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Dalla prima guerra mondiale al secondo dopoguerra (1915-1950) » Modotti Tina  
1896 - 1942
 


 

 
Comitato Tina Modotti, Udine  

Siamo all'inizio degli anni Settanta a New York. Tina Modotti è l'unico autore italiano presente con alcune sue immagini nella neonata collezione fotografica del Museum of Modem Art: primi piani intensi di fiori e di volti, dettagli di oggetti comuni tesi verso l'astrazione, donne e bambini poveri tra povere cose in contrasti di bianco e nero raccolti dalla luce naturale... Era stato il sofferto legame sentimentale con il celebre fotografo americano Edward Weston a riportare quelle fotografie negli Stati Uniti.

Ma di lei, in questi anni, non si conosce quasi nulla, se non la straordinaria bellezza del suo volto e del suo corpo immortalati nelle sapienti e seducenti fotografie del suo amante. Difficile sottrarsi al loro dispotico fascino, che senza dubbio ha alimentato un'attenzione anche pruriginosa nei confronti di una donna la cui vita rivela un percorso individuale fatto di ricerca espressiva, amori e scelte militanti all'interno del movimento rivoluzionario internazionale, intrecciato con i più intensi e drammatici momenti della storia del suo tempo.

Dopo vent'anni di oblio, Tina viene così riscoperta, come modella, amante e allieva di Weston, eppure le sue fotografie rivelano un'autonomia e una personalità “altra”. Nel 1991 la delicata e sensuale fotografia Roses (da lei stessa stampata nel 1926) viene battuta all'asta da Sotheby alla cifra record di 165.000 dollari. A questa incredibile valutazione hanno contribuito biografie avvincenti che fanno di Tina una vera e propria leggenda (fotografa e rivoluzionaria), anche se vittima di stereotipi. Ma Tina a questo era già abituata in vita: in Messico era stata spesso oggetto della stampa sensazionalistica o di operazioni propagandistiche denigratorie.

La notizia stessa della sua morte improvvisa (di infarto, in un taxi che la riportava a casa dopo una cena da Hannes Meyer, il celebre architetto della Bauhaus, la notte del 5 gennaio 1942), se da un lato scuote gli ambienti intellettuali dove era conosciuta e amata, mette immediatamente in moto la stampa scandalistica di Città del Messico, che grida all'omicidio e vede nel suo ultimo compagno il mandante del delitto. La realtà è ben altra: la bella Tina, tornata in Messico da tre anni, dopo esserne stata espulsa nel 1930, era logorata da una vita vissuta troppo intensamente.

Chi l'ha conosciuta la descrive donna gentile, sensibile, semplice, tenace e coraggiosa: «Ma non posso accettare la vita così com'è, troppo caotica, troppo inconscia. Ecco la ragione della mia resistenza, della mia lotta contro di essa. Cerco sempre di lottare per modellare la vita secondo il mio temperamento e le mie necessità, «in altre parole metto troppa arte nella mia vita», troppa energia...» (lettera a Edward Weston, 7 luglio 1925). Un coinvolgimento ideale, utopico, totale verso la vita, unito ad una forte consapevolezza della propria personalità e ad un lacerante noma dismo che nasce dalla sua identità di emigrante. Temperamento e modestia: la sua militanza non sarà quella della leader, della pasionaria ma quella – in prima linea – della quotidiana partecipazione ai rischi e ai sacrifici. La sua ricerca fotografica, che interromperà bruscamente lasciando il Messico nel 1929, attinge forza, astrazione e poesia proprio dal suo travaglio interiore e dalla sua passione politica e artistica: «Accetto il tragico conflitto tra la vita che cambia continuamente e la forma che la fissa immutabile».

Ripartirà da Udine – sua terra natale – solo negli anni Settanta, la riscoperta e la valorizzazione della sua fotografia, unita ad attenti studi per una ricostruzione più rispettosa della sua vita e della sua personalità. Qui Assunta Adelaide Luigia Modotti detta Tina era nata nel 1896 da una famiglia operaia e socialista, segnata da fame, miseria e debiti: il padre, come tanti friulani è costretto ad emigrare, come stagionale in Austria e quindi definitivamente in America, dove la sua numerosa famiglia lo raggiungerà nel 1913. Già in Italia Tina si era avvicinata alla fotografia frequentando lo studio dello zio, alla politica per averla respirata in casa, alla durezza del lavoro come operaia in una filanda dall'età di dodici anni.

A San Francisco condivide le difficoltà e il lento riscatto della sua famiglia, lavora e frequenta le filodrammatiche della comunità italiana. Il suo destino di operaia tessile si interrompe con l'incontro ad una mostra del giovane poeta e pittore francocanadese Roubaix de l'Abrie Richey (Robo). Lo sposerà nel 1917 e trasferita a Los Angeles vivrà questo breve matrimonio tra frequentazioni bohémiennes e intellettuali nell'amore per l'arte.

Di quel periodo rimane una fotografia che ritrae una giovane e bella coppia sullo sfondo di uno studio dall'atmosfera liberty: lei, in ginocchio su di uno sgabello, indossa un originale abito dipinto con motivi moderni e cuce un prezioso tessuto; lui, in una ampia camicia bianca da pittore, dipinge, su stoffa per l'appunto. Tina non sa stare senza far niente.

Da vera autodidatta, non le manca lo spirito d'iniziativa per assecondare le sue tensioni artistiche: altre foto di questo periodo, questa volta di scena, la vedono attrice del cinema di Hollywood, un'esperienza transitoria perché da lei ritenuta troppo commerciale. In questo ambiente conoscerà il già noto fotografo Edward Weston, presumibilmente subito affascinato da lei e forse ricambiato. Fatto sta che Robo morì improvvisamente di vaiolo nel 1922, durante un viaggio in Messico e Tina, che l'avrebbe dovuto raggiungere, si ritrovò per l'estremo saluto in un paese appena uscito da una rivoluzione, carico di aspettative e contraddizioni, di emigrati politici, di artisti impegnati. Lì deciderà di stabilirsi, lasciando così per sempre l'America nel 1923, in compagnia di Edward Weston e di suo figlio.

Altra svolta altro amore, vitale ma tormentato già nei presupposti. Weston infatti, che lascia la famiglia per lei, del Messico amerà il paesaggio e la luce, ma il progressivo coinvolgimento di Tina nella politica e nell'ambiente intellettuale del partito comunista messicano contribuisce al loro definitivo allontanamento nell'estate del 1926, quando il californiano torna a casa.

In quei tre anni hanno però condiviso l'amore per la fotografia ed esposto insieme più volte: se l'attenzione alla luce e alle inquadrature sono comuni (e a lui deve i rudimenti tecnici), la scelta dei soggetti rivela differenze culturali profonde. Tina continuerà da sola a vivere della sua fotografia (ritratti, riproduzioni d'arte, fotografia sociale), aiutata dalla stima di artisti come Diego Rivera, David Alfaro Siqueiros, Clemente Orozco, mentre nella collaborazione con El Machete, organo ufficiale dei rivoluzionari, svilupperà quell'adesione politica che segnerà tutto il resto della sua vita. Deve però affrontare le avversità della vita e la povertà, mentre la sua fama di fotografa cresce anche all'estero, negli Stati Uniti e in Europa.

Ancora amori, questa volta militanti come lei: lascerà il pittore comunista Xavier Guerrero («questa è la lettera più difficile, più dolorosa e terribile che abbia mai scritto in tutta la mia vita») per Julio Antonio Mella, giovane intellettuale cubano e dirigente rivoluzionario. Riparato da pochi mesi in Messico, non sfuggirà alla morte ad opera di sicari del dittatore Gerardo Machado, complice il governo messicano che da tempo contrasta pesantemente l'attività dei comunisti. E la sera del 10 gennaio del 1929 e Tina è presente all'agguato: risponderà al lutto con l'indignazione, esponendosi in prima persona.

Rifiuta compromessi e persino l'offerta di diventare la fotografa ufficiale del Museo Nazionale, perché per lei la fotografia è una forma di militanza e di denuncia. Sempre in quell'anno scrive a Weston: «Sento che, se devo lasciare il paese, gli devo almeno questo, mostrare quello che può essere fatto, senza dover risalire alle chiese coloniali, ai charros o alle chicas poplanas e robaccia del genere su cui la maggior parte dei fotografi indugia». Ma a causa di manovre denigratorie viene ingiustamente accusata di aver partecipato ad un attentato contro il capo di Stato. «Chi l'avrebbe mai pensato eh? Una ragazza così gentile che faceva fotografie così carine di fiori e di bambini» (lettera a Weston, marzo 1930). Di lì a poco verrà espulsa dal paese e imbarcata su di una nave diretta in Europa.

Viaggio e destino saranno condivisi con Vittorio Vidali, un internazionalista di origine triestina, sebbene le loro strade si dividano temporaneamente una volta arrivati a Rotterdam. Tina prova infatti a stabilirsi a Berlino e a coniugare l'impegno politico e il lavoro di fotografa: ha portato con sé la sua macchina di grande formato, ma il mondo dell'informazione e della fotografia in Germania è ad una svolta, per l'avvento di una tecnologia più rapida.

Nonostante una rete di contatti solidale qualcosa non funziona, il contesto è difficile: il vecchio continente, già ferito dalla prima guerra mondiale, si troverà presto ad affrontare le altre tragiche prove del secolo. Durante la sua permanenza in Europa Tina non fotografa più (vende anche l'amata Graflex), mentre la sua partecipazione al movimento comunista la porta in pochi mesi a Mosca, dove raggiunge Vidali ed entra nelle fila del Soccorso Rosso Internazionale, che le affida diverse missioni all'estero (in Polonia, a Parigi).

Nel frattempo il legame con Vidali, che diventerà il comandante Carlos del V Reggimento dei repubblicani in Spagna, diventa sentimentale, ma sarà un amore sottoposto ai continui rischi di una vita clandestina e della guerra civile in Spagna. Qui Tina è conosciuta con il nome di Maria e ricopre, tra il 1936 e il 1939 un ruolo di sostegno ed assistenza sanitaria nelle retrovie, infaticabile.

La disfatta le porta un nuovo destino di profuga, che cercherà di contrastare con la decisione di rientrare in Messico assieme al suo compagno. Il paese ora è diverso e più ospitale, l'emigrazione politica forte, il denaro poco. Sono questi gli ultimi anni di Tina, che torna ad essere un punto di riferimento e cerca anche di recuperare quel suo lavoro di fotografa che nessuno dei suoi vecchi compagni aveva dimenticato.

La notizia della sua morte commuove sia gli ambienti intellettuali di tutta l'America Latina che la gente semplice: organizzazioni sindacali prendono il suo nome, lavoratori tessili danno il nome di Tina ai loro telai, a Città del Messico viene allestita una grande mostra retrospettiva delle sue fotografie. A ricordarla, tra gli altri, Pablo Neruda: «sul gioiello del tuo corpo addormentato ancora protende la penna e l'anima insanguinata come se tu potessi, sorella, risollevarti e sorridere sopra il fango».

Manuela Fugenzi

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