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Dalla prima guerra mondiale al secondo dopoguerra (1915-1950) » Rosselli Amelia  
1930 - 1996
 


 

 
Amelia Rosselli nella sua casa a Roma nel 1985 - foto cortesia Dino Ignani  

La vita di Amelia Rosselli è stata segnata dagli addii forzati e precoci. Figlia di Carlo Rosselli e di Marion Cave, perse entrambi i genitori nel giro di un decennio. Il padre fu ucciso dai fascisti nel 1937 a Parigi, quando lei aveva soli sette anni; la madre morì di malattia nel 1948.

Parigi (dov'è nata nel 1930), Londra, l'America, Firenze, Roma, sono le tappe principali di un'esistenza vagante, sempre necessitata dall'apprendimento di lingue diverse, corrispondente ognuna a uno strato della sensibilità e dell'esperienza.

Scrivere in italiano fu dunque una scelta adulta, legata a un ulteriore addio. La Rosselli a Roma aveva infatti stretto un rapporto di amicizia con Rocco Scotellaro e fu proprio la sua morte prematura a spingerla verso l'italiano.

Come con l'italiano, anche la scelta espressiva della poesia venne dopo l'apprendimento in un altro linguaggio artistico, quello della musica. Studiò composizione e suonò il violino e il pianoforte, e presto si dedicò alla teoria musicale, scrivendo saggi (alcuni pubblicati su Diapason e Civiltà delle macchine) e uno studio costatole quattordici anni di ricerche (pubblicato con l'aiuto di Luciano Anceschi su Il Verri), dove dette «una spiegazione del sottostante «sistema» intuibile e analizza bile, seguito istintivamente dai musicisti non influenzati dal razionalismo leibnitziano del Sei-Settecento». Alcuni suoi versi, quelli di Variazioni Belliche – aveva già composto La Libellula – comparvero sul Menabò, la rivista di Vittorini e Calvino, accompagnati da una nota di Pasolini, nella quale si dava importanza alla poetica del lapsus (dalla Rosselli solo in parte condivisa).

Fu lo stesso Pasolini a stimolarla a scrivere un saggio sulla sua concezione metrica, che s'intitolerà Spazi metrici, dove la sua originale mente teorica si rivela di nuovo dopo i lavori musicali.

Quando Variazione Belliche vide la luce in volume era il 1964. Fu dunque quasi inevitabile che nascesse un contatto con il Gruppo ‘63. Ma la strada poetica della Rosselli era destinata ad essere solitaria e frastagliata, con tempi propri non corrispondenti a quelli del contesto letterario italiano, e soprattutto con silenzi lunghi.

Questi silenzi pubblici erano abitati da una malattia contro la quale combatteva come poteva. Era stata in analisi con lo junghiano Ernst Bernhard, poi era passata alla scuola freudiana. Fu affetta dal morbo di Parkinson, diagnosticato molto tardi. Inoltre, come lei stessa racconta in Storia di una malattia (pubblicato da Nuovi Argomenti) era certa di essere spiata dalla Cia.

Sembrava che le malattie organiche e quelle psichiche si fossero date appuntamento nella sua mente e nel suo corpo per torturarla. Eppure, la Rosselli riusciva a far fronte a questi attacchi. La sua voce quasi muta veniva catturata dai versi: una voce buia, rauca, piena di echi di altre lingue.

Vennero Serie ospedaliera (1969), Documento (1976), Impromptu (1981), Diario ottuso (1990). Nel 1987 Giacinto Spagnoletti raccolse molti dei suoi versi in un volume garzantiano intitolato semplicemente Antologia poetica. Non disdegnò le letture poetiche in pubblico, che erano un modo per incontrare gli altri, così come si era impegnata politicamente iscrivendosi al partito comunista.

Diceva dei suoi libri che erano «fatti estremi, sintetici». Eppure chi l'ha frequentata ricorda che avrebbe voluto scrivere un vasto romanzo, un po' sul modello di Fenoglio, uno scrittore da lei molto amato. D'altronde la sua poesia era sempre andata verso la prosa, ma che ambisse alla prosa romanzesca era un'informazione nuova, che rendeva ancor più misteriosa e affascinante la sua esistenza espressiva.

È morta suicida nel 1996, a Roma, che era diventata la sua città. È volata giù, leggerissima, fino all'impatto con la superficie della terra. In una poesia di Montale si legge: «Addii, fischi nel buio, cenni, tosse e sportelli abbassati». Le si addice alla perfezione.

Silvio Perrella

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