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Dalla prima guerra mondiale al secondo dopoguerra (1915-1950) » Bonanni Laudomia  
1908 - 2002
 


 

 
Foto cortesia Associazione Laudomia Bonanni  

Prima o poi qualche editore dovrà prendersi la briga di riscoprirla. O forse si dovrebbe dire: di scoprirla. Il destino di Laudomia Bonanni, infatti, è ingiustamente oscuro, vittima come fu di un cambiamento sociale a cui non ha saputo e voluto tener dietro. Nata da una tranquilla famiglia borghese di provincia, ha un'infanzia serena e solitaria di cui ricorda soprattutto la fame di libri: legge sempre, anche a tavola, facendo arrabbiare suo padre. A diciassette anni è già maestra, come la madre, e insegna in sperduti paesini abruzzesi.

È un'ammiratrice di Gabriele D'Annunzio, anche se «non ne capivo granché», come raccontò lei stessa. D'Annunzio è più una passione di moda che un vero interesse. E infatti la sua scrittura si sviluppa in tutt'altra direzione, molto distante dall'ornata retorica del ventennio fascista, alla ricerca inedita di personaggi marginali, visti dal basso: contadini, pastori, «faticanti».

La sua è una cultura onnivora e cosmopolita e l'esercizio della scrittura procede lento e segreto. Per molti anni Laudomia scrive e nasconde in un cassetto, avendo come unico sostegno sua madre, che crede in lei e la spinge a spedire quattro racconti, raccolti sotto il titolo Il fosso, a un premio per inediti indetto a Roma dal gruppo di intellettuali romani che si riunivano in “casa Bellonci”: gli “Amici della Domenica” che dettero vita al Premio Strega. Gente come Alberto Moravia, Gianna Manzini, Maria Bellonci, Elsa Morante, Anna Banti, Emilio Cecchi...

«Era il periodo successivo alla guerra» rievocò la stessa Bonanni «c'era nell'ambiente letterario una fraternità straordinaria; forse dopo una guerra è inevitabile che succeda così, si ha bisogno di un mondo pulito, fresco, onesto». Sta di fatto che totalmente sconosciuta e senza amicizie letterarie, vince il premio. Roma l'accoglie con calore e interesse. Il libro esce nel 1948 salutato con entusiasmo, fra gli altri, da Eugenio Montale che in una recensione paragona la prosa della Bonanni a quella del Joyce di Gente di Dublino.

Anche se comincia a frequentare con emozione il salotto letterario di casa Bellonci, il suo carattere ombroso le impedisce di stringere amicizie profonde con gli altri intellettuali e di sfruttare socialmente il grande lancio che l'aveva vista protagonista. Passano sei anni prima che un suo secondo libro, Palma e sorelle (ancora racconti, di straordinario radicale “femminismo”) veda la luce, edito da Bompiani. Seguiranno L'imputata (premio Viareggio ‘60), e L'adultera (premio Campiello ‘64).

Da questo momento, per dieci anni, la vita di Laudomia Bonanni è devastata da una pesante crisi depressiva, in cui deve aver avuto un ruolo la morte della madre, ma su cui la scrittrice non ha voluto far chiarezza rifiutando qualsiasi cura psicoanalitica e affidandosi esclusivamente agli psicofarmaci. Nel ‘68, comunque, si trasferisce a Roma dove continua il lavoro di consulente del Tribunale Minorile, un'attività che mettendola a duro confronto con la violenza e la devianza giovanile ha influito sul suo già precario stato psichico.

Ma è proprio riflettendo sulla sofferenza persona le e dei ragazzi che aveva avvicinato che ne viene fuori, nel ‘74, con un libro-saggio, serio e intelligente, Vietato ai minori, e con i bei racconti di Città del tabacco (‘77). Il romanzo Il bambino di pietra, del ‘79, è una coraggiosa critica della famiglia borghese, la scrittura è intanto diventata sempre più precisa e sintetica, ironica, aspra eppure leggera e cristallina fino alla trasparenza del suo ultimo lavoro, Le droghe, caduto, nell'82, nell'indifferenza di una società letteraria ormai radicalmente diversa da quella dei suoi esordi, una società nella quale la Bonanni non era fatta per navigare, né per accettarne neanche lontanamente le regole.

«Oggi scrivere non basta più. Uno scrittore per prima cosa deve sapersi promuovere» ebbe a dire con amarezza. E lei, austera e moralista fino all'intransigenza, rafforzata da una vita forse troppo isolata, non avrebbe saputo da che parte incominciare.

Morì dimenticata e solissima, anche se fino alla fine solida e serena, a Roma, nel 2002. Ha lasciato tre romanzi inediti, scritti uno nel ‘39, uno nel ‘45 e uno nel 1984.

Sandra Petrignani

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