» Di Rudinì Alessandra  
1876 - 1931
 


 

 
Fondazione "Il Vittoriale degli Italiani", Gradone Riviera  

Alessandra Di Rudinì ha 27 anni quando conosce Gabriele D’Annunzio, allora quarantenne. Nasce subito tra i due una relazione amorosa che suscita presso i biografi di entrambi non poche perplessità: si tratta davvero di una strana coppia.

Avvenente e giunonica la nobildonna, che raggiunge quasi il metro e ottanta, (superando di poco Gabriele il metro e sessanta), colta e di alto lignaggio, avvezza al bel mondo internazionale, non sembra certo cadere nella rete del seduttore per ingenuità. Insomma tutt’altro che inesperta, Alessandra è vedova del marchese Marcello Carlotti e madre di due figli, Andrea e Antonio, rispettivamente di sette e sei anni. Piuttosto, si direbbe che siano le stravaganze del suo carattere a gettarla fra le braccia di un amante tanto poco raccomandabile che non appena la relazione è risaputa, i Carlotti si affrettano a toglierle i figli come il padre il patrimonio. Ma è proprio l’anticonformismo ribelle che la contraddistingue ad avvincerla fatalmente al libertino a tutti noto. Che per lei recide il legame con la Duse, compagna del resto ormai ingombrante, isterica, possessiva e alquanto in là con gli anni. Materna e con lui “virile”, Eleonora ha profuso il suo talento per il poeta che venera e che giudica in grado di rinnovare le scene. Nell’intimità lo chiama «figlio» e lo sprona a lavorare avendone tuttavia in cambio una serie di drammi di alterna fortuna, le cui costose scenografie la conducono vicino alla bancarotta. Solo la Figlia di Iorio potrebbe coronare i sogni dell’attrice: siamo però nel 1903, giusto l’anno in cui sboccia la passione per Alessandra. L’incontro avviene a Firenze, in occasione delle nozze, in ottobre, di Carlo Di Rudinì, il fratello, con Dora Labouchère. L’assedio della bella preda è di breve durata se in novembre le lettere di lei testimoniano la resa insieme con la scoperta dell’amore.

E il defunto marito? Libera scelta di Alessandra, che il padre avrebbe preferito dare in sposa a un nobile russo, si vede che il marchese Carlotti, morto della tisi che ha trasmesso ai figli, non era stato un amante comparabile a D’Annunzio, con il quale peraltro la relazione dura solo un triennio. Potrebbe pertanto rappresentare solo un episodio nella vita della donna: al contrario, quell’intensa passione la segna per sempre determinandone il destino. Ma chi è Alessandra? Antonio Di Rudinì Starrabba, il padre statista (era stato primo ministro nel 1891-92 e nel 1896-98) e proprietario terriero di cospicua ricchezza, si era trovato costretto a rinchiudere la moglie in una casa di cura.

Lo squilibrio mentale, manifestatosi con accessi di gelosia e manie persecutorie, si rivelerà incurabile, mancando cosi all’adolescente Alessandra la guida materna che le sarebbe invece necessaria, visto che dal Collegio romano delle suore del Sacro Cuore viene espulsa per indisciplina. Se dimostra spiccata attitudine per gli studi con letture appassionate, predilige gli abiti di foggia maschile e gli sport, specie quelli equestri. Ecco subito un terreno d’in tesa con Gabriele che non a caso, subito dopo l’avvio della relazione, confida agli amici con orgoglio di avere al proprio fianco “una creatura forte e sana”, un’“amazzone” che galoppa nei boschi e salta impavida le staccionate. Gli eccessi, sulle prime, lo affascinano e ribattezza Nike la bionda e statuaria Alessandra. I cui purosangue si trovano nella tenuta di Garda che il marito le ha lasciato in eredità. E lì, sulle rive del lago un giorno fatale per Gabriele, che vi fisserà la sua ultima e monumentale dimora, il Vittoriale, troviamo gli amanti nel 1904. Giornate all’aria aperta e notti così travolgenti che la convivenza viene presto decisa. Poiché i notevoli incassi della Figlia di Iorio consentono al fortunato drammaturgo, per il momento, di non badare a spese, poco importa se il padre e il fratello di Alessandra le tagliano i viveri; e poco importa se i figli le vengono sottratti.

I due vivono come su un altro pianeta i giorni magici della Capponcina, la villa quattrocentesca di Settignano, sui colli di Firenze, che D’Annunzio ha arredato con il lusso degno di un signore del Rinascimento. Ventisei le persone di servizio, una trentina i cavalli e altrettanti i cani, levrieri e da caccia. Il regime scioperato della perenne vacanza giova alla coppia, che ha mire matrimoniali, se si conoscono ripetute spedizioni in Svizzera di Gabriele per ottenere, ma invano, il divorzio. Accade però che nella primavera del 1905 Nike si ammali del «più feroce male che possa devastare il grembo femminile». Un tumore all’ovaio rende necessari tre interventi chirurgici e una lunga degenza nella clinica fiorentina del prof. Pestalozza.

La convalescenza sarà poi oltremodo difficile. Gabriele ha assistito l’ammalata, negletta dalla famiglia, con le cure esemplari che definirà miracolose in un racconto di alcuni anni successivo (Dell’amore, della morte e del miracolo) in cui si apprende che Alessandra non è uscita indenne dalla malattia: «Dopo le trepidazioni della convalescenza, quando i miei occhi velati dalla stanchezza di tante veglie ridivennero chiari e intenti, vidi innanzi a me una creatura alterata da non so quale potere nascosto, da non so quale malefica essenza. E in un giorno indimenticabile scopersi l’orrenda verità. La Morfina, il mostro vorace, aveva fatta una nuova vittima!». Non è da escludere che la tossicomania sia all’origine della separazione fra i due amanti. E un fatto comunque che Alessandra tramonta quando un nuovo astro bril la nel cielo di Gabriele.

Nel giugno del 1906 ha conosciuto Giuseppina Mancini, che abita a Firenze, e se ne innamora perdutamente. Cade così il progetto di trasferimento a Roma lasciando in Toscana i debiti ormai ingentissimi. Senza risposta restano infatti gli appelli di Alessandra, tornata nella Capitale per risolvere la lite con il padre dal quale pretende, almeno, l’appannaggio delle rendite materne. Giacché Giuseppina non ha ancora capitolato, la coppia trascorre nella villa “La Versiliana” di Pietrasanta una vacanza di tenore affatto famigliare. Alessandra con i due figli e Gabriele con i suoi tre, secondo quanto narra un testimone d’eccezione, Umberto Saba, giovane ospite di uno dei rampolli D’Annunzio. Il poeta nuota e si abbronza mentre una «signora», vestita di veli bianchi, si aggira come un fantasma per le stanze...

Le sorti di Nike sono allora già segnate e a nulla varranno le suppliche che si protraggono per anni, senza che la rassegnazione intervenga a placarla. Il conforto della fede religiosa, ardua conquista per Alessandra che si è sempre circondata di padri spirituali a cui ha espresso i suoi dubbi, interviene solo dopo un viaggio a Lourdes nel 1910, a bordo di un’automobile che guida lei stessa. Avviene il miracolo: invece della salute del corpo (anzi, per un piede posto in fallo si sloga una caviglia) acquista quel la dell’anima. Benché ancora l’anno dopo scriva a Gabriele, nel frattempo riparato in Francia, ad Arcachon, i debiti che l’assillano e la grave malattia dei figli sembrano averla mutata definitivamente.

Vive a Garda indossando un semplice saio, legge e scrive opere religiose (perdute) avendo quale ospite l’abate Gorel che la sostiene nel suo proposito di farsi carmelitana. Il fratello cerca di dissuaderla (il padre era morto nel 1908), ricordandole i doveri materni, ma Alessandra è irremovibile anche se permangono le stravaganze di sempre. Una volta che ha deciso di prendere il velo sceglie un Convento francese, il Carmelo di Paray-le-Monial, nel quale entra clandestinamente con il nome di Suor Maria di Gesù che non figura – si badi – nella sua corrispondenza. E desta qualche perplessità il fatto che prima di pronunciare i voti, nel l’ottobre 1911, si rivolga a Gabriele dichiarandosi a lui “sempre devota”. La singolare novizia – e non poteva essere altrimenti – si distingue da un lato per il fervore nella preghiera e nelle opere di bene, e dall’altro per le stravaganze. Rompe spesso la rigida regola, specie quando, dopo la morte del fratello, suicida, nel 1915, in un albergo romano di via Veneto, entra in possesso dell’ingente sostanza di famiglia. Divenuta Superiora devolve le sue sostanze nella costruzione di una Cappella nel Carmelo di Paray e di Carmeli ne costruisce di nuovi: a Valencienne e nei Pirenei, Con l’automobile, di cui non si è mai privata, si aggira così, come instancabile imprenditrice, fra i cantieri dirigendo i lavori.

Desta stupore, in tanta beneficenza, la noncuranza con la quale segue da lontano la nefasta sorte dei figli, che muoiono entrambi, fra il 1916 e il 1917, dopo lunghi soggiorni in sanatorio, senza riabbracciarla. Vero è che la sua salute l’ha abbandonata, poiché l’antica malattia ha lasciato strascichi, ma talvolta ha fatto pure rientro in Italia per occuparsi più del patrimonio che della prole sfortunata. E c’è chi l’ha sorpresa, per le vie di Firenze, in abiti civili, con due levrieri al guinzaglio, mentre esistono testimonianze, non si sa però quanto attendibili, che la vogliono dispotica, se non proprio sadica, con le novizie. Muore a 55 anni, il 2 gennaio 1931, dopo essersi preoccupata che non vengano meno le risorse per i Carmeli non ancora ultimati.

Annamaria Andreoli