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Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011) » Pane Gina  
1939 - 1990
 

 

 

Gina Pane è un'artista che lavora negli anni Settanta realizzando delle “azioni” in cui è protagonista il suo corpo, e fa parte di una corrente artistica chiamata Body Art.

Nasce a Biarritz nel 1939 da padre italiano e madre tedesca. Da Torino dove vive l'adolescenza, si sposta a Parigi per seguire i corsi dell'Ecole des Beaux Art, e dopo le prime esperienze di scultura, decide di esprimersi attraverso il corpo. Come altri artisti di quel periodo, da Acconci a Luthi, da Rainer a Gilbert end George, la Pane sceglie il proprio corpo come fosse un territorio estraneo, esercitando un distacco da sé e contemporaneamente sollecitando emozioni molto intime nello spettatore attraverso l'allusione alle esperienze del suo personale vissuto e all'inconscio.

Il tema del corpo è sempre stato al centro della sensibilità femminile, se pur con forme diverse è stato spesso legato ad una ossessione nelle fantasie delle donne.

Il trattare il corpo come un oggetto su cui si può intervenire è già una forma di alienazione, Gina Pane va oltre e mette in scena la rappresentazione di questa scissione tra la persona-artista e il suo territorio-corpo.

Il suo agire assume una forma di violenza, quando con una serie di movimenti ripetuti, quasi come un automa, l'artista compie il gesto di tagliarsi le braccia con una lametta, o si provoca dei piccoli fori sulla pelle, dove infilerà delle spine di rosa. Lo spettatore è costretto a vivere le esperienze dell'artista assistendo inerte, ma non può sentirsi escluso, è partecipe sentendosi esso stesso vittima ed esecutore.

Insieme a queste “azioni”, l'artista, con un distacco sorprendente, opera una pausa e ferma il tempo con delle foto scattate da Françoise Masson, sua fedele collaboratrice, che preserva le tracce dell'accaduto durante l'“azione”. In questo modo le immagini vengono fissate da una cinepresa o da una sequenza fotografica, diventando la testimonianza dell'opera e l'opera stessa.

Spesso la parte visiva è accompagnata da didascalie che tendono a spiegare il significato di quella esperienza simbolica e valgono anche come una dichiarazione di poetica.

Gina Pane scrive: «Il corpo che è progetto/materiale/esecutore di una pratica artistica, trova il suo supporto logico nell'immagine, attraverso il mezzo fotografico».

Nelle “azioni” dell'artista il legame è sempre con i suoi ricordi, con le esperienze vissute in un tempo antecedente al tempo in cui opera, spesso è l'infanzia che viene rielaborata con la presenza di giochi di costruzioni in legno. Nel lavoro di Gina Pane c'è tutta la consapevolezza e la memoria della sua vita, come in molti artisti di questo periodo. L'espressione artistica è tutt'uno con la vita stessa, secondo la regola per cui “l'arte è vita, la vita è arte”.

Già all'inizio degli anni Ottanta non lavora più sul suo corpo, che resta il tema centrale, rinuncia ad agire in prima persona, ma con coerenza elabora il tema dell'assenza del corpo. L'artista è scomparsa nel 1990. Nelle mostre vediamo degli ambienti in cui le tracce della sua esistenza sono protagoniste. Crea delle grandi teche di legno, dove troviamo come delle reliquie, dei frammenti di vita: fotografie, disegni, proiezioni di azioni precedenti, giocattoli, stoffe di velluto, rose, vetri. Testimonianze di una presenza corporale, lievi segni di qualcosa che è passata di là, ed è altrove. È un continuo operare sulla memoria.

Come spettatrice partecipai a una delle “azioni” nella Galleria Comunale di Arte Moderna di Bologna nel 1976, intitolata «Io mescolo Tutto» e rimasi molto turbata. Fu in quella occasione che conobbi Gina Pane. Da allora seguii la sua attività attraverso gli articoli delle riviste d'arte Data e Flash Art; Gina era molto nota in ambito internazionale. In seguito a quel primo incontro mi venne a trovare a Roma alla galleria Arco d'Alibert, dove io lavoravo. Parlammo a lungo, aveva un aspetto minuto e gentile.

Daniela Ferraria

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