» 25|Le insurrezioni della Toscana, dei Ducati e dell’Emilia  
 


 

 
G. Mochi - La deputazione toscana presenta al re Vittorio Emanuele II l'atto di plebiscito per l'annessione al regno - olio su tela - Museo storico topografico "Firenze com'era" - Firenze  

Il 27 aprile 1859, ricevuta notizia dello scoppio della seconda guerra di indipendenza e del rifiuto opposto da Leopoldo II alla richiesta piemontese per l’ingresso della Toscana nell’alleanza franco-sarda, una grande folla si radunò a Firenze in piazza Barbano (oggi piazza Indipendenza) sotto la guida dei capi della Società Nazionale, mentre la guarnigione della città si schierava con i patrioti.

La sera stessa, fermo nella sua intransigenza, il Granduca si decise ad abbandonare la Toscana e partì per Bologna nell’indifferenza generale.

I patrioti decisero quindi di costituire un governo provvisorio, nominato ufficialmente dai priori del comune di Firenze. Mentre le altre città aderirono tutte al movimento della capitale, con una lettera a Cavour, i principali esponenti del governo chiesero che Vittorio Emanuele II assumesse la dittatura della Toscana.

Rifiutando questa richiesta, contraria ai desideri di Napoleone III, Cavour nominò però il conte Carlo Boncompagni commissario regio straordinario, e quest’ultimo procedette alla formazione di un nuovo governo.

Mentre in Toscana, man mano che la guerra volgeva a favore dei franco-piemontesi, prendeva sempre più corpo il movimento unionista, la situazione mutò anche nei Ducati di Parma e Modena (nella provincia estense di Massa e Carrara, in realtà, già il 27 aprile erano stati eletti commissari straordinari che assunsero il potere in nome del re di Sardegna).

A pochi giorni dalla decisione di Maria Luisa d’Asburgo, duchessa di Parma, e Francesco V d’Asburgo-Este, duca di Modena, di abbandonare definitivamente i loro possedimenti – avvenuta in seguito alla battaglia di Magenta rispettivamente il 9 e l’11 giugno 1859 – un decreto del luogotenente del Regno di Sardegna, il principe Eugenio di Carignano, firmato il 15 giugno, sostituì le commissioni provvisorie nate in quei giorni e insediatesi in nome di Vittorio Emanuele II, con dei governatori scelti da Torino: al conte Diodato Palmieri fu così affidato il governo delle provincie parmensi, mentre quelle modenesi passarono sotto il controllo di Luigi Carlo Farini.

 


 

  Il principe Eugenio di Savoia Carignano - Museo centrale del Risorgimento - Roma

Dal momento che l’annessione dei due Ducati, già deliberata nel 1848, era stata riconosciuta in linea di massima dagli accordi franco-sardi, il Piemonte considerò inoltre Parma e Modena non degli Stati protetti come la Toscana, ma delle provincie in corso di annessione.

Anche nelle Legazioni la tensione si acuì dopo la battaglia di Magenta, quando il comando austriaco decise di richiamare a nord del Po le truppe dislocate nella parte settentrionale dello Stato pontificio.

Il 12 giugno a Bologna una grande manifestazione popolare, guidata da moderati e aderenti alla Società Nazionale, costrinse il cardinale legato Milesi alla partenza.

La Giunta provvisoria di governo, di cui fece parte tra gli altri anche Gioacchino Pepoli, cugino di Napoleone III, nominata lo stesso giorno dalla magistratura municipale, offrì ancora una volta la dittatura a Vittorio Emanuele II.

Dal momento che il re di Sardegna non poteva però avere a disposizione una parte dello Stato pontificio, fu deciso di inviare colà un commissario del re, nella persona di Massimo d’Azeglio, che giunse però in città solamente l’11 luglio.

Nel frattempo, tra il 12 e il 22 giugno, erano insorte anche Ravenna, Forlì e Ferrara senza spargimento di sangue: le truppe pontificie, infatti, passavano agli insorti o si disperdevano.

Inoltre, i patrioti formarono Giunte provvisorie che aderirono alla Giunta di Bologna, la quale prese il nome di Giunta centrale. Insorsero inoltre anche una parte delle Marche, fino a Jesi e Ancona, e l’Umbria.

Il governo papale reagì con forza: con proteste diplomatiche, con la scomunica lanciata il 20 giugno e con l’invio di un reggimento di mercenari svizzeri che, attaccata e riconquistata Perugia lo stesso 20 giugno, rioccupò, nei giorni successivi, le altre città insorte delle Marche e dell’Umbria.

Rimasero libere le Legazioni fino a Cattolica, presiedute, a partire dalla metà di luglio, da forze volontarie arruolate dopo l’insurrezione, e da contingenti giunti dalla Toscana e, in piccolissima parte, dal Piemonte.