» Pasta Giuditta  
1798 - 1865
 


 

 
Giuditta Pasta nel ruolo di Tancredi (G.Rossini)  

Stendhal dedica a Giuditta Pasta un intero capitolo, il trentacinquesimo, de La vie de Rossini: «Cedo alla tentazione di provare a tracciare un ritratto musicale della signora Pasta. Si può dire che non fu mai impresa più difficile. Per la giusta ammirazione che questa grande cantante ispira al pubblico, anche il lettore più benevolo troverà il suo ritratto sbiadito e mille volte al di sotto di quanto si attendesse».

Il suo nome da nubile era Angiola Maria Costanza Negri, ma allora, siamo nella prima metà dell’Ottocento, a tutti era nota come Giuditta Pasta.

Era bellissima, ci confermano oltre alle cronache dell’epoca i numerosi suoi ritratti: un ovale perfetto, grandi ed espressivi occhi scuri; ieratica e solenne come Norma, liliale e modesta come Amina, eroica come Tancredi, maliziosa come Cherubino e Despina.

A diciott’anni debuttò come cantante; l’anno seguente andò sposa al tenore Giuseppe Pasta, e dopo una breve interruzione per la nascita dell’unica figlia, la sua carriera di diva continuò ininterrotta specialmente in Italia, Francia, Inghilterra, fino al 1835; poi, se non in declino, certo in tono minore calcò ancora palcoscenici in Polonia e in Russia e si esibì in numerosissimi concerti. Si spense a Como nel 1865.

Era un’epoca in cui il racconto di sentimenti, passioni, conflitti, specialmente in Italia, si esprimeva non tanto nelle pagine scritte del romanzo, quanto invece in quelle pentagrammate dei grandi autori di melodramma – Donizetti, Rossini, Bellini – e dei loro validi librettisti, artefici e cultori del “bel canto”. Giuditta Pasta ne fu la principale ispiratrice e interprete.

Particolarmente intenso e affettuoso fu il legame con Vincenzo Bellini, che per la Pasta, quasi su misura del suo talento di cantante e di attrice, compose Norma e Sonnambula. Felice Romani, il librettista di entrambe le opere, il 31 agosto 1831 diede al musicista i versi dell’introduzione di Norma. Il giorno seguente così Bellini indirizza una lettera a Madame Juditte Pasta  au Théàtre Italien de Paris:

«Mia cara amica,
Spero che questo soggetto si trovi di vostro gusto. Romani lo crede di grande effetto e proprio per il vostro carattere enciclopedico, perché tale è quello di Norma. [...] Voi di già l’avete letto; se qualche pensiero vi si affacciasse in mente, scrivetemelo.
Prendo questa occasione per congratularmi con voi dei trionfi nuovi che avete aggiunti agli altri innumerevoli vostri.
Mio bravo angelo, il vostro talento e il sentimento delicato che alligna in tutto il vostro essere è impossibile che non accreschi dei gradi all’onore che vi tributa l’epoca nostra, seppure ve ne restano nella scala della Gloria, che già parea esaurita da voi, ma che Milano e Londra hanno deciso che ancora nuove emozioni destiate in quest’anno, inaspettate e grandi; e quindi per voi il tempio di questa Gloria ancora si è più innalzato. Scusate questo sfogo del mio cuore che preso da tenero sentimento d’ammirazione avea bisogno di trasfondere tutto ciò che per voi sentiva, non dimenticando ancora quello della gratitudine, per quell’impegno che avete preso nel far bene concertare la mia Sonnambula in Londra».

Per Rossini, Giuditta Pasta fu insuperabile interprete di ruoli sia leggeri che tragici: Desdemona, tenera e incolpevole nell’Otello; la patetica Cenerentola; la maliziosa Rosina; l’eroico Tancredi, personaggio en travesti.

La Pasta, insoddisfatta del finale del Tancredi, chiese al compositore una nuova aria. Rossini non volle scrivergliela. Giuditta allora interpolò nel finale un’aria di Giuseppe Nicolini (Voi cimentarla osaste da Il ponte di Lenosse); non paga, la divina arrivò a chiedere a Rossini di fornire varianti per quest’aria, sebbene non fosse sua. Ed egli, incredibilmente, acconsentì.

Ma Giuditta aveva un gran cuore oltre che un’appassionata tensione d’attrice. A Trieste, un povero bambino di tre anni le chiese l’elemosina per la madre cieca. La diva pianse e dette al piccolo mendicante tutto quello che aveva con sé. Asciugatasi le lacrime, disse: «Questo bambino mi ha chiesto l’elemosina in modo sublime. Ho visto in un batter d’occhio tutte le disgrazie di sua madre, la miseria della loro casa, la mancanza di vestiti, il freddo di cui soffrono così spesso. Sarei una grande attrice se, all’occorrenza, sapessi trovare un gesto capace di esprimere la più profonda sventura con tanta verità».

Scrive ancora Stendhal:

«La voce della signora Pasta ha una notevole estensione. Rende in modo sonoro il La sotto il rigo e si innalza fino al Do diesis e anche fino al Re acuto. La signora Pasta ha il raro dono di poter cantare la musica per contralto come quella per soprano. La sua voce, poi, non è tutta di un Sol metallo (cioè in uno stesso timbro), e questa differenza tra i suoni all’interno di una stessa voce è uno dei più potenti mezzi espressivi di cui sappia avvalersi questa grande cantante.
Era necessario che la signora Pasta disponesse di colori così commoventi e di mezzi vocali così possenti perché essa potesse raggiungere la forza di espressione sempre autentica, e, ancorché moderata dalle regole del bello ideale, sempre colma di quell’ardente energia, di quella forza straordinaria, che elettrizzano un intero teatro. Ma quanta arte c’è voluta, quanti studi assidui sono stati necessari a quest’amabile cantante per ricavare tali effetti sublimi da due voci così opposte!».

Paola Sacerdoti