Navigazione: » Italiane » Biografie » Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011)
Motore di ricerca

Cerca all'interno
dell'archivio

   Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011)
  Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011)
Seleziona una lettera:

0-9 A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y Z
  Gli articoli più visualizzati
Bandiera Italiana
  Sito ottimizzato
Ottimizzazione

Sito ottimizzato per una risoluzione di 1024x768px o superiori.

Browser/applicazioni consigliate

  • Firefox 3+
  • Crome - tutte le versioni
  • Internet Explorer 7+
  • Opera 9+
  • Safari 5+
  • Adobe Acrobat Reader o altro lettore pdf (per visualizzazione documenti)
 

Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011) » Aglietta Adelaide  
1940 - 2000
 


 

 
Foto cortesia Associazione radicale Adalaide Aglietta, Torino  

Perché una giovane signora della buona borghesia torinese (forse la borghesia che con più convinzione ha incarnato il proprio ruolo e con più tenacia ha difeso le proprie tradizioni) decide un giorno di lasciare la bella casa in collina con vista sulla città, una sicura e protetta vita matrimoniale, un'invidiabile posizione sociale, per dedicarsi anima e corpo alla politica?

E nemmeno scegliendo un vero partito, un luogo rispettabile capace di offrire qualche prospettiva di carriera, ma l'allora impresentabile Partito Radicale, sparuto gruppo di diversi (“di froci e di puttane” ripeteva con un pizzico di compiacimento Marco Pannella) al seguito di un leader decisamente anomalo.

Si potrebbe ipotizzare la noia dell'essere moglie, il fascino indiscreto della trasgressione, il traino di un amore o di un'amicizia, oppure un'attualizzazione di quella voglia di impegno sociale che in altri tempi avrebbe spinto la nostra eroina verso le Dame di San Vincenzo.

Invece fu, pare, la visione di un film di Autant-Lara, Non uccidere, storia di una problematica obiezione di coscienza, a sollecitare la spinta, dunque etica prima che civile, che nel ‘74 la portò ad affacciarsi nella sede radicale di via Bonafous.

La nonviolenza – da non confondersi con il pacifismo – era la singolare caratteristica di un partito che con gli scioperi della fame, la disobbedienza civile e la resistenza passiva riusciva a costituire l'unica vera alternativa a una sinistra extraparlamentare tetramente affascinata dal marxismo-leninismo e dalle scorciatoie rivoluzionarie. Nel PR torinese Adelaide troverà compagni come Angelo Pezzana, storico fondatore del Fuori, e Giovanni Negri, che sarà poi, anche lui, segretario nazionale del partito.

Adelaide aveva un naturale understatement estetico, una sobrietà contraddetta dallo sguardo scuro e intenso, da un aspetto da Anna Magnani dei quartieri alti. Il volto affilato sembrava esprimere un'interiore sofferenza, una passionalità appena trattenuta. Si trovò subito in prima linea nelle campagne per il divorzio e l'aborto, diventando segretaria regionale, più che altro perché, come candidamente ammetteva anche lei, non dovendo lavorare aveva molto tempo libero. Ignorava quasi tutto della politica e dei suoi trucchi, ma scoprì in fretta lo straordinario tempismo radicale, la capacità di sfruttare gli interstizi della comunicazione mediatica e degli appuntamenti politici.

Raccontano gli amici che rimase assai sorpresa dall'arrivo in sede, qualche giorno prima del voto referendario sul divorzio, di un gran pacco di copie del quotidiano radicale, Liberazione, con un titolo gigantesco: “Il no ha vinto!”. Non potendo entrare in gara con i giornali a diffusione nazionale, Pannella aveva investito tutto sulla vittoria divorzista, facendo stampare e distribuire in anticipo il giornale. Così, Liberazione fu il primo quotidiano a riportare i risultati del voto, battendo ogni concorrenza di mercato; Adelaide stupiva, ma imparava.

Nel ‘76, in piena ondata femminista, il partito decise di puntare sulle donne, inserendole in testa alle liste elettorali. Lei fu eletta, ma si dimise in favore di un compagno che aveva un'esperienza politica più antica e che era stato recluso a lungo nelle carceri militari perché obiettore.

Intanto il suo matrimonio con Marco Rocca, già in crisi, era finito. La separazione, traumatica come tutte le separazioni, sfocerà però in una lunga amicizia, in una solidarietà che porterà l'ex marito a diventare attivo sostenitore, anche lui, del partito che gli aveva “rovinato” la famiglia.

Eppure gli inizi erano stati duri, anche perché Adelaide aveva preso una decisione drastica, lasciando le due amate figlie a Torino con il padre, e stabilendosi a Roma. Il trasferimento si era reso necessario perché nel frattempo, al Congresso di Napoli del ‘76, era stata eletta segretaria nazionale: la prima, e finora l'unica segretaria di partito in Italia, se si eccettua la recente parentesi di Grazia Francescato come portavoce dei Verdi.

La segreteria Aglietta copre uno dei periodi più cupi e turbolenti del nostro paese, dall'uccisione di Giorgiana Masi al rapimento di Aldo Moro, e il PR si trovò in scomodissima posizione, nel cuore della turbolenza. I radicali lanciarono un grande attacco contro il compromesso storico e i governi di unità nazionale, con la raccolta di firme per otto referendum. I quesiti referendari individuavano punti molto delicati per il sistema partitocratico e consociativo, come la legge Reale sull'ordine pubblico e il finanziamento pubblico dei partiti, e spostavano il confronto fuori dalle mediazioni politiche, direttamente nel paese.

Perché le firme valide fossero sufficienti era necessario raccoglierne quasi un milione per ciascun referendum: il compito, per un partito “leggero”, poco strutturato, implicava uno sforzo organizzativo enorme, che venne condotto miracolosamente in porto. In quegli anni la giustizia si andava trasformando in una frontiera politica, e si cominciò a delineare una netta divisione tra chi difendeva ad ogni costo il garantismo liberale e chi confondeva la fermezza con il giustizialismo, le leggi speciali, l'uso dei cosiddetti pentiti.

Adelaide Aglietta, in piena coerenza con la motivazione profonda dei suoi esordi – le garanzie per gli obiettori di coscienza – assunse quindi il tema della giustizia, in tutti i suoi aspetti, come prioritario.

Citiamo, alla rinfusa, alcune delle sue battaglie: il lungo digiuno per la vivibilità delle carceri, a favore degli agenti di custodia; lo scontro, assai duro, con l'allora ministro degli Interni, Cossiga, sulle responsabilità della polizia nella morte di Giorgiana Masi; la pressione in favore della trattativa durante il sequestro di Mario D'Urso da parte delle Brigate Rosse (sequestro che grazie all'impegno radicale, in particolare di Leonardo Sciascia e Lino Jannuzzi dai microfoni della radio, ebbe come esito la liberazione del prigioniero); e soprattutto, come una ciliegina sulla torta, l'incarico di giurata popolare al primo processo contro le Brigate Rosse, a Torino.

«Non so come il sorteggio dei giurati avvenga [...]; fatto sta che era proprio un bel caso il venir fuori del nome di Adelaide Aglietta» scrive Sciascia, avanzando, fra le righe, qualche dubbio circa l'effettiva casualità di quell'indicazione.

Comunque, la segretaria del PR accetta, dopo che più di cento cittadini hanno rifiutato, permettendo la celebrazione del processo. Tra gli involontari primati di Adelaide c'è anche questo, di essere stata la sola segretaria di partito a far parte di una giuria popolare così significativa dal punto di vista etico, civile e politico.

È il 1978. Durante il processo, in cui sono imputati i capi storici delle BR, tra cui Renato Curcio, il clima a Torino è di concreta e tangibile paura. I giornalisti si asserragliano in albergo, evitando di uscire di sera. La città è blindata, a fatica riesce ad esprimere una giuria popolare e a fornire i difensori d'ufficio, necessari a far andare avanti regolarmente le udienze: pochi mesi prima i terroristi hanno assassinato anche il presidente dell'Ordine degli avvocati, Fulvio Croce, e gli agguati mortali si susseguono a ritmo impressionante.

Tenendo sotto scacco Torino le BR mirano a dare di sé un'immagine di vero e proprio contropotere, in grado di paralizzare le istituzioni e la democrazia.

Adelaide, nonostante le ricorrenti minacce di morte, rifiuta, con grande coraggio, la scorta: è, per lei, l'unica possibile politica della fermezza, quella che richiede che in gioco ci sia la propria pelle e non quella altrui. D'altra parte la militanza nonviolenta le ha insegnato proprio questo: la necessità di “dare corpo” (il proprio) alle idee, con i digiuni, le autodenunce, la disobbedienza civile, e soprattutto la capacità di attribuire al gesto non solo un valore simbolico o di testimonianza, ma il peso e il significato di un atto politico.

In questa impostazione rientra anche una iniziativa di Adelaide in apparenza assai più frivola: per dare una mano alle finanze del partito, perennemente in crisi, accetta di offrire la sua immagine per la pubblicità di un'azienda di moda. “Né strega né madonna, solo donna” è la frase chiave della campagna, che echeggia gli slogan femministi urlati nelle piazze. Molto prima che gli stilisti diventassero personaggi di culto e che la politica fosse costretta a bazzicare sfilate e a pubblicizzare le firme del made in Italy, Adelaide sorrideva dai rotocalchi posando in tailleur.

Eppure, niente è stato più lontano da lei della voglia di protagonismo, dell'ambizione di apparire, frequentare, occupare la scena. Fino alla fine le è rimasto appiccicato addosso qualcosa di schivo, un velo di riservatezza con cui ha vissuto ogni privata trasgressione – per esempio il lungo legame con Giovanni Negri, di molti anni più giovane di lei – e anche la responsabilità dei suoi ruoli, sempre giocati con una punta di timidezza, anche se sgridava, litigava, comandava.

La tenacia, e una certa rigidità di modi, si alternava alla lacrima facile (difetto che non era ancora diventato virtù, in politica, e per cui gli amici talvolta la prendevano bonariamente in giro).

Adelaide più di molte altre ha incarnato la contraddizione invisibile tra l'essere donna – e “signora” – e la vita politica. O forse era solo colpa dei suoi lineamenti scavati, delle parentesi che le segnavano gli angoli della bocca, se nella sua caparbietà a buttarsi nella mischia leggevi anche una forzatura, una tensione irrisolta ad altro.

Si era, appena possibile, ripresa le figlie, ma certo il partito radicale era un mondo a parte, con accentuate tendenze endogamiche e una solida coesione comunitaria all'interno del nucleo storico: tutti insieme dalla mattina alla sera e oltre, uniti da motivazioni fortissime e da uno stile di vita assai libero ma a modo suo disciplinato, condiviso solo dai membri del gruppo. Chissà se Francesca e Alberta hanno davvero accettato quello strano “gruppo di famiglia”, o hanno rimpianto la casa in collina e la rassicurante banalità del quotidiano.

Le elezioni del ‘79 – un grande successo per i radicali, che eleggono 18 deputati – portano Adelaide in Parlamento, dove continua a occuparsi prevalentemente di giustizia, in particolare con la lunga vicenda di Enzo Tortora, ma anche con le iniziative contro le carceri speciali, o il referendum per la responsabilità civile dei magi strati. Diventata capogruppo, ha buoni rapporti con Bettino Craxi, pessimi con Nilde Jotti, allora presidente della Camera e incontrastata prima donna della politica italiana.

Poi la dispersione del PR in più liste elettorali, voluta da Pannella, la farà approdare nell'88 nei Verdi Arcobaleno, e quindi al Parlamento europeo. Il Partito Radicale si sgretola, diventa altro da sé, seguendo l'imperscrutabile volontà politica del suo leader. «Adelaide non è mai stata un'ambientalista di quelle fissate con la foca monaca – commenta Giovanni Negri – piuttosto è rimasta se stessa, una radicale traslata nei Verdi, dove ha continuato le antiche battaglie; sempre con grande nostalgia del partito che fu».

L'ultima battaglia di Adelaide è quella contro il tumore al seno. Anche questa è vissuta con sobrietà e con coraggio, come una delle tante lotte politiche combattute a fianco degli amici di sempre. È, però, una lotta perdente: Adelaide muore il 20 maggio 2000, a Roma.

Lascia un'eredità apparentemente esemplare (esiste anche una associazione radicale a suo nome) ma nel fondo contraddittoria, ambigua come il suo sguardo tormentato di donna vera.

Neanche la sua esperienza ci dice fino in fondo se un destino femminile si può davvero conciliare con la politica così come la cultura maschile l'ha costruita, o se per viverla da protagoniste non sia necessario operare tagli troppo costosi, interpretare ruoli in cui resta, da qualche parte, un inconfessato disagio.

Eugenia Roccella

   Stampa