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Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011) » Bianchi Bianca  
1914 - 2000
 


 

 

"Vado a Roma qualche giorno prima del 25 giugno [1946]. Trovo una camera alla pensione California vicino a Porta Pinciana. La mattina dopo scendo a piedi, attraverso via Veneto, piazza Barberini e via del Tritone, fino a Montecitorio. Voglio prendere confidenza con la città. Roma mi presenta una bellezza disarmante. (…) Mi è impossibile pensare. Persino il colore dei palazzi mi confonde: l'ocra o la pietra hanno ceduto il posto a un rossiccio tutto particolare che mi ricorda i colori di Giotto o un prato di risolacci appassiti. L'animo è preso dalle fontane, dalle vie larghe e tortuose dalle piazze immense, costruite con armonia disinvolta quasi da sembrare nate dal soffio divino vivificante ed eterno. La confidenza con Montecitorio è una conquista più difficile ancora. Me ne vado su e giù per il transatlantico, rispondo alle domande dei giornalisti curiosi, mi siedo sulle poltrone disposte ai lati, leggo i giornali in sala di lettura e non mi azzardo ad allontanarmi. Mi dà l'impressione di trovarmi in un labirinto e mi sento di nuovo una ragazza di campagna. Sono molto tesa quando entro per la prima volta nell'aula della Camera. Sento gli sguardi degli uomini su di me. Cerco di osservare gli altri per liberarmi dal senso di disagio. Lentamente entrano i deputati eletti nelle liste di quindici partiti: li guardo attraverso l'emiciclo, prendere posto secondo una geografia politica molto rigida. (…) Ci sono due porte d'ingresso in aula: una a sinistra, una a destra. I compagni mi hanno avvertito di non sbagliare per non trovarmi mescolata a “reazionari politici” e tradire l'ideale. Io avevo già sbagliato: ho attraversato l'emiciclo e mi sono seduta nel terzo settore a sinistra, terzo banco”.

Così, anni dopo, Bianca Bianchi descriverà l'arrivo a Roma e il suo ingresso a Montecitorio il 25 giugno 1946, quando si aprirono i lavori dell'Assemblea Costituente.

Per tutti era un giorno importantissimo: con il fascismo e la guerra ormai alle spalle, la Repubblica iniziava il suo cammino: “mezzo migliaio di uomini, tra cui una ventina di donne, stabiliranno in legge le regole della nostra umana esistenza, le regole della esistenza di più di quaranta milioni di persone”.

Insegnante, membro attivo della Resistenza, Bianca Bianchi aveva all'epoca 32 anni: la sua elezione a Firenze, nelle file del Partito socialista, era stata un vero plebiscito, avendo ottenuto un numero di preferenze doppie rispetto a quelle di Sandro Pertini. Contemporaneamente, Bianca fu eletta anche al primo Consiglio Comunale del capoluogo toscano.

Esempio non raro di politica donna che ebbe non pochi problemi già nel suo stesso partito, in una pagina molto interessante Bianca ha raccontato quanto coraggio e tenacia le furono necessari per intervenire per la prima volta in Aula, un diritto che le fu contestato in nome di non scritte regole politiche, e, evidentemente, perché donna (“penso a nonno Angiolo, a quanta verità mi disse quando stavo per intraprendere questo lavoro: “tu sei una donna”).

Inizialmente la Bianchi non capisce cosa stia succedendo, “poi, metto insieme il mosaico di parole e di sguardi e: Dio, ce l'hanno con me. Sono io l'accusata. Non vogliono che parli sulle dichiarazioni del Governo. Chi mi ha autorizzato? Ho avuto forse l'incarico dal partito? Non so che ogni intervento in aula deve essere discusso e approvato dagli organi direttivi? (…). Non si può parlare quando si vuole (…). Posso essere brava a fare un comizio ma, che diamine, parlare alla Camera è un'altra cosa (…). La più accanita contro di me è Lina Merlin: ma guarda, penso, una donna contro un'altra donna, dovrebbe sostenermi, aiutarmi. Sono ferita nell'amor proprio e decido di non permette nessun boicottaggio su di me. (…) è diventata una sfida. Ingoio saliva amara, la pelle mi brucia addosso come fosse stata frustata, ma resto in silenzio. Non siamo i rappresentanti di coloro che ci hanno dato il voto? Per loro parlerò”.

Decisa a non mollare, Bianca Bianchi affronta Saragat. “Lo aggredisco quasi. ‘Potevi avvertirmi che sarei stata la pietra dello scandalo. Tu sapevi che mi ero iscritta a parlare. Io non amo recitare commedie in mezzo a fantasmi intangibili'. (…) ‘Devi capirli (…), Bianchina, il partito è un divoratore delle singole volontà. Ma stai tranquilla (…) tu parlerai perché ti farò parlare io, ricordalo, sono il presidente. Ti chiamerò alla tribuna martedì pomeriggio. Preparati bene".

Contenta del risultato ottenuto, ma comunque amareggiata dalle logiche politiche, la Bianchi aspetta con ansia il 22 luglio 1946. “Ora ho paura, tanta paura. Ho l'impressione che dalla gola serrata come un pugno non esca neppure una parola. ‘Ha chiesto la parola l'onorevole Bianca Bianchi: ne ha facoltà'. La voce di Saragat mi risveglia dal torpore. Scendo dallo scanno come una sonnambula: gli occhi e i mormorii di tutti sono su di me. Salgo in tribuna. Appena si fa silenzio comincio a parlare con calma e saggezza come si addice a un'aula parlamentare, quasi che una sapienza antica guidi il pensiero che non ha più paura. Quando finisco il presidente si alza, viene verso di me, mi stringe la mano e si congratula: l'assemblea si leva in piedi con un applauso prolungato. I miei colleghi di partito mi accolgono sorridenti con gli occhi umidi di triglia morta”.

È un trionfo: il giorno dopo l'Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini mette in prima pagina l'evento. Colpito più dalla bionda capigliatura dell'oratrice che dal merito del suo intervento (in materia di scuola), il giornale titola “a Montecitorio nasce una prima attrice giovane”.

Rieletta nel 1948, Bianca va ricordata soprattutto per il suo tenace impegno a favore di una legislazione non discriminatoria nei confronti dei figli nati fuori del matrimonio. Scelse quali fidate collaboratrici Teresita Sandesky Scelba e Jolanda Torraca, esponenti di vecchia data del CNDI (Consiglio Nazionale Donne Italiane), collegando così le proposte sui figli illegittimi al femminismo di primo Novecento e alla sua battaglia contro il divieto di ricerca della paternità.

Già nell'aprile del 1949, la Bianchi presentò la prima proposta di riforma in materia di illegittimità con un progetto che, includendo vari aspetti della questione, mirava in particolare ad allargare le eccezioni al divieto di ricerca della paternità previste dal codice civile. Sebbene non si chiedesse ancora piena libertà nella ricerca, né si ambisse a parificare filiazione legittima e illegittima, la proposta sollevò ugualmente opposizioni e critiche (tra queste, vi fu il durissimo intervento di Giovanni Spadolini, apparso sulle pagine de Il Messaggero del 23 maggio 1950).

Nel travaglio interno al suo partito, la Bianchi seguirà poi il gruppo che, con Saragat, Silone e Zanardi, formerà il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. Nella seconda metà degli anni Sessanta, Bianca Bianchi fu vice sindaco di Firenze, con Luciano Bausi (1921-1995).

A triste dimostrazione di quanto il rapporto tra le donne e i partiti sia stato sempre difficile nell'Italia repubblicana, a distanza di anni, Bianca Bianchi racconterà che ai tempi della Costituente le fu chiesto “di firmare una lettera di dimissioni preparata in antecedenza, per cedere il posto a un socialista che ci sventolava sempre davanti al naso la tessera di anzianità di iscrizione al partito, come se l'anzianità fosse sinonimo di intelligenza”.

Giulia Galeotti

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