» Ferrari Giuseppe  
Milano, 1811 - Roma, 1876
 


 

 
Ritratto di Giuseppe Ferrari - 1867  

Di formazione giuridica, si dedicò allo studio della filosofia. Soprattutto di Vico, di cui fu anche editore. A Milano, dove ritornò dopo la laurea a Pavia, frequentò la casa di Gian Domenico Romagnosi.

Vi incontrò Carlo Cattaneo, Cesare Cantù, i cugini Defendente e Giuseppe Sacchi. All'inizio del 1838, si trasferì a Parigi, dove, grazie anche all’aiuto di Victor Cousin iniziò a collaborare alla «Revue des Deux Mondes». Dalla Francia Ferrari non smise di guardare all’Italia.

È a quell’epoca che, riflettendo sulla tradizione letteraria popolare italiana, sulla pluralità dei dialetti e sulla multiforme realtà storica e geografica del paese, risalgono le sue prime considerazioni sulla natura federale della nostra storia nazionale. Nel 1841 Ferrari ottenne l’insegnamento universitario a Strasburgo, dove tenne un corso sulla filosofia del Rinascimento.

Le proposizioni esplicitamente antireligiose delle sue lezioni gli costarono l’incarico accademico. Gli avvenimenti italiani della seconda metà degli anni Quaranta tenevano desta l’attenzione di Ferrari che intervenne aspramente contro il neoguelfismo e Gioberti, al quale contrapponeva il pensiero di un altro cattolico, Antonio Rosmini.

Suoi bersagli polemici erano in quegli anni i liberali piemontesi e Cesare Balbo, ma Ferrari non risparmiò nemmeno i democratici e il loro leader, Giuseppe Mazzini. A Mazzini, Ferrari contestava la pratica cospirativa e il metodo delle società segrete.

Fu questa l’epoca in cui Ferrari cominciò ad interessarsi in maniera più diretta e sistematica delle dottrine socialiste contemporanee, e specie dei loro sviluppi in Francia. Alla immediata vigilia delle rivoluzioni del 1848 risale il più importante intervento di Ferrari sulla situazione politica italiana: La révolution et les réformes en Italie. Vi ribadiva la sua scelta in senso democratico-rivoluzionario e formulava in maniera approfondita gli argomenti federalisti.

Nel febbraio 1848 aderì alla rivoluzione parigina che proclamò la seconda Repubblica. Iniziò a collaborare al giornale di «Le Peuple Constituant». Ottenne nuovamente l’insegnamento di filosofia a Strasburgo. Il 6 aprile si recò a Milano dove, d'accordo con Cattaneo e Cernuschi, cercò di dar vita a un raggruppamento di forze democratiche che si opponesse alla politica filopiemontese del governo provvisorio dopo le Cinque giornate; il tentativo fallì soprattutto per l'opposizione di Mazzini.

Dopo il 1848 presero corpo le opere maggiori di Ferrari sulla storia e la teoria della storia (Histoire des révolutions d'Italie, 1858; Histoire de la raison d'état, 1860; La Chineet l'Europe, leur histoire et leurs traditions comparées, 1867).

Successiva è la Teoria dei periodi politici (1874). Rientrato in patria, nel marzo del 1860 venne eletto deputato al primo Parlamento dell'Italia in via di unificazione. Siederà alla Camera, sui banchi della Sinistra, ininterrottamente fino al 1876.

Nominato senatore il 15 maggio 1876, il Ferrari morì poche settimane dopo a Roma, il 2 luglio.

Documenti
 

Il carattere sociale della rivoluzione

Uno dei maggiori studiosi del Risorgimento, Franco Della Peruta, ha illustrato lo stretto rapporto che Ferrari stabiliva tra rivoluzione nazionale e rivoluzione sociale o socialista.

F. Della Peruta, I democratici e la rivoluzione italiana, Milano, Franco Angeli, 2004, 71-75.

 

Ferrari contro Mazzini

Il 1848-49 aveva messo in evidenza dissidi profondi entro lo schieramento democratico italiano. Una lettera di Ferrari del 1850 sottolinea i punti di contrasto con Mazzini: fortissimo, in particolare, il disaccordo in rapporto all’eventuale sostegno della Francia, che Ferrari considerava indispensabile, mentre Mazzini sosteneva da anni che occorresse farne a meno.

D. Mack Smith, Il Risorgimento italiano, Roma-Bari, Laterza, 1976, p. 401.