» Lai Maria  
1919
 


 

 

Maria Lai è un’artista sarda molto legata all’immaginario arcaico e mitico della sua terra. Nell’esprimersi unisce l’aspetto di sottile poesia di mondo di fantasie e di credenze popolari, alla forza e alla decisione necessaria ad intervenire sul territorio con sculture ambientali vicini alla Land Art.

L’artista nasce nell’anno 1919 in Sardegna, studia dapprima a Roma al liceo artistico con Mazzacurati e poi all’Accademia di Venezia con Marino Marini, e in quel periodo ha frequenti contatti con l’architetto Scarpa.

Pur mantenendo sempre un comportamento isolano, il suo linguaggio si inserisce nelle esperienze artistiche internazionali. L’interesse della critica per il suo lavoro è confermato con l’invito alla partecipazione della Biennale di Venezia nel 1978.

Quando la Lai scolpisce, il suo riferimento è un’opera aperta, sempre in relazione con il luogo che l’accoglie, il lavoro non ha mai un’impostazione monumentale. Fa delle sculture di terracotta smaltata modellate come un sasso, sceglie delle forme spontanee ottenute da una pasta di farina che lievita, con questa materia realizza un’opera intitolata: Il pupo di pane, le forme che l’attraggono sono forme primordiali.

Nel 1981 nel suo paese natale, a Glassai, Maria Lai realizza un’opera chiamata: Legarsi alla montagna; l’intervento dell’artista tende a dialogare con la natura attraverso i mezzi dell’arte; il lavoro parte dall’esigenza reale di arginare un pendio di un terreno scosceso, la scultura si estende sulla scarpata con pietre e cemento insieme a metalli specchianti che raccolgono la luce e si uniscono alle pieghe del terreno e alla vegetazione.

Maria tende a sottolineare la carica simbolica di ogni lavoro che realizza, ha un modo di operare che come un’eco rimanda la risonanza lontana di ogni cosa, cerca di mostrare il “tutto” in una parte. Dice: «È come sentire l’intero deserto in un granello di sabbia». Il senso dell’infinitamente piccolo e del cosmico è sempre presente nei suoi lavori, lo troviamo nelle mappe astrali e nei libri di stoffa cuciti, nelle sculture, nei dipinti su tela o nei disegni.

Negli anni Ottanta ci narra il mito delle janes, sono queste delle presenze divine tra le api e le fate, delle prime conservano l’operosità e l’organizzazione nel costruire, delle seconde, la magia di poter realizzare ogni fantasia. Le janes sono elementi femminili creativi, piccole scintille di vita.

La Lai è una disegnatrice di grande talento dal bel tratto svelto e incisivo, quando usa il segno come un ricamo, conserva questa qualità e gioca nell’utilizzare i fili come elemento estraneo che arricchisce il significato dell’opera.

Il costruire impastando con le mani la creta, o cucendo con l’ago e il filo sulla tela, ci fa sentire come Maria Lai porti nel mondo del linguaggio dell’arte un universo profondamente femminile, facendo diventare segno il filo, al posto del tradizionale tratto di matita o della pennellata, creando forme con dei gesti vicini alla quotidianità domestica. Tutto viene trasfigurato, i suoi temi fantastici ci raccontano di un impalpabile mondo incantato.

Insieme alla grande libertà nell’uso dei mezzi, sentiamo, nel lavoro della Lai, un atteggiamento ludico che avvicina la sua opera alle sculture di fili di rame e di tessuto di Melotti o all’ariosità dei mobiles di Calder.

Da bambina a causa di problemi di salute aveva frequentato poco la scuola elementare e questo isolamento l’aveva resa timida e insicura, tuttavia le aveva per messo di restare a lungo vicina ad un mondo infantile di continua meraviglia. Ha scritto: «Anche oggi che sono una bambina vecchissima devo continuamente esercitare la possibilità di inventare segretamente la mia vita attraverso l’arte».

Daniela Ferraria