» Carol Rama Olga  
1918
 


 

 

Carol Rama, o Carolrama, è nata come Olga Carol Rama (a Torino nella primavera del 1918) ma firmava con Olgacarolrama i primi acquarelli, nella seconda metà degli anni Trenta... Ma solamente nel 1979, esponendo per la prima volta quelle opere di giovinezza, dice di aver riscoperto, con disagio, «quell’Olga iniziale, rifiutato poi come malintesa eredità», un suo «frammento d’identità sconfortante».

Carolrama è un personaggio straordinario, una presenza fragile con una voce forte che sa raccontare, in uno stile elegante e accurato, condito con subitanee annotazioni surreali, spiazzanti, e vocaboli estremamente disinibiti, per non dire scurrili.

Così nel 1980 racconta i suoi inizi artistici a Lea Vergine (nel catalogo della mostra «L’altra metà dell’avanguardia, 1910-1940»): «Ho dipinto in quel tempo immagini di una autobiografia panica, oggetti-memoria-feticci quali dentiere o pennelli da barba, pissoirs maschili o scopini sfasciati, guardati da un testimone-ragazza, un volto desiderante esibito con l’oscena evidenza delle sue molte lingue. Ho dipinto modelli accurati di scarpette femminili, non assurdamente “abitate” da penifiore, da sessi invadenti e sicuri, scarpette violentate. Non conoscevo Bunuel e so solo adesso di un Bataille o di un Klossowski».

La sua biografia ufficiale si può riassumere così: dopo la giovinezza tendenzialmente trasgressiva ma costretta al segreto dal fascismo, dalla guerra e dal grigiore del perbenismo torinese, nel culto di Casorati e del maestro di lui, Klimt, Carol Rama quasi trentenne inizia nel dopoguerra una carriera tutto sommato dignitosa, ma forse non proprio all’altezza del suo talento.

Si confronta con altri giovani torinesi (Antonio Carena, Paola Levi Montalcini) legati all’astrattismo europeo ma presto trova affinità maggiori con il primitivismo espressionista del gruppo Cobra, anche se gli incubi della sua fantasia difficilmente rinunciano all’immagine. Infatti c’è in lei traccia della violenza di Ensor o di Egon Schiele.

Intanto è regolarmente invitata alle Quadriennali romane e alle Biennali veneziane, in diverse collettive nelle capitali europee, in Sud Africa, negli Stati Uniti, con molte personali in Italia e Germania. Ma (fino a oggi) si è poco mossa da Torino, per mancanza di mezzi, vendendo poco come lei stessa ripete. Il suo è un successo di stima da parte di un’élite intellettuale, non scandalizzata dal suo comportamento eccentrico e trasgressivo: così il critico musicale Massimo Mila, Edoardo Sanguineti, Paolo Fossati.

Trova una strada molto personale, attorno al ‘65, in un certo bricolage, come lei stessa lo definisce, (tecnica mista tra pittura e collage composto di legno, pietre dure, corde, occhi da bambole, denti, riso, catrame, ferri) più adatto al feticismo crudele, perverso, che da sempre è il suo.

Negli anni Settanta, scopre la forza espressiva delle camere d’aria per biciclette, in gomma nera o color carne. Quella materia flaccida e scivolosa entra nella composizione di opere maggiori come Presagi di Birnam; assieme ad altri rifiuti vili, pezze di tendoni da fieno e cascami di gomma ritagliati a mammelle sommarie, compongono certe Mucche pazze astratte quanto oscene.

Nell’ultimo ventennio, al sostegno dei suoi vecchi amici, si è aggiunto quello di un certo pubblico femminista, e una rinnovata attività espositiva.

Intanto Carol Rama ha ripreso a disegnare i suoi personaggi indemoniati con la lingua fuori rossa carmine, tra cui la piccola Appassionata del suo passato, nonché una nuova sequenza di incisioni, Le Parche, vecchie dame sofisticate con un che di klimtiano, un po’ patetiche, un po’ “porche”... Carol Rama esorcizza la sessualità con un’ironia non dissimile a quella di Louise Bourgeois. Infatti alle due grandi signore del dolore e dell’impertinenza è stata dedicata nel 2000 a Torino una mostra, di incisioni e litografie di entrambe, dal 1944 alla soglia del nuovo millennio.

Anne Marie Boetti Sauzeau