» Montessori Maria  
1870 - 1952
 


 

 
archivio Opera Nazionale Montessori, Roma  

Gli italiani la conoscono come una signora dall’aria materna e rassicurante che ha campeggiato a lungo sui biglietti da mille lire, unica donna effigiata sulle nostre banconote, ma nella sua lunga vita è stata una donna trasgressiva e inquieta, tanto che, quando le veniva chiesto di che nazionalità fosse, rispondeva: «Vivo in cielo, il mio paese è una stella che gira attorno al sole e che si chiama terra».

Nata nel 1870 a Chiaravalle (Ancona), figlia unica d’una famiglia colta – il padre era un alto funzionario delle Finanze – che si aspettava da lei un destino eccezionale, Maria vi corrispose frequentando una scuola tecnica (dov’era l’unica ragazza iscritta) e, superato l’esame di maturità con ottimi voti, iscrivendosi a medicina, che frequentò con profitto, affrontando con coraggio le situazioni più difficili: pare che entrasse nelle sale di anatomia per sezionare i cadaveri stringendo sotto il naso un fazzolettino profumato.

La scelta d’una via «maschile» non s’accompagnava però a una cancellazione della femminilità: era bella ed elegantissima, come la rappresenta un ritratto del 1896 pubblicato su L’illustrazione popolare, che voleva mostrare ai lettori come la giovane dottoressa riuscisse a coniugare vanità femminile (dai capelli ondulati a un magnifico abito ricamato) e professione.

I suoi successi scientifici, conseguiti in un’atmosfera culturale fortemente influenzata dal positivismo, le valsero riconoscimenti e borse di studio, e la portarono a partecipare a una ricerca sui bambini ritardati con un collega, Giuseppe Montesano, a cui fu legata sentimentalmente.

Dalla relazione nacque, nel 1898, un figlio, Mario, che partorì di nascosto e affidò a una famiglia. Dopo la morte di sua madre, Maria potè prendere il figlio, ormai quattordicenne, a vivere con sé, dicendo che era un nipote. La rinuncia al figlio e la drammatica fine della sua storia d’amore – dal momento in cui seppe che Montesano avrebbe sposato un’altra donna prese a vestirsi solo di nero, in lutto eterno per quell’amore finito - segnarono senza dubbio un cambiamento fondamentale nella sua vita. Non solo la sua militanza femminista divenne sempre più aperta e intensa (nel 1899 fu inviata a rappresentare l’Italia nel congresso femminista di Londra) ma cambiò interessi di ricerca, passando dai bambini disturbati a quelli normali.

 Non potendo allevare suo figlio, divenne la maestra di tutti i bambini, inventando un nuovo metodo pedagogico che doveva renderla famosa in tutto il mondo e da lei prenderà il nome.

In questo periodo difficile s’avvicinò a una nuova dottrina che univa religione e scienza, la teosofia, sorta in ambienti anglosassoni ma che si stava diffondendo rapidamente nel mondo. Nel 1899 Maria diventò infatti membro della Theosophical Society, a cui rimase legata per tutta la vita, come dimostra il fatto che durante la seconda guerra mondiale, costretta a rimanere in India, fu accolta ad Adyar, vicino a Madras, nella sede principale della società. L’appartenenza a questa associazione internazionale, strettamente legata all’ambiente massonico, facilitò senza dubbio la diffusione del suo metodo pedagogico nel mondo. Se si analizzano le sue opere, si scopre che le teorie teosofiche l’hanno profondamente influenzata, anche se l’autrice tace questa influenza probabilmente perché, secondo il principio teosofico, l’esperienza personale attraverso cui nasce la conoscenza della verità deve rimanere segreta.

Del resto la Montessori fu sempre restia a rivelare le fonti del suo pensiero, come l’influenza che ebbe su di lei il pensiero del pedagogista americano Séguin. Maria si convinse che i bambini erano ricchi d’un potenziale sconfinato e che l’adattamento alla società richiesto dalla famiglia non faceva che tarpare le loro possibilità di realizzazione. Mescolando le proprie idee con quelle di altri (JeanJacques Rousseau, Johann Heinrich Pestalozzi, Séguin, Friedrich Fröbel), diede forma alla teoria che il bambino si autoeduca manifestando liberamente e spontaneamente i propri interessi e tendenze.

La prima prova concreta delle sue idee educative fu realizzata nel 1907 a Roma, nella Casa dei bambini aperta nel popolare quartiere di San Lorenzo da un banchiere filantropo. Pochi mesi dopo ne venne fondata un’altra ancora a San Lorenzo, nel 1908 fu aperta una Casa dei bambini a Milano, affidata a una sua fida discepola, Maria Maccheroni, e seguita nel 1909 da una terza casa a Roma. Intorno a lei, che per tanti anni era vissuta nell’isolamento, si stava infatti formando un cenacolo tutto femminile di discepole soggiogate dal suo carisma, che lasciavano la famiglia per dedicarsi completamente a lei e alla sua causa. «Era come se, avendo sete, avessi trovato acqua pura», scrisse Anna Maccheroni dell’incontro con Maria, incontro che cambiò la sua vita, come successe a molte altre donne.

Le Case dei bambini non erano scuole, ma progetti sociali in cui s’esprimevano gli ideali del cosiddetto «movimento umanitario», il cui fine era una riforma sociale e politica da ottenersi attraverso l’«elevazione morale» dell’umanità. Ma le case divennero anche un laboratorio del suo metodo: Maria passava ore a osservare i bambini e fu colpita dal rapporto fra il bambino e l’oggetto; cominciò così a usare oggetti didattici per stimolare i loro sensi con i colori, il materiale di cui erano fatti, le forme, e ne progettò la fabbricazione, sottoposta a successive modifiche, consapevole che ogni oggetto poteva condurre l’intelligenza infantile a svilupparsi per mezzo dell’affinamento dei sensi.

Nelle sue case le maestre si proponevano di destare il grande potenziale che c’è nel bambino, distanti e nello stesso tempo vicine, dirigendo cioè le attività del bambino senza determinarle. Maria alternava momenti di grande senso pratico - come quando decise di brevettare gli oggetti didattici, obbligatori in tutte le scuole che s’ispiravano al suo metodo, realizzando così un ottimo affare -a momenti d’idealizzazione del suo ruolo: così, intervistata dai giornalisti sulla sua pedagogia, disse che il suo non era tanto un metodo educativo quanto una specie di rivelazione. Nel 1909 pubblicò il suo Metodo, che conoscerà un successo travolgente e sarà pubblicato in molte lingue, fra cui il cinese e il giapponese. Il successo crescente sul piano internazionale la portò in Spagna, Francia e Stati Uniti, dove sperimentò il suo modello educativo con bambini di razze diverse, ricavandone la certezza che era veramente universale.

S’impegnò a diffondere il metodo in Italia solo per un breve periodo, subito dopo l’affermazione del fascismo - spinta da una simpatia personale per Mussolini, che si dichiarava suo grande ammiratore - ma dopo pochi anni e molti conflitti tornò all’estero, vivendo fuori Italia fino alla morte, avvenuta in Olanda (paese in cui aveva stabilito la sua dimora stabile) nel 1952.

Nel 1947, comunque, la nuova Repubblica italiana l’aveva richiamata in patria e le aveva offerto l’opportunità di fondare un’opera a suo nome e istituire vari corsi secondo il suo metodo nelle scuole pubbliche. Ebbe lauree honoris causa da molte università, la Legion d’onore dal governo francese, l’ordine di Orange-Nassau dalla regina d’Olanda, il premio mondiale Pestalozzi e, a New York, un premio dell’Esposizione internazionale femminile per il suo impegno internazionale. Per il suo impegno pacifista, Maria venne candidata tre volte al premio Nobel.

Il suo testamento affidava al figlio, finalmente riconosciuto pubblicamente, il compito di continuare la sua opera. Nel corso degli anni Mario era infatti divenuto il suo protettore, colui che risolveva tutti i problemi pratici e creava le condizioni necessarie per la sua vita «eroica» di educatrice.

Lucetta Scaraffia