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Dall'Unità d'Italia alla prima guerra mondiale (1861-1914) » Trivulzio Cristina, principessa di Belgioioso  
1808 – 1871
 


 

 
© Archivi Alinari, Firenze  

Tutto si può dire di Cristina di Belgioioso tranne che fosse una donna tutta d'un pezzo.

Fu intelligente, intraprendente, generosa, lungimirante, politicamente innovativa e insieme inguaribilmente civetta, mondana, egocentrica, vanitosa e ambiziosa. Ed è per questo probabilmente, per la sua assoluta incapacità di essere, come piacerebbe ai biografi pigri, tutta d'un pezzo, che gli storici difficilmente la ricordano e quando la ricordano tendono a farlo con quella condiscendenza, con quella bonaria ironia che si riservano a certe figure femminili senz'altro meritevoli, senz'altro fuori del comune, però bizzarre, capricciose, discontinue ed elitarie: non realmente all'altezza, insomma, di stare in compagnia dei veri grandi (uomini).

Invece Cristina dovrebbe stare per diritto in questo elenco, non fosse che per il fatto di aver fondato i primi asili d'infanzia nonché scuole elementari e istituti professionali anche femminili per i figli dei contadini. E questo in un'epoca – intorno alla metà dell'Ottocento – in cui pur nella ricca Lombardia, pur nelle prospere terre della principessa Belgioioso, i braccianti agricoli vivevano in condizioni spaventose, ed era considerata un'inutile, pericolosa follia mandare a scuola i loro figli maschi: figurarsi le femmine.

La politica, amata e frequentata in primissima persona con tutti i rischi che, in tempi di Risorgimento, questo le comportò, e la scrittura – articoli, reportage e saggi di storia, filosofia e religione – ragioni per le quali giustamente viene ricordata, sembrano quasi secondarie rispetto alla rivoluzione sociale che avviò con mano sicura nel suo feudo di Locate, trasformandolo in un modello che, con il tempo, finì per contagiare l'uno o l'altro dei suoi nobili parenti e conoscenti.

Ma Cristina scrisse la sua piccola o meno piccola storia anche altrove: per esempio nel 1849, durante il cruentissimo assedio francese di Roma, per breve tempo trasformata in repubblica, quando, su incarico di Mazzini, prese in mano la direzione degli ospedali della città riuscendo, Florence Nightingale ante litteram, a far brillantemente funzionare dodici lazzaretti strapieni di militari feriti.

Ad aiutarla aveva chiamato a raccolta, in qualità di volontarie, signore e signorine romane che accorsero in gran numero, insieme contesse, portinaie, panettiere, casalinghe, operaie, madri di famiglia e prostitute.

Degno di essere ricordato non solo in una sua biografia ma anche nei libri di storia è il contributo che Cristina diede alla rivoluzione milanese del 1948. La rivolta dei suoi concittadini la sorprese a Napoli, da dove in poche ore riuscì a partire con una nave presa a noleggio carica di un battaglione di 200 volontari, ribattezzato subito il «battaglione Belgioioso». I cronisti - un po' razzisti - ironizzarono alquanto sui napoletani fatti arrivare dalla principessa, asserendo che a Milano avevano sciolto i ranghi dandosi all'accattonaggio; in realtà, stando al diario del maresciallo Radetzky, erano stati proprio loro a rallentare notevolmente l'avanzata austriaca.

Cristina era nata a Milano nel 1808, figlia del ricchissimo marchese Trivulzio e a 16 anni, nonostante il parere contrario dei parenti, aveva voluto sposare il più inguaribile dongiovanni della città, il bel principe Emilio Barbiano di Belgioioso dal quale si separò quattro anni dopo, sconfitta dai troppi tradimenti e infettata dalla sifilide.

Ventenne si ritrovò dunque in una vita completamene diversa da quella per la quale era stata educata. Sola, senza famiglia (giovanissima era rimasta orfana di padre e la madre aveva un nuovo marito e altri figli) e con molto denaro, desiderosa di lasciarsi alle spalle i luoghi nei quali circolavano troppe amanti dell'ex marito e troppi suoi compagni di bisboccia, cominciò a viaggiare attraverso l'Italia, passando per Genova, Firenze, Roma, Napoli e di nuovo Genova. E subito scoprì la politica, in senso antiaustriaco ovviamente, grazie agli amici in odore di Carboneria  tra i quali l'allora ventitreenne Giuseppe Mazzini - che conobbe e frequentò nel corso dei suoi spostamenti. Al punto che fu ben presto costretta a riparare all'estero per sfuggire al capo della polizia milanese che progettava di farla rinchiudere in un convento.

Giunse quindi a Parigi, per un esilio lungo, brillante e movimentato in quanto finì presto al centro delle attenzioni - condizione che Cristina amava più di ogni altra - non solo delle dame e dei cavalieri da salotto, ma anche di grandi uomini, di eroi, di intellettuali, di artisti come il mitico generale de La Fayette, gli storici Auguste Thierry e François Mignet che diventarono i suoi amici più fedeli, e poi Adolphe Thiers, Honoré de Balzac, Alfred de Musset, Frederic Chopin, Franz Liszt, Heinrich Heine, Vincenzo Bellini e Niccolò Tommaseo.

Del resto, chi avrebbe potuto non trovare irresistibile la principessa italiana, bella, giovane, ricca, intelligente, melanconica, rivoluzionaria e generosa? Oltre ad aprire salotto ella stessa, a fondare un giornale (La Gazzetta Italiana), a scrivere articoli e saggi, fu infatti sempre pronta a soccorrere economicamente fuorusciti italiani privi di mezzi e a finanziare le loro ini ziative.

Ma il suo capolavoro parigino fu probabilmente un altro. Rimasta senza una lira quando la Lombardia le confiscò i suoi beni, ella non si perse affatto d'animo andando a vivere in un modesto appartamento, senza più domestici, guadagnandosi da vivere scrivendo per i giornali. Le ristrettezze, è vero, non durarono molto, perché qualche anno dopo il patrimonio le fu restituito, ma le permisero di mostrare di che pasta era fatta. Altro capolavoro parigino fu la figlia Maria, misteriosamente concepita e da lei fatta registrare, dopo lunga battaglia, come figlia dell'ex marito, che per un certo periodo era stato suo ospite a Parigi.

Amnistiata, Cristina tornò in Italia sistemandosi a Locate con la figlia. Quieta infine? Tutt'altro. Era infatti il tempo delle rivoluzioni risorgimentali che riaccesero la sua passione politica e la videro frenetica a Roma, a Napoli e a Milano. Di nuovo costretta all'esilio, stavolta scelse la Turchia dove comprò casa e campagna, dedita all'agricoltura e alla scrittura, sotto forma di straordinari reportage da quel paese. Rientrata in Italia – per dare un avvenire a Maria – passò gli ultimi anni sul lago di Como, continuando a studiare e a scrivere: tra l'altro un lungo articolo Della condi zione delle donne e del loro avvenire, lucida analisi di sapore già quasi femminista. Morì a Milano, nel 1871.

Isabella Bossi Fedrigotti

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