» Pisacane Carlo  
Napoli, 1818 – Sanza (Salerno), 1857
 

 

 
Carlo Pisacane - 1855 - fotografia - Collezione Eredi di Silvio Negro - Roma  

Di nobile famiglia. Ufficiale del Genio, la sua carriera militare fu compromessa dalla relazione con Enrichetta Di Lorenzo sposata a un cugino di Pisacane.

Per questo motivo nel 1847 fu costretto a fuggire all’estero. Avuta notizia dei moti di Milano, tornò in Italia per partecipare alla prima guerra d'indipendenza (1848).

Ferito in battaglia riparò a Lugano per sfuggire agli austriaci. Nel marzo 1849 raggiunse Roma, dove era

stata proclamata la repubblica romana; nominato capo di stato maggiore, ebbe contrasti con Garibaldi, poco incline a sottostare alla rigida organizzazione che Pisacane cercava di trasmettere all'esercito repubblicano.

L’esperienza romana e le polemiche interne al movimento repubblicano furono documentate nel volume La guerra combattuta in Italia negli anni 1848-1849 (1851).

Pisacane fu molto aspro anche con Mazzini, del quale criticava l’indifferenza per la rivoluzione sociale. Nei Saggi storici-politici-militari sull'Italia (4 voll., post. 1858-60), riaffermò il primato della questione sociale su quella politica: scopi ultimi della rivoluzione dovevano essere l'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e del principio di autorità, essendo la sovranità un diritto di natura inalienabile e non delegabile, che risiede nell’intera nazione.

Solo il socialismo avrebbe spinto il popolo alla battaglia, offrendogli la speranza di un futuro migliore. Pur restando fedele alle proprie convinzioni socialiste e rimanendo critico nei confronti delle idee di Mazzini, nel 1855 Pisacane si riavvicinò a quest'ultimo.

I due studiarono un'azione rivoluzionaria nel Mezzogiorno che, collegata all’attività cospirativa del comitato napoletano di Giuseppe Fanelli, scongiurasse la soluzione moderata e monarchica della questione italiana perseguita dal Piemonte.

Un primo tentativo di raggiungere le coste del napoletano fallì perché Pisacane, che doveva impadronirsi con alcuni compagni del vapore Cagliari, per una tempesta non poté ricevere il carico di armi che Rosolino Pilo gli avrebbe dovuto consegnare in mare (9 giugno 1857).

Recatosi a Napoli per avvertire del contrattempo il comitato, nonostante le perplessità espresse da Fanelli, Pisacane rientrò a Genova deciso a ritentare l'azione e il 25 giugno con una ventina di uomini s'impossessò del Cagliari. Anche questa volta Pisacane non poté ricevere le armi da Pilo, le cui barche, a causa della nebbia, non riuscirono a incontrare il vapore, ma proseguì ugualmente facendo rotta su Ponza.

Conquistato il castello e liberati i prigionieri ivi reclusi, con circa trecento di essi Pisacane sbarcò a Sapri il 28 giugno. Non avendo trovato traccia della sperata insurrezione, cui avrebbe dovuto lavorare il comitato napoletano, Pisacane e i suoi cercarono invano di far sollevare le popolazioni di Torraca e Casalnuovo (30 giugno); circondati e decimati dai soldati borbonici nei pressi di Padula, si aprirono un varco verso Buonabitacolo, quindi verso Sanza, ove furono attaccati dai contadini, chiamati a raccolta dal parroco (2 luglio).

Pisacane, ferito in combattimento, si uccise.

Documenti
 

La capitolazione di Roma

Nel brano che segue, Carlo Pisacane descrive l’attacco delle truppe francesi guidate dal generale Oudinot e la resa della Repubblica romana. Nel testo è possibile scorgere i dissidi che erano sorti tra i leader repubblicani nel 1849. Se la sconfitta, infatti, era dovuta in massima parte alle difficoltà della difesa della Città Eterna – il terreno era «favorevolissimo all’assediante» – la gloria maggiore per la Repubblica spettava, secondo Pisacane, più «alla costanza del popolo e della truppa» che ai capi militari.

C. Pisacane, Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-1849, a cura di L. Maino, Roma-Milano, Società Editrice Dante Alighieri, 1906, pp. 257-270.

 

Garibaldi e la condotta militare della guerra

Carlo Pisacane fa una dura critica alla figura di Giuseppe Garibaldi – definito come «l’idolo di poca ma caldissima gioventù» – e al disperato tentativo del nizzardo di raggiungere Venezia con i suoi uomini dopo la capitolazione della Repubblica. Il testo risente delle diversità di opinioni, tra Garibaldi e i capi repubblicani, sulla direzione politica e militare della difesa di Roma. Soprattutto a partire dal 30 aprile 1849, infatti, il nizzardo propugnò e attuò una strategia d’attacco personale che non tenne conto né delle decisioni del Triumvirato, né delle direttive della Commissione di guerra della Repubblica di cui faceva parte Pisacane.

C. Pisacane, Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-1849, a cura di L. Maino, Roma-Milano, Società Editrice Dante Alighieri, 1906, pp. 270-280.

 

La questione della nazionalità

Nel II capitolo del Saggio sulla rivoluzione, Carlo Pisacane si sofferma sulla questione della nazionalità – alla cui base risiederebbero, come elementi insostituibili, la libertà e l’uguaglianza – e sull’unità politica del Paese che, per essere effettiva, deve avere una struttura organizzativa accentrata e non federata.

C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione. Passi scelti, Napoli, Istituto Editoriale del Mezzogiorno, 1969, pp. 78-86.

 

Il testamento politico

A Genova, il 24 giugno 1857, il giorno precedente la partenza per la spedizione di Sapri, Carlo Pisacane consegnò a Jessie White Mario il proprio testamento politico. Convinto che il socialismo debba costituire il contenuto della rivoluzione italiana, nonché di quella europea, Pisacane si dice sicuro che nel Sud Italia esista «la rivoluzione morale» e che solo «un impulso gagliardo» possa far scoppiare il moto rivoluzionario.

C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione. Passi scelti, Napoli, Istituto Editoriale del Mezzogiorno, 1969, pp. 113-116.