» Bucarelli Palma  
1910 - 1998
 


 

 
Palma Bucarelli ad una serata di gala con Sibilla Aleramo, anni Sessanta - © Farabolafoto, Milano  

Ci sono persone che, al di là dei loro meriti professionali, umani o intellettuali, riescono a fare della loro vita un capolavoro. Sono sempre sorrette da una straordinaria fiducia in loro stesse, nella loro capacità di sedurre, di convincere, di essere al centro dell’attenzione e mai sono sfiorate dal dubbio o dall’incertezza.

Palma Bucarelli era certamente una di queste. Nata nel 1910, di origine calabrese, fu allieva a Roma di Adolfo Venturi e di Pietro Toesca ed entrò giovanissima nell’amministrazione dello Stato, dapprima alla Galleria Borghese, poi alla Soprintendenza alle Gallerie e alle opere d’arte della Campania, e, dal 1939, prima ispettrice e poi, dal 1941 fino al 1975, Soprintendente della Galleria Nazionale d’Arte Moderna.

Certo la sua rapida, anzi rapidissima ascesa destò non poche invidie e sospetti, specie nel mondo degli storici e dei critici d’arte. Invidie dovute anche alla sua indubitabile avvenenza, riconosciuta da tutti quelli che ebbero occasione di conoscerla o di incontrarla.

Il suo volto era infatti «di una bellezza soggiogante per i grandi occhi luminosi che l’hanno sempre rischiarato fino agli ultimi giorni», come ebbe a scrivere Carlo Bertelli commemorandone la scomparsa nel 1998. E della sua straordinaria bellezza presero atto anche donne normalmente non particolarmente generose verso il proprio sesso, come Peggy Guggenheim, che così la descrisse nelle sue memorie: «Palma Bucarelli era una donna molto bella. Aveva il naso aquilino, capelli castani e ondulati, occhi color malva dalle ciglia lunghe e superbe, e una carnagione immacolata. Era piccola e magra, si vestiva con grande eleganza».

E consapevole della sua bellezza era soprattutto lei stessa, come emerge dalle pagine del suo diario 1944, Cronaca di sei mesi, pubblicato nel 1997: «Sono piena di innamorati. Soprattutto i miei occhi pare che facciano andare in visibilio e perdere la testa»; e poi: «Sono molto elegante e bella, mi sento amata, desiderata, ammirata, invidiata», «Tutti mi trovano bellissima», eccetera.

È indubbio che da un lato questo autocompiacimento e, dall’altro, la frivolezza di certi atteggiamenti che emergono in particolare dalla lettura del diario («Non ho più soldi per mangiare: però una fattura di vestito bisogna che ci entri» e «Ma, o farina, o vestiti, o olio o cappelli, ahimè»), uniti a una certa spregiudicatezza e a un piglio manageriale raro per i tempi, fecero sì che quasi tutte le sue iniziative fossero accompagnate da critiche e contestazioni.

Una delle polemiche più famose riguardò Fautrier, artista informale francese da lei fortemente sostenuto, tanto da dedicargli una monografia, ricordata anche da Carlo Bertelli, che scrisse che «come studiosa, le rare volte in cui si era espressa nel campo dell’arte contemporanea fu vittima di critiche severe e non ingiuste, come accadde per un famoso scritto su Fautrier».

Tuttavia, tracciando un quadro complessivo della sua attività bisogna ascriverle non pochi meriti, soprattutto per quanto riguarda la Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Prima di tutto in tempi di guerra si preoccupò di ricoverare al sicuro le opere d’arte (quasi un migliaio), prima al Palazzo Farnese di Caprarola e poi, dal 1944, divenuta pericolosa la zona di Caprarola, a Castel Sant’Angelo, trasportando i dipinti con mezzi di fortuna, di notte, e con il terrore di esporre il convoglio ai bombardamenti. Le pagine dedicate a questo episodio sono tra le più belle del diario.

Ma è soprattutto con le campagne acquisti degli anni Cinquanta e Sessanta che la Bucarelli ha lasciato il suo segno sulle collezioni della Galleria. Certamente molto è anche dovuto ai preziosi consigli di Giulio Carlo Argan, con cui ebbe un rapporto molto stretto, ma molto è dovuto anche al suo gusto personale, alle visite agli studi dei pittori, quali Afro, Mirko, Turcato e soprattutto alla frequentazione delle gallerie che si erano aperte in quegli anni a Roma, come la Margherita e poi l’Obelisco di Gaspero Del Corso e Irene Brin in via Sistina (inaugurata nel 1946), la Galleria del Secolo, la Galleria di Roma e lo Zodiaco.

Già nel 1945 la Bucarelli era riuscita a far donare alla Galleria due dipinti di Morandi, un paesaggio e una natura morta. Seguirono donazioni e acquisizioni di opere di pittori internazionali quali Mondrian, Modigliani, Moore, Pollock, Malevich, Kandinsky e di artisti italiani come Burri, Colla, Caporossi, Fontana, Pascali, Novelli, Manzoni. Scelte coraggiose, molte di queste, se si pensa che sotto il fascismo dovette resistere alle pressioni di autorevoli gerarchi, come scrisse lei stessa all’allora direttore generale delle antichità e belle arti, Ranuccio Bianchi Bandinelli «non c’era raccomandazione di gerarca per quanto potente che m’impedisse di dare risposta negativa, se l’opera non mi paresse degna». E del resto anche in tempi più recenti, nel ‘59, l’esposizione de “Il grande sacco” di Burri costò alla Bucarelli un’interrogazione parlamentare da Terracini, perché l’opera andava contro le regole del realismo socialista.

Importantissima fu anche la grande stagione delle esposizioni, specie dal 1955 al 1961, quando la Bucarelli potè avvalersi della collaborazione, come vicedirettore della Galleria, di un raffinato e intelligente critico, Giovanni Carandente, di grande apertura internazionale. Le mostre di Mondrian (allestita da Scarpa), Kandinsky, Malevich, dei capolavori del Museo Guggenheim di New York, di Gino Rossi, Modigliani, Pollock, riuscirono finalmente ad attirare l’attenzione dei romani sull’arte contemporanea.

Lungimirante e coraggioso fu anche il nuovo progetto per l’ampliamento della Galleria, affidato a Luigi Cosenza: un ampliamento che doveva essere destinato alle mostre e alle attività temporanee e che è stato realizzato solo pochissimi anni fa.

Si può quindi dire che la Bucarelli con anni di impegno e di duro lavoro sia riuscita a dare all’Italia una vera e propria Galleria d’arte moderna, trasformando un museo che agli inizi degli anni Quaranta non era che un “terribile obitorio”, come ebbe a definirlo Peggy Guggenheim nelle sue memorie.

Sarà ricordata inoltre per la donazione della sua collezione di dipinti alla Galleria (e si riconoscono perché contrassegnati da una palmina), nonché per quella del suo elegantissimo guardaroba al Museo delle Arti Decorative di Roma. E sarà ricordata come una donna che ha suscitato molti amori, dal marito, il giornalista Paolo Monelli, a Vittorio Gorresio, Giulio Carlo Argan e tanti tanti altri, da lei ricordati – e a volte spregiudicatamente irrisi – nel suo diario.

Maria Teresa Gaja Rubin de Cervin