» Cavallari Giulia  
1856 - 1935
 


 

 

Nominata in alcune indagini letterarie dei primi decenni del Novecento per essere stata la prima allieva di Carducci nel l’ateneo bolognese, Giulia Cavallari nacque a Imola il 5 marzo del 1856 da una famiglia di intellettuali illuminati. Un precedente in famiglia – e forse un modello da imitare – fu rappresentato dalla nonna Maddalena Monteschi, fondatrice della prima scuola femminile sorta ad Imola, nella provincia pontificia anteriore all’Unità. La biografia intellettuale e umana di Giulia Cavallari Cantalamessa, viceversa, si inserisce tutta nella storia dell’Italia postunitaria laica, che metteva a punto tra il 1874 e il 1883 politiche di istruzione di massa, in cui si cominciava a riconoscere anche alle donne il diritto all’istruzione superiore, con la possibilità di frequentare i ginnasi e i licei, come possibile ponte per l’università.

Di questo percorso di modernizzazione della scuola e della società italiana – di cui si facevano carico con particolare entusiasmo le femministe di matrice mazziniana – Giulia Cavallari fu una delle prime protagoniste. Diplomatasi al liceo Galvani di Bologna nel 1878-79, e ottenuto un premio di incoraggiamento da parte dell’amministrazione provinciale, si iscrisse alla facoltà di Lettere e Filosofia del capoluogo emiliano, laureandosi nel 1882 con Giosuè Carducci. Poi, dal 1884, l’insegnamento di latino e greco presso la scuola superiore femminile di Roma intitolata a Erminia Fuà Fusinato, la scrittrice di origine ebraica divenuta cattolica a seguito del matrimonio con lo scrittore e patriota Antonio Fusinato, nominata dal ministro Mamiani ispettrice per le scuole e i collegi di Napoli, morta nel 1876. E nel cui nome, nell’Italia della separazione fra Stato e Chiesa, sorgevano istituti femminili.

I legami con il maestro non si esaurirono con la discussione della tesi di laurea, dato che Carducci affidò alla Cavallari l’istruzione della figlia Titti, e volle farle da accompagnatore quando, con rito civile, sposò nel 1886 il medico Cantalamessa, primario dell’Ospedale Maggiore di Bologna e docente universitario.

Come la maggior parte delle donne di quel periodo, per le quali il matrimonio segnava spesso l’interruzione della carriera, anche Giulia Cavallari Cantalamessa – che fissò la sua dimora coniugale nella Bologna di Gualberta Adelaide Beccari, con cui divideva gli impegni e le preoccupazioni per i destini dei giornali femminili – abbandonò l’insegnamento. La morte del marito nel 1896 la riportò nelle aule scolastiche; grazie anche all’intervento di Carducci ottenne infatti rapidamente, nello stesso anno della vedovanza, la cattedra di docente di italiano nella Scuola normale di Bologna. Successivamente la nomina a direttrice della scuola professionale locale, che ella intitolò alla “Regina Margherita”, e la direzione dal 1899, e per oltre un trentennio, dell’Istituto delle figlie dei militari della Villa della Regina a Torino, confermavano il ruolo importante svolto da Giulia Cavallari nell’istruzione pubblica italiana, sia sul piano dell’organizzazione scolastica che su quello pedagogico e letterario. Recuperando infatti le abilità apprese alla scuola di Carducci, consolidate attraverso la rete di rapporti intessuti nel suo salotto bolognese (frequentato tra gli altri da Carducci, Pascoli, Ferrari, Cavallotti, Saffi), scrisse numerose commedie e testi didattici per le studentesse (fra gli altri: Dottoresse, Commedie per giovanette, Piccole cose. Letture per le scuole).

Nel molteplice e diversificato panorama dell’attività femminile che contraddistinse la vita pubblica italiana dei primi decenni del Novecento, Cavallari si impegnò con saggi e conferenze a sostenere la necessità dell’istruzione e del lavoro delle donne come garanzia di indipendenza, dignità, emancipazione. E basta dare uno sguardo ai titoli della sua produzione saggistica e delle tante conferenze tenute nei luoghi in cui si esercitava la socialità maschile e femminile del tempo, per rendersi conto che i suoi ideali di eccellenza della cultura delle donne non passavano soltanto attraverso gli interventi su tematiche prettamente femminili (Della dignità della donna, 1884; La donna nel Risorgimento nazionale, 1892), ma anche attraverso una riflessione – condotta sul filo di un’identità laica e di ideali repubblicani che si erano andati piegando all’accettazione della monarchia sabauda – intorno a personaggi e situazioni del passato che avevano rappresentato un elemento di rottura e di innovazione: Nicolò Tommaseo, Zwingli e la sua riforma.

Nell’Italia giolittiana, sensibile agli ideali coloniali e al prestigio nazionale, la sua penna si rivolse a scrivere un Inno guerriero per la guerra italoturca (1912), il Canto della vittoria, musicato da Amadei nel 1920; L’opera di una donna nel periodo di guerra 1915 1919: testi che furono raccolti nel 1925 nel volume Canti di guerra, di vittoria e di pace.

Morì a Bologna nel novembre del 1935.

Sara Cabibbo