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Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011) » Atria Rita  
1974 - 1992
 


 

 
Rita Atria  

Quando ha appena 11 anni, la mafia le uccide il padre Vito, quando ne sta per compiere 17, i boss le uccidono il fratello Nicola. Lei, cresciuta in una solida famiglia di mafia, decide di vendicare l'uno e l'altro. Collabora con la giustizia, fa arrestare decine di spacciatori, spedisce sotto inchiesta un notabile DC del suo paese, appena eletto a Montecitorio.

È la piccola grande rivoluzione compiuta da Rita Atria a Partanna, nel cuore del Belice siciliano, la ragazza contro la mafia che si ribella all'omertà, ma finisce per pagare la sua scelta con la morte. Una storia tragica che molti hanno paragonato a quella di Antigone, simbolo della disobbedienza solitaria, che in nome di un'etica ribelle, sfida la legge dei padri pagando la coerenza con la vita.

Gli inquirenti la chiamano “la mafiosa in gonnella” perché Rita è un'adolescente decisa come una piccola capobanda: le sue rivelazioni fanno tremare i picciotti e i potenti del paese.

Il suo modello è la cognata, Piera Aiello che, subito dopo l'uccisione di Nicola Atria, ha raccontato agli inquirenti fatti e misfatti della mafia paesana. Ma la collaborazione giudiziaria, in quel buco di Sicilia, è sinonimo di infamità. Rita questo lo impara subito a sue spese. Ora che è parente di una pentita, anche il suo fidanzatino Calogero Cascio la lascia, da un giorno all'altro, con la più ovvia delle spiegazioni: «Non posso stare – le spiega – con la cognata di una spiona».

Sola più che mai, Rita si ritrova nella sua casa di via Pergole 24 con la madre, Giovanna Cannova, una donna accecata dalla paura, spenta dalla rassegnazione. Rita annota paure e speranze in un diario, che raccoglie l'intero percorso della sua emancipazione.

Sogna di lasciare la Sicilia, sogna una vita senza mafia e senza violenza. Finché la mattina del 5 novembre del 1991, invece di recarsi a scuola, si presenta nell'ufficio del pm di Sciacca Morena Piazzi. «Voglio collaborare – dice – dovete ascoltarmi». La baby-collaboratrice ha una memoria d'elefante, con gli occhi di bambina ha assistito a riunioni, conversazioni, decisioni criminali. Fioccano in paese le maxiretate: decine di picciotti, per colpa di quella Rita, finiscono nelle patrie galere con l'accusa di traffico di droga.

Ma nel mirino della ragazza-pentita finisce anche il notabile DC Vincenzino Culicchia, ex sindaco di Partanna, ex deputato al Parlamento siciliano, che risulta indagato per associazione mafiosa e omicidio. Secondo Rita, fu lui a ordinare l'omicidio del vicesindaco Stefanino Nastasi, astro nascente della Dc locale, ucciso a Partanna il 6 dicembre del 1983, subito dopo aver trionfato nelle amministrative con uno strabiliante bottino di voti. «Credo proprio che mai Culicchia andrà in galera – scrive Rita nel suo diario – ha ucciso, rubato, truffato, ma mai nessuno riuscirà a trovare le prove». Profezia puntualmente confermata. Il notabile è stato prosciolto dall'accusa di omicidio ed è stato assolto da quella di associazione mafiosa.

Per sottrarla alla vendetta trasversale della mafia, Borsellino fa prelevare Rita e la porta al sicuro in un rifugio lontano dalla Sicilia. La “mafiosa in gonnella” viene portata a Roma, nell'appartamento di Piera Aiello. Comincia per lei una vita completamente nuova, nella grande città così diversa dal minuscolo paese dove è cresciuta. Borsellino, che ha una figlia della sua stessa età, incontra spesso Rita e si affeziona a lei.

In primavera, durante una visita al Museo Vaticano, la ragazza conosce un militare di leva, Gabriele, di cui s'innamora. È per lei un sostegno importante, dopo che la madre per paura le ha voltato le spalle, minacciandola di morte. Con Gabriele, Rita conosce i primi svaghi, la discoteca, la pizzeria, quelle evasioni che a Partanna le venivano negate dalla madre gelosa. Ma la felicità dura poco. La strage di Capaci, il 23 maggio del ‘92 e la strage di via D'Amelio, il 19 luglio, segnano la fine dei due uomini che per Rita erano il simbolo della resistenza anti-mafiosa. Con la morte di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, la ragazza sprofonda nella paura e nell'angoscia.

Più di tutti le manca Borsellino, l'uomo che dopo la morte del padre e del fratello, dopo il ripudio della madre, è diventato per lei unico punto di riferimento. Una settimana dopo la morte del “suo” giudice, il 26 luglio, alle 17,55 di una domenica assolata, la ragazza contro la mafia si lancia dal balcone del settimo piano della sua casa romana. Sul muro di una stanza, a matita, lascia scritto: «Il mio cuore senza di te non vive».

Sandra Rizza

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