sentire.

Tanto lei aveva una visione etica della vita, tanto io ho una visione fondamentalmente contemplativa. Per me c’è nella creatività un aspetto che esula dal risultato ed è il processo, la pulsione estetica, subito, in sé, un elemento di pathos, rispetto alla convenzione della normalità. Quell’elemento costituisce un rischio: ma Carla lo voleva vivere come leader di una rivolta generale in cui le donne fossero portatrici di una nuova cultura in senso proprio, che andava ancora stimolata, come in parte scriveva Virginia Woolf. Per me – devo dire – quando si ha a che fare con una persona creativa, il suo essere donna o uomo conta poco, trasforma l’essere umano in una sorta di androgino che attribuisce il massimo significato al dominio che il Linguaggio esercita su di lui. Ciò che mi separava da Carla in questa fase è emerso in due personaggi delle narrazioni di Nonamore (Mondadori, 1988): Il racconto di Marta, Il racconto di Maria, che alludono alla visione etica e a quella contemplativa.

Fu proprio scri vendo quei racconti che colsi di nuovo ciò che mi accomunava a Carla: il rifiuto per la mediazione intellettuale e per la codificazione critica, l’amore per il vivere nel suo farsi.

Tra i libri di Carla che sempre mi appassionano ad apertura, cito: Taci anzi parla, 1976, e Vai pure, dialogo con Pietro Consagra, 1980. In essi la parola sembra tra scritta più che scritta, sembra che il pensiero, la conoscenza appartengano per Carla, come per i filosofi presocratici, all’oralità. La ricerca di un risultato è affidata alla parola viva, allo scambio. Come nella prima metà del VI secolo a.C, in Grecia, quando scrivere era un artificio espressivo o un semplice mezzo mnemonico, prima cioè che il discorso scritto acquisisse un’autonomia formale, mimetizzandosi con la cultura.

Carla stessa dice: «Ho affermato tutto sul vuoto [...]. E su questo vuoto, che era me stessa, potevo finalmente ascoltare la mia voce interiore». Come ha scritto Michèle Causse le parole di Carla Lonzi sono per questo fondatrici, più ispirate e più radicali di ciò che seguì in questo campo nei testi anglosassoni.

L’acquisto nel 1973 di un piccolo podere a Turicchi nel Chianti, durante le vicissitudini della sua esistenza, creerà un rifugio per Carla Lonzi, sia nei momenti positivi, sia in quelli drammatici che riguardano le fortune della casa editrice autonoma, i rapporti con il gruppo e le amicizie, i rapporti con il mondo esterno e con l’uomo che l’amava, Pietro Consagra.

È nel cimitero di Turicchi che Carla Lonzi riposa, dopo una dolorosa malattia e la prematura morte nella clinica Capitanio di Milano, il 2 agosto 1982. La nipote Ginevra al funerale, dove erano presenti le amiche, i parenti e gli intimi, legge un lungo brano di diario, in cui si trovano incastonati alcuni versi che desidero citare per la commovente pregnanza:

Sono contenta di essere
né giovane né vecchia
così posso sentirmi
a volte giovane
a volte vecchia
ho il massimo di estensione
mai avuto.
E al domani
non penso.
Sono contenta di Tito
che suona il flauto
che mi disturba di continuo.
Che male c’è?
Cosa ho da fare?

E conclude in prosa su Turicchi: «Il posto più bello del mondo doveva capitare a me, proprio a me perché ne godessi? So che è regalato, ma so che il destino ha piacere nel regalare a persone così. Sono io che provoco e salto il fosso delle formalità. Oggi mi sono vista all’opera: devo offrire una possibilità a tutti quelli che non me lo impediscono, anche se non mi incoraggiano. Poi mi sento troppo strana, però devo tentare almeno una volta, no anzi due volte».

Marisa Volpi