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Dagli anni Cinquanta ad oggi (1951-2011) » Ginzburg Natalia  
1916 - 1991
 


 

 

«L'impatto della Ragazza con il mondo si è consumato. L'uovo si è rotto, la fisiologia è lo strumento d'intelligenza del nuovo essere (...) è il piacere di adoperare la mente come le viscere, di far camminare la mente nell'oscurità». Mente, viscere, fisiologia e oscurità: con questa rete di metafore Cesare Garboli, uno dei maggiori interpreti dell'opera della Ginzburg (in Opere, Milano, Mondadori, 1986, pp. XXII-XXIII), tenta di restituire la complessiva immagine letteraria dell'”eterna Ragazza” della narrativa italiana.

Natalia Ginzburg, era nata a Palermo da padre ebreo, Giuseppe Levi, e madre cattolica, Lidia Tanzi. Fin da giovane sperimentò nella sua formazione un senso di estraneità e di solitudine che la porterà a questa particolare “intelligenza fisiologica”, a coniugare impulso viscerale ed estrema razionalità nella sua narrativa.

Il padre, che diventerà poi l'ossessivo, intelligentissimo protagonista del romanzo autobiografico Lessico famigliare (1963), è un biologo triestino che insegna anatomia all'università e che preferisce non farle frequentare le scuole elementari e farla educare privatamente. A dodici anni, la Ginzburg comincia a scrivere i suoi primi racconti e a diciassette termina il suo primo vero brano narrativo, Un'assenza. Ma la prima pubblicazione arriva con il 1933 su Solaria, diretta da Alberto Carocci, quando esce la seconda novella, I Bambini.

Nel 1938 sposa Leone Ginzburg, studioso e consulente della casa editrice Einaudi per la letteratura russa, antifascista aderente a “Giustizia e libertà” che nel ‘40 verrà mandato con la moglie e i tre figli al confino a Pizzoli in Abruzzo. Ginzburg muore nel carcere di Regina Coeli nel ‘44 in seguito alle torture inflittegli dai nazisti. Natalia va a vivere a Torino ed entra a far parte dello staff einaudiano.

Ne La strada che va in città (1942) già prende avvio un'altra delle caratteristiche fondamentali della sua letteratura, con un racconto connotato da un'epica sottotono della vita quotidiana. Protagonista è un'adolescente che vive in un mondo di stupore e di pigrizia, di ignoranza e di passività, che osserva le cose che la circondano con uno sguardo tutto privato e interiore.

Uno sguardo al contempo feroce e innocente, a partire dal dopoguerra, segnerà la narrativa della Ginzburg che acquista una sua precisa collocazione nell'ambito della narrativa neorealista. È stato così ( 1947) è la storia, ancora una volta al femminile, di una donna che uccide il marito per gelosia. Ma l'omicidio, narrato attraverso il ricordo, viene riassorbito nello scorrere dei fatti minimi, nella tragica quotidianità dei protagonisti.

La narrazione alterna ironia e tragedia, compassione e distanza, elegia e dramma con antieroi al contempo indifesi e forti. Così Lessico famigliare è la saga di una famiglia borghese e intellettuale, scritta (per dirla con il titolo di un altro libro) con grande attenzione alle Piccole virtù, cioè ai piccoli fatti, agli eventi minimi ma essenziali della vita che poi sfociano invece in grandi virtù, nella storia di un'élite politica e culturale, di personalità caratterizzate da vocazioni e tratti eccezionali.

Ci sono il padre e la madre incredibilmente attivi e vitali (il padre che accusa i figli di «far teatrino di tutto» e di fare continuamente «sbrodeghezzi», ovvero pastrocchi) e personaggi del mondo industriale, intellettuale e politico della Torino tra le due guerre, come Vittorio Foa, Adriano Olivetti, Filippo Turati, descritto come un «grande orso», Carlo Levi, Margherita Sarfatti, Felice Balbo, Giulio Einaudi ed Anna Kuliscioff.

Il leit motiv del racconto è l'antifascismo degli azionisti torinesi descritto con tono assertivo, imperioso, che non lascia adito a dubbi, incertezze, malinconie. L'antifascismo per la narratrice è un dato “naturale” e “fisiologico”, destinato però solo a una ristretta cerchia, a personalità della politica, della cultura, dell'industria al contempo semplici e molto “speciali”. Il libro proprio per queste caratteristiche di apparente, estrema semplicità e di grande determinazione concettuale diventerà un'opera di larga diffusione, adottato come libro di lettura nelle scuole, destinato a diventare il testo-mito dell'azionismo piemontese caratterizzato da indiscusse “virtù” etico-politiche.

La Ginzburg nel 1950 si risposa con lo studioso di letteratura inglese Gabriele Baldini, con cui vivrà a Londra e poi a Roma. Da Tutti i nostri ieri (1952), storia sottotono della giovanissima Anna negli anni della seconda guerra mondiale, a Valentino (1957), Le voci della sera (1961), Mai devi domandarmi (1970), La famiglia Manzoni (1983), per arrivare a La città e la casa (1984), in tutti questi libri la casa è uno dei luoghi narrativi privilegiati dalla scrittrice per descrivere sensazioni, desideri, emozioni.

A volte la Ginzburg, che coltiva anche un'intensa vocazione teatrale (Ti ho sposato per allegria e altre commedie, 1967 e Paese di mare, 1973), utilizza al massimo il dialogo, come in Lessico famigliare, altre volte sviluppa un racconto attento alle cose, agli oggetti, pieno di ironico disincanto, in una narrativa «tutt'occhio», come diceva Italo Calvino.

Così, per esempio, con il suo epico sottotono che ritorna assai di frequente, in Mai devi domandarmi descrive il suo rapporto con la cultura e le istituzioni culturali. «Non avevo mai preso la laurea, essendomi fermata davanti a una bocciatura in latino (materia in cui in quegli anni non veniva bocciato nessuno). Non sapevo lingue straniere, a parte un po' di francese, e non sapevo scrivere a macchina. Nella mia vita, salvo allevare i miei propri bambini, fare le faccende domestiche con estrema lentezza e inettitudine, e scrivere dei romanzi, non avevo mai fatto niente e inoltre ero sempre stata molto pigra».

Un atteggiamento, questo dello sguardo candido, incontaminato, che la porta a una concezione della vita, della letteratura e anche della politica, persino quando vi sarà impegnata direttamente in prima persona (sarà eletta deputato nelle file della Sinistra indipendente), come luoghi dello sguardo oggettivo e della ironica innocenza. «Avendo un abbonamento all'Opera vado all'Opera più volte l'anno. Ma non capisco la musica perché non ascolto. Spesso dormo oppure penso [...]. Conosco assai poco di pittura e raramente guardo a lungo quadri [...]. Per quanto riguarda la politica devo dire che non so su di me niente di preciso».

Perenne Ragazza, dunque, la Ginzburg ama teorizzare il dilettantismo perenne, la forza particolare di chi apparentemente non sa narrare, non sa fare politica, non sa discutere di musica o di arte.

Simulando innocenza, introduce con il suo occhio istintivo, viscerale, antintellettuale un tono assolutamente nuovo nella narrativa italiana degli anni Sessanta. Usa un linguaggio che non disdegna iterazioni e semplicità e che confina con l'ossessione del colloquiale, togliendo alla sua letteratura ogni patina letteraria. Sotto l'epica dell'innocenza si nasconde un'innovatrice che svecchia il patrimonio della narrativa italiana proprio con la suprema banalità del suo lessico famigliare.

Mirella Serri

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