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Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011) » Mangano Silvana  
1930 - 1989
 


 

 
Silvana Mangano nel film 'Anna' (1952) di Alberto Lattuada - © Collection Roger-Viollet-Archivi Alinari, Firenze  

«Cara Silvana, è tanto che ti devo una lettera. Una lettera, se non «un mazzo di magnifiche rose». Invece di scrivertela privatamente, te la scrivo pubblicamente. Ciò non pone dei limiti alla confidenza e all'affetto, ma le conferisce, forse, un maggior valore».

È questo l'incipit della lettera – struggente, lucida, appassionata – che Pier Paolo Pasolini scrisse a Silvana Mangano, la splendida protagonista di Teorema, (la lettera fu pubblicata su Il Tempo Illustrato cui il regista collaborava), per chiederle, a suo modo, perdono dello scandalo che il film aveva suscitato e che li coinvolgeva entrambi.

Era il 1968, Teorema aveva galvanizzato il pubblico parigino, non meno dei critici d'Oltralpe, ma in Italia aveva scatenato una bufera; come sempre accadeva, del resto, ed avrebbe continuato tragicamente ad accadere, per tutte le opere pasoliniane, nonché per quasi tutti gli eventi, i gesti, i fatti, spesso criminalizzati o inventati, della vita del Poeta: fino a quando l'assassino dell'Idroscalo non vi mise brutalmente termine, il 2 novembre del 1975.

Per Silvana, l'incontro con Pasolini avvenuto, in un serrato crescendo, fra il 1967 e il 1968, prima con la partecipazione dell'attrice alla fiaba dolceamara La terra vista dalla luna, nell'ambito del film ad episodi Le streghe, poi con il sublime Edipo re, in cui la Mangano era una indimenticabile Giocasta, infine con Teorema era stato il suggello definitivo apposto su quella immagine femminile, misteriosa, ieratica, e, corporeamente, quasi astratta, che l'attrice diventata celebre in un istante, nei panni (assai scarsi) della esuberante mondina, protagonista di Riso amaro (1948, regia di Giuseppe De Santis), aveva perseguito con silenzioso accanimento lungo due decenni.

Silvana, fin dal primo rumoroso successo che l'aveva proclamata Diva a diciott'anni, aveva odiato il proprio corpo come segno ingovernabile di una femminilità troppo esplicita, e che la iscriveva, di diritto, tra le «maggiorate fisiche» allora in gran voga (Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Silvana Pampanini, e le altre...).

E, dal primo momento, si era tenacemente applicata a distruggere, innanzitutto, l'elemento materiale, naturale, per dir così, del suo stesso successo: mangiava sempre di meno (ma all'epoca il fenomeno dell'anoressia era sconosciuto anche ai medici), fumava sempre di più (e milioni di sigarette, alla fine, l'avrebbero uccisa, a 57 anni).

E tuttavia la sua bellezza, come osserva Pasolini nella lettera accorata con cui le si rivolge, intuendo quanto lo scandalo di Teorema l'avesse ferita, non aveva fatto altro che accrescersi.

«Nell'amarezza che provo, e che mi investe tutto – le scrive – [...] ha un ruolo importante la sensazione che il tuo lavoro con me non ti abbia dato la soddisfazione che io speravo. (Tu, infinitamente più «amara» e più saggia di me, non avevi di queste speranze, lo so.) [...]. Ma forse su questa amarezza si fonda la nostra collaborazione [...] così magicamente solidale. Siamo egualmente puntuali e ligi come ragazzini bravi a scuola, non è vero? E abbiamo un ben radicato senso del nostro dovere [...]. Non mi era difficile contemplare tutti questi aspetti della tua natura: puntualità, senso del dovere, lealtà mentre lavoravamo insieme, nel Marocco, a Roma, a Milano. Ed è tutto questo, strano a dirsi, che produce il mistero della tua bellezza. La tua bellezza amara: che si offre, incombente, come una teofania, uno splendore di perla [...]. Resta la realtà della tua lontananza, come una lastra di vetro fra te e il mondo. Anche se non ce lo siamo mai detto (dato il selvaggio pudore), la mia anima era spesso con te, dietro quel vetro».

Silvana Mangano era nata a Roma il 23 aprile 1930. Da padre siciliano e madre inglese: Amedeo, palermitano, faceva il conduttore dei Wagon-Lits, anche sulle rotte internazionali (europee), parlava l'inglese, ed una sera a Londra, al Palais de Dance di Wimbledon, aveva invitato a ballare la bionda Jackie, che arrivava dal verde Sussex, con il sogno di diventare una ballerina del Covent Garden. (Trasmetterà questa sua vocazione frustrata a Silvana, la secondogenita, che infatti fino ai sedici anni, a Roma, frequenta la scuola di ballo della famosa Jia Ruskajia).

Il primo flirt di Silvana, un flirt di quartiere a Roma. Amedeo e Jackie, con i quattro figli, Roy, Silvana, Patrizia e Natascia, vivono in via Mirandola, a San Giovanni. Nasce al Bar dello Sport, in via Taranto: il ragazzo si chiama Marcello Mastroianni; lui ha 22 anni, lei 17.

«Era una ragazza bellissima, piena di temperamento», racconterà Marcello. «Spesso veniva a prendermi in ufficio e tornavamo a casa insieme. In autobus tutti si giravano a guardarla. Io soffrivo, ero molto geloso. Poi, un bel giorno, non venne all'appuntamento».

Sparire, tacere, un modo di essere enigmatico che già si profilava, anticipando la donna misteriosa che verrà, pur nell'esuberanza di un corpo femminile quasi ancora adolescente e, all'apparenza, «sincero»?

Marcello, come «uomo del destino», viene cancellato in un attimo da un'assenza mai chiarita (troppo bello, troppo povero, troppo e prevedibilmente infedele?).

Lo rimpiangerà, un giorno, Silvana? Certo si è che la Mangano non accetterà di recitare al suo fianco, come voleva Federico Fellini, ne La dolce vita. E si parlò, nella ‘Hollywood sul Tevere' di quegli anni gloriosi del cinema italiano, di una forte gelosia «retrospettiva» di Dino De Laurentiis.

E poco dopo quell'addio non pronunciato, ci fu l'incontro con Dino: lui sì, per Silvana, l'uomo di un «Destino» con la D maiuscola, l'Autore, per la mondina di Riso amaro, di un futuro «eccezionale» razionalmente accettato ed orgogliosamente difeso davanti agli altri: ma, forse, nell'angoscia o almeno nell'inquietudine che avrebbe fin dal principio minato una vita come quella di Silvana, ricca di tutti i privilegi possibili ed immaginabili (ed anche di più), sempre intimamente contestato (Nel film ad episodi, firmato da Alessandro Blasetti, Io, io, io... e gli altri, in cui il regista racconta, sotto forma di parabola, la «vera» vita di Silvana Mangano, l'attore Walter Chiari, nel ruolo d'uno scrittore-giornalista che fa un'inchiesta sull'egoismo umano, decide di mettersi nei panni del marito della protagonista, una grande star cinematografica, per riuscire a capire il rancore di lei verso un uomo, «che le ha dato tutto». E le chiede: «Dimmi, che cosa ti ho tolto? Non mi dirai che avevi ideali domestici?»).

Il matrimonio con Dino De Laurentis Silvana lo ha accettato soltanto dopo ben sei richieste di matrimonio, e la rivelazione a un giornalista straniero che sul set di Riso amaro lei chiamava il produttore «Er padroncino», fa esplodere le contraddizioni cruciali della donna.

Silvana vive in una cornice di fasto che soltanto la sua caparbia ricerca dell'eleganza «nuda», autentica, può salvare dal cattivo gusto... E la salva: dalla villa sull'Appia Antica, acquistata dai Torlonia, alla villa sulla Costa Azzurra, a Roquebrune, infine a Villa Catena, a Poli, dove «La regina pentita» regna in un isolamento regale. Una pattuglia scelta di amici, Mauro Bolognini, Alberto Lattuada, e Monicelli, Comencini, De Sica, Roberto Cappucci, Vittorio Gassman testimonierà variamente, nel tempo, l'itinerario del lusso coniugato alla devozione quasi umile per la cultura, che la Diva si sta accanitamente scavando... A un certo punto, Dino finirà col lamentarsi delle letture della moglie che, dice, gli fanno venire il mal di testa: e cita, ad esempio, Processo e morte di Socrate.

Tra una gravidanza e l'altra – nascono quattro figli, Veronica, Raffaella, l'amatissimo unico maschio, Federico, ed infine Francesca – Silvana continua a fare film, soprattutto perché è il marito, diventato il Tycoon cinematografico italiano, a chiederglielo. (E non solo lui: confesserà infatti, l'attrice, in una delle sue rarissime interviste, data, e non per caso, a Camilla Cederna: «Da ragazza facevo del cinema e i miei arricciavano il naso. Adesso che non voglio più farne, sono loro che mi spingono. Mi parlano perfino dei doveri che ho verso il pubblico»).

La contraddizione maternità-lavoro, una contraddizione autentica, perché, nonostante i mille aiuti che potrebbe avere, è lei stessa ad accudire i bambini, ad allattarli, a far loro il bagno, appena le è possibile, le risulta lacerante; ma non sarà invece, la maternità, un rifugio contro le sue insicurezze professionali, contro una “inadeguatezza” che le sembra incolmabile?

Pasolini prima, Visconti poi (nel 1971, il grande regista disegnerà per lei il misterioso e affascinante personaggio della madre di Tazslo, in Morte a Venezia) – e, su un altro piano, l'amicizia di Alberto Sordi, che la convincerà a provarsi nel genere comico – non bastano ad acquietarla.

E forse, a conclusione di questo sommario ritratto, si potrebbe azzardare una ipotesi: che negli anni in cui Silvana Mangano ha vissuto mietendo successi, non esistevano ancora gli strumenti per leggere, in una chiave non esclusivamente “caratteriale”, ma piuttosto storica e culturale, le contraddizioni che insidiavano una esistenza femminile pur eccezionalmente fortunata.

Almeno fino al giorno maledetto, il 14 luglio 1981, in cui il piccolo aereo da turismo di Federico, precipita tra i ghiacci dell'Alaska.

E da quel giorno, Silvana si lascia morire... Nel 1985 si separa da Dino, e Mauro Bolognini dirà: «Il buio finale del rapporto tra Dino e Silvana deve essere stato profondo, perché c'era stata molta luce prima...».

Il suo ultimo film sarà Ociciornie, dove, per la prima e l'ultima volta, ritroverà sul set un Marcello Mastroianni che la maturità avanzata ha plasmato in grandissimo attore.

Le cronache mondane parlano di un happy end, (titoli dei rotocalchi: “Silvana sposerà Marcello?”), che la vita raramente concede per la seconda volta. La Mangano è divorata dal cancro ai polmoni (Mastroianni la seguirà nello stesso destino dopo pochi anni).

E prima di morire, il 16 dicembre 1989, in una clinica di Madrid, chiede alle figlie di rendere pubblica l'origine del suo male: «Sono stata uccisa dal tabacco»

Per quel suo «selvaggio pudore», svelato da Pier Paolo Pasolini, nella celebre lettera aperta”, deve essere stato un gesto quasi eroico.

Ma il Poeta non aveva parlato anche del suo “senso del dovere” e della sua “lealtà”?

Adele Cambria

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