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Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011) » Pozzi Antonia  
1912 - 1938
 


 

 
Antonia Pozzi sulle Alpi Ossolane, 1937 - Foto cortesia Archivo Pozzi, Pasturo (Lecco), Congregazione Suore del Preziosissimo Sangue, Monza  

Antonia Pozzi nasce a Milano nel 1912, da una famiglia agiata e di alta tradizione culturale. La madre è la contessa Lina Cavagna Sangiuliani, che discendeva da Tommaso Grossi, poeta, romanziere, amico del Porta e del Manzoni e protagonista della vita intellettuale milanese nell'epoca romantica.

Il padre è un facoltoso avvocato, Roberto Pozzi. Il destino che la fa nascere nel privilegio della grande borghesia non è però per lei felice. La madre è assente, distratta da mille impegni mondani; il padre è un uomo rigido, severo, che ha un ideale di figlia a cui Antonia stenta ad avvicinarsi.

Nelle immagini che ce la mostrano giovinetta, spiccano gli elementi distintivi della sua classe sociale: indossa camicie candide dai grandi colletti inamidati, blazer di gran taglio, porta una scriminatura larga e perfetta che divide in due bande i suoi capelli ricci e relativamente corti. Un segno di eccentricità è forse la cravatta annodata al collo: un enigma i suoi occhi interroganti in un viso malinconico, che può sembrare ora molto bello, ora ambiguamente mascolino.

Uno dei fatti capitali della sua breve esistenza è il suo innamoramento, negli anni in cui frequenta il liceo Manzoni, per il suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi. Le poesie che oggi portano la dedica “ad A. M. C. ” ci parlano di questo amore felicissimo e infelice, pudico e appassionato, innocente e contrastato. Contrastato al punto che il padre, rimaneggiando, tagliando, correggendo le poesie della figlia pubblicate postume, aveva ogni volta cancellato quella dedica, con la furia maldestra con cui si può cancellare un ricordo doloroso.

La famiglia Pozzi non poteva tollerare quel legame per due ragioni: la troppa differenza di età e, meno confessata ma non meno dirimente, la troppa differenza di censo. Che avvenire sociale avrebbe dato ad Antonia un povero professore di lettere? Eppure, per Antonio Maria Cervi una straordinariamente precoce poetessa diciassettenne scrive già versi memorabili, fuori da ogni scuola, intrisi di una verità splendente e dolorosa:

«Col mio pianto/ vitreo, pari a lente che non pecca, / io specchierò e raddoppierò le stelle». Pasturo, in Valsassina, dove la famiglia ha comperato una villa settecentesca, diventa il luogo dove Antonia si raccoglie e scrive. Nel 1930, comincia a frequentare l'Università di Milano.

Vi trova un ambiente di grande fervore, dove sta maturando una classe intellettuale che segnerà in profondità la cultura italiana del Novecento: Antonio Banfi, il filosofo sotto la cui guida scriverà la sua tesi di laurea in estetica, Luciano Anceschi, il grande maestro della critica che accompagnerà con la sua riflessione di poetica l'avventura creativa del secolo, Enzo Paci, che introdurrà in Italia l'esistenzialismo e Husserl, Remo Cantoni, per cui proverà una passione, Vittorio Sereni, il poeta della linea lombarda.

Studia, legge, viaggia, continua a rinchiudersi a Pasturo. E scrive. Dalle lettere alla nonna del 1938 conosciamo la sua intenzione di rinnovare con un romanzo storico sulla Lombardia la tradizione dell'avo Tommaso Grossi. Ma alla fine dello stesso anno, il 3 dicembre, quando le ore di luce precipitano e quelle di buio sono più lunghe e inquiete, Antonia esce in bicicletta e va verso l'abbazia di Chiaravalle, giunta nel verde smonta, si lascia cadere sull'erba come tante volte aveva fatto a Pasturo, ma questa volta ingoia barbiturici in quantità sufficiente ad ucciderla.

La sua prima raccolta di poesie, Parole, uscirà postuma nel 1939, con una prefazione di Eugenio Montale. I lettori vengono messi in guardia, non c'è sentimentalismo nelle poesie della Pozzi, ma schiettezza e ricerca della verità, come la giovane età dell'autrice esigeva. A questa prima edizione ne seguirono altre ampliate. E furono pubblicati anche un saggio intitolato Flaubert. La formazione letteraria (1830-1856), Diari e carteggi.

Quanto basta per fare di Antonia Pozzi una voce di donna alta ed estrema nel panorama della cultura novecentesca, una voce che disse: «Vivo della poesia come le vene vivono del sangue», e cioè proclamò della poesia, con più coraggio di tanti altri, la necessità vitale e insopprimibile.

Giuseppe Conte

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