» Dentice di Frasso Sofia  
1889 - 1968
 

Sembrava nata per vivere nei salotti, quelli raffinati ed eleganti della Vienna al tramonto dell’Impero. Ne aveva il titolo, il fisico, la cultura e i mezzi. Finì invece per abbracciare una filosofia che predicava la vita spartana o comunque assai semplice, appartandosi in una comune antroposofica in Svizzera. Sofia Dentice di Frasso era nata a Napoli il 10 gennaio 1889 da Luigi e da Emilia Thurn-Valsassina, una austriaca come lo era la nonna paterna, contessa Luisa Chotek di Chotkova.

La famiglia divideva la sua esistenza tra Vienna, Kravska, Roma, Napoli e i possedimenti a San Vito dei Normanni, nelle Puglie. Per i loro obblighi – Luigi era senatore del Regno e Emilia dama di palazzo della Regina – trascorrevano molti mesi nella dimora romana di Largo Ponchielli, con la piccola Sofia e i suoi fratelli. I primi ricordi di Sofia restano comunque legati alle lunghe villeggiature estive nel castello della nonna Luisa a Kravska, in quella che oggi è la Slovacchia. Vi si sarebbe recata per anni coltivandovi le passioni per il giardinaggio e per la musica: oltre a suonare discretamente, disponeva di una voce molto bella e aggraziata che, nei domestici concerti serali, incantava gli ospiti del castello. Uno dei più assidui frequentatori era il conte Friederich-Karl Schönborn Buchein, magnat, ovvero membro della Camera Alta ungherese e marito della zia paterna, Teresa. Colui che, una volta vedovo, diventerà, quarantenne, il marito della appena ventenne Sofia.

Il matrimonio fu celebrato nel settembre del 1910 proprio a Kravska con lo sfarzo solito delle principesche tenute di campagna, dove la caccia era l’attività dominante. La sposa, avvolta da un prezioso velo trattenuto dal diadema di famiglia, fu accolta dai guardiacaccia schierati davanti all’ingresso della cappella. Gli addobbi erano rappresentati da composizioni silvestri, festoni di abete e di quercia e la colazione, a base di selvaggina e gamberi di fiume, venne servita mentre una orchestra di comi intonava jagdmusik. La coppia si stabilì a Vienna dove gli Schönborn Buchein disponevano di un palazzo al centro della città. Sofia ne fece presto un salon musicale affidandosi alla competenza dell’amico Franz Schalk, direttore della Wiener Staatsoper e del suo assistente, Richard Strauss.

Nella capitale che, come scriveva Hermann Bahr, scivolava morbidamente nella sua «gaia Apocalisse», il salotto di Sofia Dentice di Frasso finì per diventare uno dei luoghi deputati della cultura viennese animata da Arthur Schnitzler, Gustav e Alma Mahler, Otto Wagner, Siegmund Freud, Hugo von Hofmannsthal, Gustav Klimt e Arnold Schönberg fra i molti. L’impegno di Sofia non veniva però apprezzato da Friederich-Karl, il quale aveva altri interessi che non quelli culturali della moglie. E il matrimonio, nonostante la nascita di Erwein e Irma, primi dei quattro figli, entrò in crisi. Naturalmente c’era dell’altro a dividere i coniugi. Sofia infatti mostrava uno spirito troppo libero, troppo indipendente e troppo inquieto per un rappresentante della austera tradizione asburgica.

Lo scoppio della guerra impedì che la rottura portasse alla separazione: nel 1914 la famiglia si trasferì infatti a Beregvar, località ungherese ai bordi della grande foresta di Muchacevo, dove Sofia non rinunciò, nonostante tutto, alla sua passione per il canto. Ancora una volta le venne in aiuto Franz Schalk che l’affidò a un suo giovane allievo, Bela Bartok. Tuttavia, quando gli eventi bellici presero una piega più drammatica, trascurò la musica per approntare, lei italiana, un ospedale militare del quale fu la direttrice e una delle instancabili infermiere. Nei ricordi dell’unico figlio sopravvissutole, Karl - nato in quegli anni proprio a Beregvar, come suo fratello Maximilian - quello fu certamente e a dispetto delle circostanze il periodo più felice della famiglia.

Finita la guerra e rientrati a Vienna, i coniugi si separarono. Sofia prese alloggio in un modesto villino ai margini della città e i figli, che da quel momento avrebbe visto solo in estate a Kravska, rimasero col padre. Fu allora che conobbe il filosofo austriaco Rudolf Steiner, fondatore e animatore della Società Antroposofica Universale. Un incontro che le cambiò la vita. Sofia rimase assai impressionata dalle idee di Steiner, tanto da diventarne una delle più appassionate adepte. Diverrà infatti presidente della Società Antroposofica italiana, carica che manterrà per ben quarantasette anni coadiuvata da Dora Baker la quale, oltre ad esserle preziosa collaboratrice, diverrà anche la sua più intima amica.

Fu dunque senza esitazione che Sofia Dentice di Frasso abbandonò la capitale austriaca per trasferirsi a Dornach, nei pressi di Basilea, dove Steiner aveva fondato un centro spirituale, il Goetheanum, un “edificio vivente”, cioè pensato come un essere vivente, costruito secondo le regole bioarchitettoniche dell’euritmia. Gli ospiti vi professavano diverse discipline che andavano dall’arte, all’agricoltura, la medicina, la fisica, la teologia, la drammaturgia ed erano instancabili partecipanti ai seminari indetti da Steiner e seguiti da un pubblico foltissimo proveniente da tutta Europa. Al Goetheanum Sofia sembrò essere finalmente felice: le piaceva lo stile di vita, estremamente libero, senza quelle regole e convenzioni che caratterizzavano la società del tempo. E siccome per i precetti antroposofici l’uomo deve trovarsi in sintonia con il creato, oltre all’alimentazione rigorosamente vegetariana veniva praticato, scandalizzando la Svizzera calvinista, un disinvolto naturismo.

Da che si isolò in Svizzera, Sofia interruppe le relazioni con i quattro figli. Saranno sempre loro a cercarla e nemmeno la nascita dei nipoti ristabilì, almeno fino agli anni Cinquanta, un rapporto continuo con essi. Viaggiava spesso per organizzare o tenere convegni, per fondare Società teosofiche, per seguire Rudolf Steiner o Annie Besant, almeno fino a quando durò la collaborazione tra la teosofa paladina della cultura «al femminile» e il vate dell’antroposofia. Alla morte di Rudolf Steiner, nel 1925, intensificò la sua attività di apostolato che fu interrotta dallo scoppio della seconda guerra mondiale, vissuta da Sofia al riparo del Goetheanum.

Furono comunque anni difficili anche per lei e la sua salute ne risentì. Ciò non le impedì di svolgere le mansioni di presidentessa della Società Antroposofica italiana e di recarsi per questo con una certa frequenza anche a Roma dove si incontrava con il figlio Karl. Il quale ricorda divertito che in quelle occasioni la madre trasgrediva alle norme alimentari di Dormach abbandonandosi ai piaceri di una cucina ricca di proteine animali. Con gli anni le sue condizioni fisiche peggiorarono fino a renderla non più autosufficiente. Sarà la figlia Irma con il marito Erwin von Crobath e non la comunità antroposofica del Goetheanum a prendersi cura di lei, ospitandola nella loro casa di Klagenfurt. Dove ritrovò, oltre all’affetto, quel benessere nel quale era nata e a cui dopo la separazione da FriederichKarl Schönborn aveva dovuto rinunciare.

Morì il 5 agosto del 1968. «Sofia era una donna molto coraggiosa e ha avuto una vita difficile», dice di lei la nuora Edith Schönborn, «Non l’ho mai sentita dire una cattiveria su chicchessia. Aveva sempre troppo fiducia negli altri e gli altri ne hanno sempre approfittato. Non l’ho mai sentita lamentarsi».

Sanzia Ghislieri, Elisabetta Liechtenstein Winspeare