» Iotti Nilde  
1920 - 1999
 


 

 

Scrisse di lei Manlio Cancogni, in un articolo sull’Europeo degli anni Cinquanta: «Per quelli che la conoscevano, o credevano di conoscerla, Nilde era soprattutto una ragazza seria ed equilibrata, che non aveva mai fatto parlare di sé, non si era mai occupata di politica, e che non aveva mai avuto un fidanzato».

Cancogni si riferiva alla Iotti degli esordi, precisamente alla giovane professoressa che nel marzo del 1946, supplente dell’Istituto agrario di Reggio Emilia, accettò di inserire il suo nome nelle liste socialcomuniste per le elezioni amministrative.

Cancogni notava che «per le migliaia di elettori che le dettero il voto, la professoressa Iotti era una donna robusta, vestita di scuro, dal viso aperto e bonario. Che nei comizi non aveva mai pronunciato una parola difficile».

Ecco, i comizi. Furono i discorsi in piazza, gli incontri con il popolo emiliano, semplice ma dal palato fine in materia di politica, a fare la fortuna di Nilde. Il partito cercava una donna da mandare alla Costituente, il 2 giugno di quel fatidico ‘46. Per quanto potesse apparire strano, non era così facile trovarne una, nella regione rossa per eccellenza.

Quella giovane professoressa attenta e schiva, figlia di un ferroviere socialista, laureata all’Università Cattolica, che aveva dato una mano nella Resistenza ma senza azioni eroiche e clamorose, quella giovane donna dal fisico un po’ massiccio e dalle buone letture apparve a qualcuno la scelta giusta.

Tuttavia l’apparato del Pci diffidava. E per la verità la diffidenza, quando non l’ostilità, era un veleno impalpabile che accompagnò tutti i primi anni della vita politica di Nilde Iotti, non solo in provincia ma poi anche a Roma. Sono note le traversie che dovette subire per via della sua relazione con Palmiro Togliatti. Uno scandalo assoluto e vergognoso: così lo viveva allora, alla fine degli anni Quaranta, il partito più maschilista d’Italia, intriso di uno spirito bigotto che era tipico dell’Italia cattolica del tempo e che oggi fa sorridere.

Ma torniamo ai primi passi della giovane insegnante di Reggio. La sua freschezza rigorosa attirava e insieme respingeva i quadri comunisti. Finché l’ascoltarono parlare in pubblico. E fu come la descrive Cancogni. Nilde Iotti non si esprimeva con termini astrusi, non si rivolgeva all’élite. Non era nemmeno una trascinatrice di folle. Priva di venature demagogiche, parlava in piazza quasi come in classe. Misurata, concisa, con una voce scandita e persuasiva. La maestra o la professoressa che tutti ricordavano o che avrebbero voluto avere, nell’Emilia rurale del tempo.

Fu un successo e l’inizio di un lungo cammino. Della sua storia d’amore con Togliatti si è detto tutto. L’ascensore di Montecitorio in cui s’incontrarono, in quello stesso giugno del ‘46. La delegazione che il Pci mise insieme per recarsi da Togliatti (ed era il Migliore, capo incontrastato dei comunisti italiani...) e indurlo a un ripensamento per il buon nome del partito. L’abbaino gelido di via delle Botteghe Oscure in cui si ritirarono a vivere, all’inizio, per non dare nell’occhio. E tutto il resto.

Quello che forse non si è ancora detto abbastanza riguarda la qualità politica e intellettuale di Nilde Iotti. Lei non fu mai l’ombra di Togliatti nel senso che si dà comunemente a questa espressione. Fu la sua compagna fedele e intelligente, ma sempre con un passo moderno, anzi in anticipo sui tempi. Come si comprese benissimo dopo la morte del leader, quando Nilde cominciò a offrire al suo partito e alla politica italiana un contributo originale, in prima persona.

Da presidente della Camera tutti ricordano la sua naturale, si potrebbe dire, veste istituzionale. Era come se avesse fatto da sempre quel lavoro, cortese e lievemente altera. I cronisti cominciarono a definirla «la regina di Montecitorio» e la cosa non la disturbava affatto. Interpretava alla perfezione il ruolo. Come dire: ecco l’esempio vivente di che cosa i comunisti italiani intendono per senso dello Stato. Una questione di stile, ma anche di sostanza.

Evitò sempre la scorciatoia del sentimentalismo, di un facile femminismo, di una certa retorica “politicamente corretta” che pure avrebbe giovato alla sua popolarità. In questo era rimasta la giovane comiziante di Reggio Emilia, poco propensa alle concessioni. Aveva una concezione alta della politica e rimase il suo tratto distintivo per tutta la vita.

Quando il PCI cambiò nome assecondò senz’altro la svolta di Occhetto. Qualcuno si sarebbe aspettato da lei una reazione, una difesa del passato, un po’ di nostalgia. Ma Nilde Iotti era per un verso una dirigente del suo partito, pronta a sostenerlo soprattutto nei passaggi dolorosi; e per l’altro era una donna che viveva pienamente nel presente. E poi, come abbiamo detto, non era abituata a far vibrare la corda sentimentale. Almeno non in pubblico.

Quali fossero poi i pensieri che si affollavano nella sua mente, quali i ricordi di una vita così intensa, pochi possono dire di saperlo. Quando Massimo D’Alema ottenne l’incarico di formare il governo, nell’autunno del ‘98, la Iotti rilasciò un’intervista a Miriam Mafai, per Repubblica, e commentò quella che le appariva la fine definitiva della storica preclusione verso il PCI (che naturalmente aveva già cambiato nome e fisionomia): «Non siamo più i figli di un Dio minore. Siamo in una nuova fase della nostra vita politica».

Non era un’osservazione nuovissima, forse si poteva dire di più. Ma era anche la sua verità, una verità in cui Nilde Iotti credeva profondamente. Chi scrive l’aveva incontrata da presidente della Camera, nel suo studio di Montecitorio. La signora manteneva intatto il suo stile.

Ricordò un viaggio lontano, con Togliatti a Mosca. Erano gli ultimi anni di Stalin. Il Migliore aveva ricevuto dal dittatore un’offerta a cui era molto difficile dire di no: segretario del Cominform. Voleva dire tornare a risiedere a Mosca. Un’ipotesi che Togliatti considerava con raccapriccio. Con molta fatica e circospezione era riuscito a guadagnare tempo, senza offendere Stalin. Poi, via, verso il confine.

Un lungo viaggio attraverso l’Urss e i paesi dell’Est europeo, sempre con l’ansia di essere raggiunti da qualche emissario del potere sovietico. Oltrepassata la frontiera austriaca, raccontava Nilde Iotti, «Togliatti si appoggiò allo schienale, socchiuse gli occhi e disse: “siamo finalmente salvi”». Forse l’eurocomunismo cominciò allora.

Stefano Folli