» 09|Le Cinque giornate di Milano  
 

Le notizie della rivoluzione di Vienna, giunte a Milano la sera del 17 marzo, contribuirono a riaccendere gli animi tra la cittadinanza, già esacerbati dopo che, nel gennaio precedente, il successo dello sciopero del fumo aveva determinato duri scontri con la polizia e lasciato sul terreno sei morti e una cinquantina di feriti.

 
 

 
Il comitato insurrezionale in casa Taverna durante le Cinque giornate - Museo del Risorgimento - Milano  

La mattina del 18 marzo una grande folla, raccoltasi di fronte al Palazzo del Broletto, dove aveva sede il municipio, chiese a gran voce che il podestà Gabrio Casati si rivolgesse alle autorità austriache per ottenere la Guardia civica.

Due distinti cortei si diressero quindi al Palazzo del governo (oggi sede della Prefettura), dove gli insorti catturarono il vicepresidente, conte O’Donnel, che aveva sostituto il governatore Giambattista von Spaur, partito da alcuni giorni.

Il giovane patriota Enrico Cernuschi costrinse quindi O’Donnel ad affacciarsi ad una finestra insieme a Gabrio Casati e a firmare davanti alla folla tre decreti, coi quali era concessa la Guardia civica, destituita la direzione di polizia e ordinato alla polizia stessa di consegnare le armi al municipio.

Dopo che il corteo, di ritorno al Palazzo del Broletto, venne però disperso a fucilate in via Montenapoleone da un reparto di truppe, l’insurrezione scoppiò un po’ ovunque in modo spontaneo e vennero erette le prime barricate.


 

 
Sanesi e Scotto - Cacciata degli austriaci da Milano, 22 marzo 1848 - acquaforte acquarellata - Museo centrale del Risorgimento - Roma  

Appena avuta notizia del tumulto, Radetzky avviò la repressione, imponendo ai suoi generali di occupare di nuovo il Palazzo del governo, di rafforzare il presidio al Palazzo Reale e di entrare nel Duomo. La sera stessa le forze austriache assalirono il Broletto, catturando più di cento cittadini, mentre i capi della rivolta, e gli stessi Casati e Cernuschi, si rifugiavano nella casa del conte Carlo Taverna che divenne il quartier generale della rivoluzione.

Il 19 la lotta riprese con intensità crescente e coinvolse quasi tutti gli strati della popolazione: nonostante le numerose barricate erette dalla cittadinanza rendessero però difficili i movimenti degli austriaci, questi tenevano saldamente il Castello, i Bastioni, le caserme e molti edifici pubblici e privati, mentre gli insorti pagavano l’assenza di una direzione politico-militare unitaria.

 

 

  G. Gorra - L'assalto a Porta Tosa nel marzo del 1848 - olio su tela - Musei Civici - Milano

Il giorno seguente si delineò inoltre in modo piuttosto chiaro il contrasto tra Casati, esponente della corrente moderata aristocratica, ancora incline a conservare alla municipalità una parvenza di potere legale sulla base dei decreti firmati il giorno prima, e Cattaneo, che quella stessa mattina aveva costituito un Consiglio di guerra con il compito di guidare la lotta contro lo straniero.

Mentre il nuovo piano di guerra cominciava a dare i suoi frutti – permettendo agli insorti di occupare, il 20 marzo, il Duomo, il Palazzo Reale, la direzione della polizia con il carcere annesso, e, il 21, di espugnare il palazzo del Genio e quasi tutte le posizioni austriache all’interno dei Bastioni –, i contrasti tra municipalità e Consiglio di guerra si fecero più accesi, a causa della disponibilità mostrata da Casati di fronte alle proposte di tregua avanzate da Radetzky e al diverso atteggiamento assunto verso l’ipotesi di un intervento piemontese a fianco agli insorti: mentre infatti i nobili moderati della municipalità erano favorevoli all’idea della guerra regia, ed erano pronti a costituirsi in governo provvisorio e a chiedere un aiuto ufficiale a Carlo Alberto come suggerito dal re sabaudo, Cattaneo sosteneva invece il progetto di una lotta federale e nazionale dell’Italia intera per l’indipendenza.

 

 

"Il 22 Marzo", anno I nr. 12, organo ufficiale del Governo Provvisorio dopo le Cinque giornate di Milano. 6 aprile 1848 - stampa - Museo del Risorgimento - Milano

 

Frattanto, il 22 marzo, di fronte alla costituzione della municipalità in governo provvisorio, Cattaneo, scartata l’eventualità di costituire un secondo governo di orientamento democratico, presentò a Casati le dimissioni del Consiglio di guerra, e optò per costituire un Comitato di guerra assieme ai moderati, cedendo di fatto a questi ultimi ed adattandosi ad assumere una posizione subordinata.

Lo stesso giorno gli insorti poterono in ogni caso impadronirsi di Porta Tosa (oggi Porta Vittoria), mentre i rivoluzionari giunti dai dintorni forzarono Porta Comàsina (oggi Porta Garibaldi).

Di fronte alle ingenti perdite di uomini, alle enormi difficoltà di approvvigionamento e, più in generale, al dilagare della rivolta nel Lombardo-Veneto, dove tutte le principali città riuscirono in quegli stessi giorni a liberarsi dal dominio austriaco, salvo Mantova e Verona, il 22 marzo Radetzky decise la ritirata in direzione di Lodi, riuscendo, all’inizio di aprile, a concentrare nel Quadrilatero tra il Mincio e l’Adige circa quarantacinquemila uomini.