» Cabrini Francesca  
1850-1917
 


 

 
Francesca Cabrini poco prima della partenza per New York -  1880 - Missionarie del Sacro Cuore di Gesù  

«Ripigliate coraggio, mettetevi in via e correte senza fermarvi e abbiate paura di voltarvi indietro», scriveva nel 1889 Francesca Cabrini alle sue suore dal piroscafo che la stava portando a New York per la prima volta. Questa audace e moderna proposta veniva da una maestrina nata nel 1850 a Sant’Angelo Lodigiano, un paese agricolo lombardo, da una famiglia di modesti agricoltori, ultima di undici figli. Per via paterna era imparentata con il leader politico anticlericale Agostino Depretis, con il quale condivideva l’oculata capacità di amministrare. Dalla cultura familiare derivò non solo il fervore religioso e lo spirito d’iniziativa, ma anche un sincero amore di patria, non frequente in quegli anni fra i cattolici.

La sua formazione giovanile avvenne sotto la guida della sorella Rosa e del parroco («quel che le dissero i suoi poveri preti, bastava», scrisse uno dei suoi primi biografi, Giuseppe De Luca), e dopo di lui non ebbe più consiglieri spirituali o confessori fissi, caso veramente eccezionale per le religiose del suo tempo. Francesca non s’era accontentata di fondare una congregazione di suore insegnanti con base in Lombardia, ma voleva fare la missionaria e addirittura partire per la Cina, come il suo modello san Francesco Saverio. Su richiesta del vescovo di Piacenza Giovanni Battista Scalabrini, attento alle sorti degli italiani emigrati in America, le venne proposta invece un’altra destinazione: gli Stati Uniti. Spinta da Leone XIII, che aveva avuto modo di conoscere le sue capacità realizzatrici e il suo amore per la Chiesa, Francesca partì.

L’inserimento nella società americana non fu facile, e spesso anzi venne reso più difficile dalle altre istituzioni cattoliche presenti, egemonizzate dagli irlandesi, ma la Cabrini imparò ben presto a muoversi in questo nuovo mondo in cui l’iniziativa personale e le doti imprenditoriali erano apprezzate. A New York cominciò così la sua missione fra i suoi connazionali immigrati – «gli italiani qui sono trattati come schiavi», scrisse in quei primi anni, «bisognerebbe non sentire amore di patria per non sentirsi ferita» che avvicinava nei porti, nei ghetti, nei miseri tuguri delle “piccole Italie”, nei posti più malfamati e pericolosi, dove neppure la polizia osava avventurarsi. Per loro cominciò a fondare istituti scolastici in cui la lingua prevalente era l’inglese per preparare i bambini a inserirsi nella società americana orfanotrofi, ospedali, come il Columbus di New York, a cui fecero seguito i Columbus di Chicago e Seattle. Si trattava di opere ben funzionanti, moderne, in edifici dignitosi se non addirittura belli, che fornivano assistenza gratuita per i bisognosi, a pagamento per gli altri. In questo modo si garantiva sempre un bilancio in attivo, così da permettere alla congregazione delle Missionarie del Sacro Cuore, da lei fondata nel 1880 (e riconosciuta dalla Santa Sede nel 1888), di aprire nuovi istituti nel mondo.

Francesca divenne ovunque il punto di riferimento più sicuro per gli italiani immigrati, anche per quelli che lavoravano nelle miniere dove periodicamente le sue suore si recavano per portare conforto e assistenza o stavano nelle prigioni: riuscì perfino a far scarcerare alcuni italiani innocenti, condannati solo perché incapaci di parlare l’inglese. Il suo progetto era quello di favorire l’inserimento degli immigrati nella società americana, facendone dei buoni cittadini senza rinnegare la loro origine religiosa e nazionale. La sua attività missionaria s’allargò in breve ad altre zone degli Stati Uniti, come Denver, Chicago, Seattle e New Orleans e all’America prima centrale (Nicaragua) e poi meridionale (Brasile e Argentina), tutti luoghi dove s’erano installate colonie di emigrati italiani.

La modernità della Cabrini traspariva innanzi tutto dal suo fare, dal movimento incessante nello spazio, dai viaggi continui sui mezzi di trasporto più moderni, di cui la religiosa apprezzava la novità tecnica, che le faceva sentire il mondo molto piccolo: «è troppo piccolo il mondo, vorrei abbracciarlo tutto». Non solo il suo rapporto con lo spazio, ma anche quello con il tempo era moderno, così dominato dalla fretta e dalla velocità: «in fretta, in fretta e allegramente, figlie mie», scrisse alle suore, esortandole addirittura ad agire «ardentemente e velocemente», frase di sapore quasi futurista, che rende perfettamente il senso del suo muoversi nel mondo.

Sempre al corrente di tutto, abilissima nel trattare gli affari a un notaio stupito disse: «posso contare su un consulente di eccezione, lo Spirito Santo» esercitava un’autorevolezza carismatica non solo sulle suore della sua congregazione, ma su coloro con i quali veniva a contatto, anche anticlericali come Francesco Saverio Nitti, che incontrò negli Stati Uniti. Abilissima nell’ottenere sconti e finanziamenti, non cercava la carità, ma proponeva investimenti nelle sue opere d’assistenza che, grazie alla sua abilità d’amministratrice, diventavano presto prosperi istituti: «non chiedeva, erano gli ammiratori della sua opera ad aiutarla», scrisse la moglie del console italiano. Nonostante le precarie condizioni di salute, che la tormentarono tutta la vita, fu instancabile: attraversò l’Atlantico 24 volte, superò la cordigliera delle Ande su un asinello e fondò scuole e istituti anche in Francia, Spagna e Gran Bretagna. Alla sua morte, avvenuta nel 1917 a Chicago, lasciò 67 istituti in 8 paesi.

Questa donna forte, moderna, capace di destreggiarsi nel mondo degli affari, di costruire grandi cose e di guidare le sue suore nella vita spirituale, insegnò alle sue religiose ad affrontare senza paura grandi responsabilità, a valorizzare le proprie doti lavorando per l’istituto, ma anche a non appoggiarsi a nessuno, esercitando così una potente funzione emancipatrice della condizione femminile, in forte anticipo sui tempi. La sua intensa spiritualità si realizzò soprattutto nelle opere, nella continua attività finalizzata a opporre il bene al male; la preghiera si realizzava nei fatti, non nelle parole, e infatti di lei restano solo le lettere alle suore e i bellissimi resoconti dei suoi avventurosi viaggi.

Lo slancio che Francesca Cabrini aveva impresso alla sua fondazione assicurò a questa una durevole prosperità economica, che le permise di continuare e talvolta anche d’allargare il suo respiro mondiale. Ma anche di contare all’interno della Chiesa su una forte autonomia, basata sulla solidità economica e sulla distribuzione mondiale delle istituzioni, che permetteva di sottrarsi, di fatto, al controllo degli ecclesiastici locali per rivolgersi direttamente al pontefice. Beatificata da Pio XI nel 1938, fu canonizzata da Pio XII nel 1946, considerata la prima santa americana (aveva preso la cittadinanza statunitense nel 1913) e festeggiata il 22 dicembre. Nel 1950 venne proclamata patrona di tutti gli emigranti e nel 1952 il Centro per l’Emigrazione di New York la dichiarò «la più illustre emigrante del secolo».

Lucetta Scaraffia