» La Marmora Alfonso Ferrero (di)  
Torino, 1804 - Firenze, 1878
 


 

 
A. Bernaud - Generale Alfonso La Marmora - 1865 - Carte de visite - Musei Civici, raccolta Bertarelli - Milano  

Dopo aver riorganizzato l'artiglieria piemontese, partecipò alla guerra d'indipendenza del 1848, distinguendosi nell’assedio di Peschiera. Fu ministro della Guerra nei due brevissimi ministeri Pinelli e Gioberti, fino al febbraio 1849, allorché fu inviato con una divisione al confine della Toscana. Dopo Novara, La Marmora fu nominato commissario straordinario a Genova insorta.

Nel novembre 1849, durante il primo gabinetto d'Azeglio, fu chiamato di nuovo a reggere il ministero della Guerra, che tenne per circa dieci anni. In questa carica, riorganizzò l’esercito piemontese sul modello francese, innalzando la ferma da 14 mesi a cinque anni.

Migliorata la cultura dei quadri, riorganizzate le strutture di comando e la carriera degli ufficiali, riformato il codice militare e i regolamenti di disciplina, rimodernate le fortificazioni, La Marmora riuscì a presentare un esercito piccolo, basato su cinque divisioni e nessun corpo d’armata, vigoroso, che diede ottime prove in guerra.

Nel 1855 gli fu conferito il comando in capo della spedizione di Crimea e, al ritorno, riprese il portafoglio della Guerra, col grado di generale d'armata. Durante la campagna del 1859 fece parte del quartiere generale del re. Dopo l’armistizio di Villafranca, tenne per sei mesi la presidenza del Consiglio, succedendo a Cavour dimissionario; quindi, nel 1860, passò a comandare il dipartimento di Milano e l'anno seguente quello di Napoli, con poteri civili e militari.

Ritornato alla presidenza del Consiglio nel settembre 1864, pur essendo personalmente contrario alla Convenzione del 15 settembre, la difese alla Camera e al Senato, in quanto era già stata sottoscritta dal re. Dopo le elezioni dell'ottobre 1865, La Marmora, trovandosi di fronte a una seria opposizione, acuitasi specialmente sul piano dei problemi finanziari, si dimise (dicembre 1865), ma il re gli rinnovò l'incarico di formare il nuovo ministero.

Alla vigilia della guerra del 1866 lasciava, il 20 giugno, le redini del governo a Ricasoli per assumere il comando effettivo dell'esercito. Nel corso della campagna La Marmora ebbe un atteggiamento incerto, debole e contraddittorio, soprattutto in occasione della battaglia di Custoza.

Il piano di guerra, imperniato per riguardi personali verso un altro illustre generale (il Cialdini) su di una separazione dell’esercito in due masse lontane e pressoché indipendenti, fu tra le cause precipue per cui la superiorità numerica degli italiani nello scacchiere operativo, si mutò in un’inferiorità sul campo tattico della lotta.

La condotta di La Marmora fu poi determinata da un pessimismo che la tenace resistenza delle truppe non giustificò affatto. Quest’atteggiamento fece mancare alle operazioni militari un’energica direzione che avrebbe corretto le prime incertezze di alcuni subordinati e rinvigorito l'azione sostenuta da altri.

Custoza di certo oscurò una fama militare fino ad allora indiscussa. Sostituito pertanto, mentre era ancora in corso la guerra (primi di luglio), dal generale Cialdini, si ritirò a vita privata. Difese le sue ragioni in un’opera intitolata Un po' più di luce sugli eventi politici e militari dell'anno 1866.

Dopo l’occupazione di Roma (1870), vi assunse la carica di luogotenente generale del re, in attesa del trasferimento della capitale.