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Dalla prima guerra mondiale al secondo dopoguerra (1915-1950) » Calamai Clara  
1915 - 1998
 


 

 
Archivio Fotografico Fondazione 3M, Milano  

Lo scandalo sfiora due volte la sua carriera. Nel 1941, quando nella Cena delle beffe di Alessandro Blasetti mostra per un solo istante il primo seno nudo del cinema italiano. E nel ‘43, quando Ossessione di Luchino Visconti, di cui è la protagonista, comincia il suo tormentato itinerario nelle sale di proiezione, scatenando innumerevoli reazioni censorie per la forza con cui rompe la tradizione calligrafica del cinema fascista, dipingendo un mondo squallido, senza speranza. E pensare che a quel film, con cui tradizionalmente si fa iniziare il neorealismo, Clara Calamai arriva in seconda battuta, soltanto perché Anna Magnani, in attesa di un figlio, è costretta a rinunciare al ruolo.

Nata nel 1915, figlia di un capostazione di Prato, cresciuta modestamente intrecciando cappelli di paglia, Clara Calamai debutta nel cinema con Blasetti, che nel ‘38 le affida il ruolo di Fulvia in Ettore Fieramosca.

La ragazza ha ventitre anni, una bella figura, un ovale perfetto, una grazia innata, e porta benissimo il costume. E infatti, nei dodici film che la Calamai girerà fra il ‘38 e il ‘43, soltanto due saranno in panni moderni: L'avventuriera del piano di sopra, di Raffaello Matarazzo, e Luce nelle tenebre di Mario Mattoli. Il resto è un tripudio di busti, guardinfanti, strascichi e trine. Per film che si intitolano di volta in volta Il fornaretto di Venezia, Boccaccio, Capitan Fracassa, Caravaggio, il pittore maledetto.

La Calamai è un'attrice perfettamente congrua al cinema del ventennio, pronta a farsi guidare dai registi di cui ha fiducia, ma sempre molto attenta alla propria immagine di diva levigata. Poiché si fida di Blasetti, accetta di mostrare il seno causando il primo divieto ai minori di 16 anni e scatenando le invidie delle altre dive del momento.

Ma con Visconti, che è alla sua opera prima, la Calamai oppone qual che resistenza: in proiezione, stentando a riconoscersi nei panni della popolana scarmigliata e passionale in cui il regista l'ha trasformata con l'aiuto del truccatore Alberto De Rossi, scoppia a piangere. A film finito, benché si renda conto di aver preso parte a un capolavoro che determinerà una profonda mutazione del modo di fare cinema, la Calamai non riesce a far propria fino in fondo la lezione di Visconti. Spaventata dalla pochezza dei finanziamenti e dalla lavorazione avventurosa, dice di no a Roberto Rossellini che le propone Roma città aperta e lascia il ruolo di Pina ad Anna Magnani, scegliendo Due lettere anonime, di Mario Camerini, la storia d'una partigiana il cui amante è un collaborazionista.

Un film ben fatto, che la Calamai interpreta con convinzione ed efficacia, che è – assieme all'Agnese va a morire – l'unico ritratto femminile a tutto tondo sulla Resistenza, ma che non ha la forza dirompente del cinema di Visconti o di Rossellini. Eppure la Calamai non sembra avere rimpianti: nel ‘46 sposa il conte Leonardo Bonzi, ufficiale pilota che diverrà nel ‘49 trasvolatore atlantico, e per molti anni non pensa al cinema.

Nel ‘57, ormai separata, torna a recitare con Visconti ne Le notti bianche. Dieci anni dopo Visconti le offre un'altra piccola parte – poi sacrificata in fase di montaggio – nell'episodio “La strega bruciata viva” nel film Le streghe. Gli altri suoi pochissimi film, come Afrodite, dea dell'amore, di Mario Bonnard, del 1958, non meritano di essere ricordati.

È Dario Argento, nel ‘75 a darle l'occasione di una memorabile uscita di scena con Profondo rosso, definito da Paolo Mereghetti «un attacco deliberato ai nervi dello spettatore». Un film in cui il viso della Calamai è la chiave di volta di tutto il mistero. Poi, il silenzio. Fino a quando, il 21 settembre del 1998, a Rimini, giunge la morte.

Patrizia Carrano

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