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Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011) » Mazza Laura  
1926 - 1966
 


 

 
Ignoto - Tito Speri (1825-1  853). 1852 circa - Musei Civici Milano  

E' sempre rischioso tracciare il bilancio di una carriera. Soprattutto quando la carriera si impasta con il passato ma ha l'ambizione di portare avanti, nel futuro, quell'eredità.

Per Laura Mazza, nata nel 1926, un filo lo teniamo stretto tra le dita: la tenacia della battaglia condotta contro «la fine dell'immagine». Contro la fine dell'immagine in pittura. Ma partiamo dall'inizio.

Movimentato, poco lineare, ribelle alle definizioni. A Milano, Laura partecipa alla Resistenza. Poi, con il nome d'arte di Lalla Mauri, veste i panni della prima attrice nella compagnia di prosa Il Carrozzone di Fantasio Piccoli. Compagni di scena, tra gli altri, Adriana Asti, Romolo Valli, Valentina Fortunato. Nel ‘55, l'esperienza si conclude con un addio al teatro. E un tuffo nell'editoria. Assieme a Alberto Mondadori, al Saggiatore. Dal ‘60, nelle vesti di direttore editoriale, nel Sindacato Dirigenti di Aziende Industriali. Chi l'ha conosciuta in quel periodo, le attribuisce precisione estrema fin nello scoprire le ripetizioni lessicali.

Nel ‘63 si trasferisce a Roma. In casa editrice, discute con Giacomo Debenedetti, con Rodolfo Wilcock. È bella? Certo. Energica? Sicuramente. Ambiziosa? Abbastanza. Rigida nei toni – per assecondare l'efficienza nordica – ma anche estroversa. Sta sulle sue, all'apparenza. Anche se è capace di guizzi ironici, di gesti improvvisi, di folgorazioni espansive.

Comincia a annusare le opere esposte alla “Nuova Pesa” dove i bagliori dell'“impegno”, diretta implicazione politica e sociale del far pittura (ne sa qualcosa Renato Guttuso), sono ancora vivi. Tengono desta, questi bagliori, l'attenzione dei politici (e degli intellettuali) comunisti: da Amerigo Terenzi a Antonello Trombadori a Mario Alicata, responsabile culturale del PCI e compagno di Laura Mazza fino al momento della sua morte (1966).

Dall'incontro, fra gli ombrelloni del Lido Azzurro di Torre Annunziata, con Sandro Manzo, figlio del proprietario dello stabilimento, giovane collezionista, Laura si aspetta un ennesimo cambiamento?

Certo, i magnifici tre (Mazza, Mondadori, Manzo) nel ‘67 raccolgono la sfida del Gabbiano «chiamato così in omaggio ad Anton Cechov e ai miei trascorsi teatrali quando giravo l'Italia con Adriana Asti e Romolo Valli».

Prima mostra quella di Alberto Giaquinto (presentata da Renato Guttuso). Pareti dipinte di bianco mentre, ancora, le gallerie hanno le pareti ricoperte di tela di iuta. Una grande festa. Bisogna ammettere che il 1967 è un anno complicato. Finisce il boom economico, cominciano le prime ondate del movimento studentesco. L'“informale” gode di largo consenso. L'arte povera e concettuale tenta di sedurre un pubblico in cerca di avanguardia, di sperimentazione.

Ce ne vuole, di tigna, per tenere duro sulla linea della pittura figurativa.

Al Gabbiano si schierano. No, i nostri artisti non sono dei «conservatori». Il loro patto con il pubblico consiste nel far capire cosa dipingono. E perché poi il rinnovamento dovrebbe rinunciare a un compito comunicativo? Le avanguardie (informale, astrazione, arte povera) sono roba da vagone-letto.

All'inaugurazione della galleria arrivano anche Giancarlo Pajetta e Luigi Longo. Significa che l'imprimatur viene da Botteghe Oscure? Risposta: «Mai lavorato direttamente per il Partito anche se votavamo comunista». Dunque, vocazione alla realtà e una lotta lirica contro «la fine dell'immagine».

In effetti, gli artisti vanno da Morandi a Pirandello, Mafai, Guttuso, Guccione, Attardi, Tornabuoni, Caruso. Ma anche Rauschenberg, Larry Rivers, Sam Francis. Oggi, i più giovani si chiamano Bernardo Siciliano e Valeria Cademartori.

Le opere erano (e sono ancora) vendute a rate. Allora i clienti davano diecimila lire, oggi un milione alla volta. Nessun comitato di esperti per le decisioni. A Laura Mazza è sempre piaciuto rischiare di persona. In 35 anni, al Gabbiano si contano all'incirca 180 mostre. E l'arte non si è fermata in via della Frezza 51. Già dagli anni Ottanta, le proposte sono diventate scambi costanti tra Roma e New York.

Letizia Paolozzi

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